Quali risorse finanziarie per le città metropolitane?

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I livelli intermedi di autonomie, con l’introduzione nell’Aprile 2014 della legge n. 56 del 7 aprile 2014 recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, hanno subito un sostanziale mutamento sia in ordine alle modalità di elezione dei nuovi consigli provinciali e metropolitani sia nella vera e propria organizzazione dei costituendi Enti, che di fatto continuano ad essere livelli intermedi di amministrazione ( fra Regioni e Comuni ) ma con peculiarità in gran parte dissimili dal passato.

Con riferimento alle modalità d’elezione degli amministratori di province e città metropolitane, basti rappresentare che si è abbandonato il metodo della elezione diretta attuata mediante un sistema di tipo proporzionale sulla base di collegi uninominali, per addivenire ad una modalità di elezione indiretta che invece pone il diritto di elettorato attivo e passivo in capo ai consiglieri comunali ed ai Sindaci del territorio conferendo loro una cifra elettorale ponderata in base al numero di abitanti del comune di appartenenza.

Le province diventano quindi “enti territoriali di area vasta”, il cui presidente risulta essere eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni del territorio provinciale, al contrario delle Città Metropolitane il cui sindaco ex lege è invece il Sindaco eletto nel comune capoluogo, previsione questa che ben potrebbe dare origine a fenomeni di “coabitazione”  di tipo francese per cui il Sindaco potrebbe essere espressione di uno schieramento politico differente rispetto alla maggioranza eletta invece in Consiglio Metropolitano.

Allo stato, dunque, nell’architettura istituzionale del nostro Paese solo due livelli amministrativi territoriali risultano essere ancora disciplinati da elezioni di tipo diretto: le Regioni ed i Comuni.

In forza alle nuove disposizioni, le funzioni poste in capo alle città metropolitane possono essere ricomprese principalmente fra le seguenti:

a)      adozione e aggiornamento annuale di un piano   strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l’ente e per l’esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all’esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza;

b)      pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio metropolitano;

c)       strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D’intesa con i comuni interessati la città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive;

d)      mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell’ambito metropolitano;

e)      e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della   città metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio;

f)       promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano.

Per comprendere l’opportuno invito del legislatore a rivedere analiticamente l’allocazione delle diverse competenze tra i vari livelli di autonomie, sì da operare eventuali modificazioni, poi, è bene sottolineare quanto previsto dal comma 46 della legge n. 56. Tali prospettive emergono chiaramente dall’esame letterale del comma in questione, il quale dispone che “lo Stato e le regioni, ciascuno per le proprie competenze, possono attribuire ulteriori funzioni alle città metropolitane in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui  al  primo comma   dell’articolo 118 della Costituzione” .

In linea teorica, dunque, anche per le Province lo Stato e le Regioni potrebbero delegare ulteriori materie, ma solo nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e secondo i dettami costituzionale in materia di competenze.

Ciò considerato bisognerà però analizzare in relazione alle numerose funzioni e competenze devolute alle Città Metropolitane, sia la loro capacità impositiva e quindi l’attitudine in potenza di ricavare risorse economiche utilizzando proprie leve fiscali, sia la dotazione finanziaria loro destinata dallo Stato.

Per ciò che concerne il primo aspetto, sarà utile analizzare due fra le principali fonti di finanza propria delle Città Metropolitane ereditate dalle precedenti Province e che ne hanno conservato peculiarità e caratteristiche: l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (escluso i ciclomotori ) e l’addizionale all’imposta provinciale di registro.

Con riferimento alla prima, è bene ricordare che il decreto legislativo n.446 del 1997 all’art. 60 prevedeva l’attribuzione per le Province del gettito derivante dall’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile (RC auto) garantendo così una copertura finanziaria di apprezzabile valore che assicurava all’ente Provincia una apprezzabile autonomia finanziaria rispetto ai trasferimenti dello Stato centrale e che pur con differenze sostanziali rispetto alle varie realtà territoriali del Paese (si pensi al Mezzogiorno d’Italia) era in grado di garantire una sufficiente equità anche in virtù del bene tassato: l’RC auto, indispensabile per la circolazione dei veicoli a motore, tanto in Trentino Alto Adige quanto nell’estremo sud.

