Quando si muore e come si muore

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Capire esattamente se una persona in stato di incoscienza è veramente morta, è una necessità quotidiana per chi sulla strada trova vittime di sinistri stradali, di incidenti sul lavoro, suicidi, disastri ed emergenze di ogni genere, come accade alle forze di polizia locale.
 
Sapere se una persona è morta veramente e comprenderne il momento esatto consente di salvare la vita, evitare inutili tentativi di rianimazione che alterano lo stato dei luoghi e le tracce.
 
LA MEDICINA LEGALE E LA TANATOLOGIA
 
La Medicina legale si occupa dei rapporti tra la medicina ed il diritto, quindi è una disciplina che interessa non solo i medici ma anche i giuristi e tutti coloro i quali esercitano professioni forensi, come forze di polizia, avvocati e magistrati.
 
Tanatologia, etimologicamente deriva da thanathos=morte e logos=discorso, infatti è una branca della medicina legale che si occupa proprio dello studio della morte e dei fenomeni cadaverici, sotto l’aspetto chimico, biologico e morfologico; i suoi principali settori d’indagine sono:
·          La Tanatodiagnosi, che si occupa di stabilire con certezza che lo stato di morte, distinguendo tra morte reale e morte apparente e distinguendo i fenomeni post-mortali da quelli vitali, in pratica d’interpretare i fenomeni di vita residua.
·          La Tanatocronologia, che studia la datazione del decesso, basandosi sullo studio dei fenomeni cadaverici.
 
LA TANATOLOGIA FORENSE
E’ l’applicazione delle conoscenze scientifiche della Tanatologia in supporto dell’attività d’indagine di polizia e per l’applicazione del diritto nei casi connessi o conseguenti all’evento della morte.
 
Attraverso gli elementi forniti da questa scienza è possibile, ad esempio, stabilire se la morte di un individuo sia da considerare naturale o violenta, distinguere un suicidio da un omicidio, accertare le cause della morte, analizzare le sostanze assunte dal defunto, stabilire la data e in alcuni casi anche l’ora o, perlomeno, il periodo al quale risale la morte del cadavere, definire l’ordine con il quale sono deceduti più soggetti, rilevare se il cadavere sia stato spostato ed eventualmente ricercare informazioni sul luogo del decesso e sul percorso dove è stato trasportato il cadavere.
 
Le applicazioni delle conoscenze scientifiche della Tanatologia Forense sono amplissime e possono risolvere casi apparentemente inspiegabili e fornire informazioni indispensabili per la risoluzione di casi giuridici.
 
Sebbene gli esami sul cadavere e le analisi di laboratorio siano eseguite da specifici professionisti, la conoscenza delle basi di questa scienza può rivelarsi essenziale per ogni investigatore (di polizia e della difesa) ed utilissima per ogni operatore del diritto (avvocati, magistrati, consulenti).
 
DEFINIZIONE DI MORTE
 
La morte è certamente uno stato difficile non solo da accettare ma anche da sperimentare, Pieper dice: “Sulla realtà della morte nessuno può fare esperienza, se non forse il moribondo stesso“.
 
 
La definizione della morte ha sempre presentato difficoltà, non solo per le implicazioni scientifiche ma anche e soprattutto per le conseguenze etiche derivanti dalla definizione di questo stato.
 
Biologicamente, la morte può riguardare un intero organismo o soltanto alcune sue parti; per esempio è possibile che alcuni organi o alcune cellule muoiano ma che l’organismo nel suo complesso continui a vivere, infatti moltissime cellule degli organismi viventi muoiono e vengono rimpiazzate continuamente: viceversa, le singole cellule possono vivere per un certo tempo dopo la morte dell’organismo cui appartengono, rendendo possibile l’espianto di organi e il loro trapianto.
 
Nella maggior parte dei casi, la morte degli individui non avviene quasi mai in un istante, ma è sempre un processo più o meno lungo, per questa ragione l’individuazione dell’istante in cui si attua il passaggio dalla vita alla morte è sempre stato abbastanza difficoltoso ed ha risentito non solo delle conoscenze scientifiche, ma anche dei valori religiosi, etici e degli aspetti tradizionali delle varie civiltà umane.
 
 
Verso la fine del XVII secolo, l’anatomista francese M.F.X.Bichat formulò la teoria secondo la quale “la morte coincide con l’estinzione del Tripode Vitale: circolazione, innervazione, respirazione“, che è sopravvissuta orientativamente sino agli anni ’50.
 
