Quando risulta possibile la declaratoria di inammissibilità di cui all’art. 666 comma 2 cod. proc. pen. Per approfondimenti sulla procedura rimandiamo al volume “Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia”.
Indice
1. La questione: declaratoria di inammissibilità
Il GIP del Tribunale di Milano – quale giudice della esecuzione – dichiarava inammissibile un’istanza tesa ad ottenere il riconoscimento della continuazione tra i fatti oggetto di distinte decisioni irrevocabili, ritenendosi come la domanda in questione costituisse una mera riproposizione di analoga richiesta già respinta con decisione.
Ciò posto, avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’istante che deduceva plurimi vizi di motivazione.
In particolare, il ricorrente evidenziava come, in sede di proposizione della domanda, si fosse fatto riferimento al precedente provvedimento di diniego e si fossero, allo scopo di superare la preclusione, evidenziati nuovi elementi di fatto tesi a sostenere la prospettazione difensiva.
Orbene, per il legale, di tali elementi non era stato fatto alcun apprezzamento il che, a suo avviso, rendeva priva di motivazione la decisione emessa dal giudice della esecuzione. Per approfondimenti sulla procedura rimandiamo al volume “Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia”.
2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto fondato.
Nel dettaglio, gli Ermellini addivenivano a siffatta decisione in quanto la disposizione di legge di cui all’art. 666 comma 2 cod. proc. pen. facoltizza la emissione di una pronunzia di inammissibilità della domanda nel caso in cui la stessa costituisca mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi.
Ad essere identico, pertanto (tra le due domande) deve essere non solo il petitum ma anche la causa petendi, rilevandosi a tal proposito che, per quanto riguarda l’effetto preclusivo di un precedente diniego, la declaratoria di inammissibilità di cui all’art. 666 comma 2 cod. proc. pen. risulta possibile (nell’ipotesi di precedente pronunzia emessa sul medesimo oggetto), esclusivamente nelle ipotesi in cui le questioni reiterate siano del tutto identiche rispetto a quelle già disattese e ciò non solo in relazione al petitum ma anche in rapporto alle ragioni in fatto o in diritto che lo sostengono (in tal senso, per tutte, v. Sez. U. n. 18288 del 21.1.2010).
Di conseguenza, alla luce di tale quadro ermeneutico, i giudici di piazza Cavour reputavano come, nel caso in esame, la parte, in sede di proposizione della domanda, avesse effettivamente prospettato la esistenza e rilevanza di taluni elementi di fatto, che si assumeva essere diversi da quelli già valutati.
Tal che se ne faceva discendere l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando risulta possibile la declaratoria di inammissibilità di cui all’art. 666 comma 2 cod. proc. pen..
Difatti, fermo restando che questo comma, come è noto, dispone al primo periodo che, se “la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all’interessato”, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di quanto già postulato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 18288 del 21.1.2010, che la declaratoria di inammissibilità di cui all’art. 666 comma 2 cod. proc. pen. risulta possibile (nell’ipotesi di precedente pronunzia emessa sul medesimo oggetto), esclusivamente nelle ipotesi in cui le questioni reiterate siano del tutto identiche rispetto a quelle già disattese e ciò non solo in relazione al petitum ma anche in rapporto alle ragioni in fatto o in diritto che lo sostengono.
Quindi, ove sia disatteso tale principio di diritto, ben si potrà ricorrere per Cassazione, come avvenuto nel caso di specie, deducendo la violazione di questo criterio ermeneutico.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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