Tale attribuzione verrà ulteriormente implementata con lo sviluppo e la successiva emanazione dei decreti attuativi della legge n.42/2009 in materia di federalismo fiscale, vero e proprio punto di svolta della finanza propria degli enti locali.

Uno dei principali strumenti per mezzo dei quali è stata ampliata la capacità impositiva di Regioni e Province infatti, è senza dubbio alcuno il decreto legislativo n.68 del 6 maggio 2011 recante disposizioni in materia di autonomia di entrate appunto di Regioni e Province.

Tale strumento normativo di fatto ha innovato profondamente il quadro finanziario e tributario delle Province trasformando il sistema di finanza derivata dai trasferimenti dello Stato in finanza propria. Al fine di perseguire tale obiettivo, infatti, l’art. 17 comma 1 disponeva che a decorrere dall’anno 2012 l’imposta sull’Rc auto sarebbe divenuta tributo proprio delle Province consentendo altresì allo stesso Ente di applicare in aumento o diminuzione delle addizionali o detrazioni fino a 3,5 punti percentuali. Tale potestà impositiva è stata lasciata inalterata anche dalla legge n.56/2014 e dunque è ancora in vigore per tutte le 9 città Metropolitane d’Italia.

Il decreto legislativo n.446 del 1997, successivamente modificato con il d.lgs. n.506/1999 ha inoltre attribuito alle Province anche la facoltà di istituire l’Imposta Provinciale sulle formalità di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli richieste al Pubblico Registro Automobilistico, generando così una ulteriore forma di finanziamento a beneficio dell’Ente che garantisse una più apprezzabile dotazione finanziaria di tipo proprio.

Tale imposta in virtù di quanto previsto dall’art. 56 comma 2 è determinata in  base ad apposite tariffe da determinarsi con decreto del Ministero delle Finanze che possono essere ulteriormente incrementate dalle Amministrazioni locali nella misura massima del 30% a decorrere dall’anno di imposta 2007.

Sul punto è poi opportuno precisare che l’art. 1 comma 169 della legge di stabilità del 2007 (legge n.296/2006) ha stabilito che gli Enti locali, per ciò che concerne i tributi di loro competenza, debbano determinare mediante apposita delibera le aliquote e le tariffe delle stesse entro la data fissata per l’approvazione del bilancio di previsione.

Ulteriore fonte di finanziamento per le attuali Province e Città Metropolitane è il Tributo provinciale per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente (T.E.F.A) previsto dall’art. 19 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 il quale prevede che “a fronte dell’esercizio delle funzioni amministrative di interesse provinciale, riguardanti l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, il rilevamento, la disciplina ed il controllo degli scarichi e delle emissioni e la tutela, difesa e valorizzazione del suolo”.

Sul punto, il comma 3 dello stesso articolo dispone che lo stesso tributo è determinato in misura non inferiore all’ 1 per cento, né superiore al 5% delle tariffe per unità di superficie ai fini della tassa, fissando così la cornice entro la quale le amministrazioni provinciali prima, metropolitane poi, potranno utilizzare discrezionalmente l’aliquota.

L’attuale panorama normativo in ambito di imposte volte a finanziare lo smaltimento dei rifiuti cui sono soggetti i comuni, è assorbito prevalentemente dalla nuova TA.RI istituita con la legge n.147 del 27/12/2013 (una delle componenti della IUC insieme a Imu e Ta.si) che ha sostituito la precedente Tarsu e che ha previsto all’art. 1 comma 666, in ordine al tributo provinciale, che ” è fatta salva l’applicazione del tributo provinciale per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente di cui all’articolo n.19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 ”.

Tale tributo è sostanzialmente legato alle numerose funzioni attribuite a Province e Città metropolitane in ordine al controllo e al coordinamento delle attività in ambito ambientale cui è proposta come organo di p.g. la Polizia Provinciale, oggi oggetto di riordino da parte del Governo.

Concludendo, per poter utilizzare al meglio le potenzialità di questi livelli intermedi di autonomie, sarà necessario un progressivo piano di investimenti da parte del Governo nei prossimi anni, ed i 100 milioni di euro esclusi dal patto di stabilità interno da utilizzare per opere di edilizia scolastica nel biennio 2015- 2016 per le Province e Città Metropolitane individuate dal Decreto del presidente del Consiglio del 17.7.2015 ai sensi dell’art. 1, comma 467, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), sono un positivo segnale in questa direzione.

Fabio Saverio Romito

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