E’ divenuta la concezione classica nota comunemente come tripode vitale, poiché Bichat considerava l’organismo vivente come un tripode, una base con tre gambe di sostegno costituite dalle tre funzioni principali: respiratoria, cardiaca, nervosa, interdipendenti tra loro, per cui l’arresto di una determina il crollo delle altre, quindi la morte.
 
In questo modello la morte non è istantanea e non interessa simultaneamente l’interezza dell’organismo vivente, ma si svolge con gradualità, partendo dall’arresto delle funzioni essenziali dell’organismo (cardiaca, respiratoria, nervosa) sino alla morte di tutte le cellule.
 
Nel modello del Bichat, quindi, vi sono tre tipologie di morte secondo la funzione che si arresta per prima:
         Morte cerebrale: per gravi danni all’encefalo c’è l’arresto delle funzioni nervose. Segue l’arresto del respiro, e poi del battito cardiaco.
         Morte respiratoria: arresto della respirazione. Per mancanza d’ossigeno si blocca prima l’attività cerebrale e poi quella cardiaca.
         Morte cardiaca: con l’arresto del cuore e del circolo cessano poi le altre due funzioni.
 
Prima di esaminare questi tre “tipi” di morte, è bene approfondire il concetto di morte come “stato in evoluzione declinante” ed analizzare le singole fasi.
 
LA MORTE CARDIOCIRCOLATORIA
 
Sin dai tempi più antichi, l’opinione comune identificava il blocco dell’attività respiratoria e/o cardiaca come segni evidenti del trapasso vita-morte e, per questa ragione, nel linguaggio comune si usa ancora oggi individuare, seppur figuratamene, il momento del decesso con l’esalazione dell’ultimo respiro oppure con l’arresto del battito cardiaco, ritenuto da sempre il segno irreversibile della morte (“cor ultimum moriens”).
 
Ancora oggi nella produzione cinematografica si vedono scene con il classico specchietto posto davanti al naso ed alla bocca del presunto morto per verificare, attraverso l’umidificazione prodotta dal respiro (lo specchietto appannato) la presenza d’attività respiratoria e quindi l’attività vitale.
 
In realtà questi segni di morte possono essere apparente e in alcune situazioni non si può rilevare con certezza l’assenza d’attività respiratoria e cardiaca se non sono disponibili specifiche competenze o strumenti.
 
L’arresto cardiorespiratorio non significa la morte contemporanea di tutto il corpo, poiché nell’organismo ci sono cellule con un alto consumo d’ossigeno (sono quelle che muoiono subito) ed altre che, invece, resistono di più alla mancanza d’ossigeno (come ad esempio le cellule cutanee si pensi che la barba cresce ancora per qualche ora dopo il decesso).
 
Alla fine degli anni ’50 la scoperta del massaggio cardiaco ha permesso, in determinati casi, la riattivazione del cuore facendo entrare messo in crisi il modello di morte cardiocircolatorio.
 
La Morte è una perdita totale e irreversibile della capacità dell’organismo di mantenere autonomamente la propria funzionalità vitale.
 
Da un punto di vista biologico quindi la morte può essere definita come “uno stato in evoluzione declinante, compreso tra la cessazione dell’attività dei centri nervosi, del circolo, del respiro, e l’estinzione degli ultimi gruppi cellulari” (Chiodi[2]).
   
La morte dell’individuo corrisponde alla cessazione irreversibile dell’attività del sistema nervoso centrale. Si può accertare direttamente, come nel caso della cosiddetta morte cerebrale, attraverso l’analisi del tracciato dell’elettroencefalogramma (la c.d. linea piatta EEC) oppure indirettamente, com’è prassi, rilevando la cessazione irreversibile dell’attività circolatoria (morte cardiaca): dopo venti minuti di arresto cardiaco, infatti, l’attività del sistema nervoso centrale, che è sensibilissimo alla mancanza di ossigeno, è definitivamente e totalmente spenta.
 
In un organismo di distinguono gerarchicamente: elementi di 1° grado (le cellule) che aggregandosi formano gli elementi di 2° grado (i tessuti), dalla cui variabile combinazione originano gli elementi di 3° grado, cioè gli organi (ad es. il cuore, i polmoni) da cui derivano gli apparati che sono gli elementi di 4°grado (apparato cardio-circolatorio, respiratorio, ecc.).
 
Alla morte della persona e segnatamente alla cessazione del 1° circolo, non corrisponde quella degli elementi di 1°, 2° e 3° grado (questa unicità cronologica si può avere raramente come nel caso di morti per carbonizzazione): di regola un organo come il cuore conserva per qualche tempo la possibilità di rispondere con contrazioni se stimolato; i tessuti come la cornea sono prelevabili e trapiantabili nelle prime ore, per varie ore è possibile ottenere risposte eccitando nervi periferici e muscoli; le singole cellule continuano a vivere più o meno a lungo e il sangue del cadavere può ben essere raccolto per venir trasfuso.
 
Anche queste attività sono destinate a spegnersi e il periodo in cui ancora si protraggono prende il nome di “periodo biotanatologico o della vita residua”: vita ben s’intende, a livello cellulare o tessutale, che è tuttavia sufficiente per produrre metabolicamente una certa quota di calore che si oppone alle contemporanee prevalenti perdite (rendendo conto del fatto che nelle prime ore della morte il calo della temperatura è meno marcato) e che può dare informazioni sull’epoca della morte.
 
LA CONCEZIONE LEGALE DELLA MORTE
 
Ai fini giuridici per considerare l’individuo come morto non è necessaria la “morte biologica” (la terza fase della morte di cui si è già parlato, detta anche “morte assoluta” o “reale”) e quindi la morte giuridica non coincide con la morte dell’intero organismo.
 
Infatti la morte biologica è tardiva rispetto gli effetti giuridici conseguenti al decesso che sono collegati alla irreversiva perdita di funzionalità di tutti gli organi e quindi, ricollegandoci alla ripartizione del paragrafo precedente alla seconda fase, cioè quella della morte intermedia o morte clinica.
 
Tuttavia questa fase è soggetta a condizione risolutiva laddove non sia confermato lo stato di morte biologico dalla successiva visita necroscopica, che ai sensi Regolamento di Polizia mortuaria[3], andrà espletata non prima di 15 ore dal momento in cui è stata espressa presunzione di morte e non oltre le 30 ore.
 
Se giuridicamente la morte legale coincide con lo stato di morte clinica, con giudizio convergente dei giuristi e dei medici[4], individuato come la fase irreversibile in cui sono assenti le manifestazioni vitali ed è impossibile la loro ripresa tramite rianimazione, tuttavia le avanzate tecniche di rianimazione e di chirurgia dei trapianti hanno reso necessario rivedere i tradizionali parametri clinici per la diagnosi di morte.
 
Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche i consueti concetti di morte respiratoria e di morte cardiaca, tipici elementi della morte clinica, sono stati sostituiti dal nuovo concetto di morte cerebrale.
 
Le moderne conoscenze della rianimazione medica hanno portato a classificare tre livelli principali di morte celebrale:
 
Morte corticale (o decorticazione): le lesioni sono limitate alla corteccia cerebrale; le cellule sono colpite da necrosi massiva. La conseguenza è la perdita delle attività superiori (intellettive, sensitive, sensoriali) sviluppate dai centri corticali che sono alla base della vita sociale e di relazione. Rimangono integri i centri regolatori organo-vegetativi, per cui continua l’attività cardiaca e respiratoria in modo del tutto spontaneo (senza ricorrere a mezzi di rianimazione).
 
Morte cerebrale (o decerebrazione): è la soluzione che ha avuto maggiori consensi. E’ una vera morte cerebrale (la più frequentemente curata in rianimazione), le cui caratteristiche sono: distruzione totale ed irreversibile del contenuto della cavità cranica (compresi i centri nervosi della vita vegetativa); necessità di una continua assistenza meccanica per mantenere il respiro ed il battito cardiaco. E’ quindi impossibile non solo la vita di relazione, ma anche quella vegetativa. Il soggetto dovrebbe considerarsi morto, anche se il suo organismo vive, tramite l’ausilio delle tecniche di rianimazione, sia pure a livello vegetativo.
 
Secondo l’indicazione del Comitato Nazionale per la Bioetica del 15 febbraio 1991, recepita dal legislatore, la morte clinica si identifica solo con la fase della Decerebrazione o Morte Cerebrale.


[1] Boros L., Mysterium mortis. L’uomo nella decisione ultima, Queriana, Brescia 1969
[2] Chiodi, Manuale di medicina legale, Vallardi, Milano 1986
[3] art. 4 del D.P.R. 285/1990
[4] Puccini C., Istituzioni di Medicina Legale, XVI Edizione, CEA, Milano 2003

Mancini Massimiliano

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