Quali motivi di mancata partecipazione a riunioni di organi collegiali possano dirsi “giustificati” così da impedire la decadenza dall’ufficio

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Il buon funzionamento degli organi collegiali presuppone indiscutibilmente la regolare ed assidua partecipazione alle sedute da parte dei membri che li compongono. Per tale ragione gli statuti di quasi tutte le persone giuridiche contengono una clausola di salvaguardia di tenore “tralatizio”, che prevede la decadenza dall’ufficio di quel membro di organo collegiale che si astenga dal partecipare “senza giustificato motivo” ad una o più riunioni.

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Va subito detto che in materia l’approccio statutario delle persone giuridiche pubbliche (in particolare gli enti territoriali) appare di solito più esaustivo rispetto a quello delle persone giuridiche private. Infatti, nel primo ambito non si fatica a rinvenire clausole discretamente elaborate del tipo: “Decade il Consigliere che, senza giustificato motivo, non intervenga a tre sedute consecutive del Consiglio Comunale. Il giustificato motivo deve essere presentato in forma scritta dal Consigliere o tramite il proprio capo gruppo al Presidente del Consiglio. La decadenza è pronunciata dal Consiglio su iniziativa del Presidente del Consiglio o di qualsiasi Consigliere. La decadenza è formalizzata con deliberazione del Consiglio Comunale. A tale riguardo, il Presidente del Consiglio Comunale, a seguito dell’avvenuto accertamento dell’assenza maturata dal Consigliere interessato, provvede, con comunicazione scritta ai sensi della legge n. 241/1990, a comunicargli l’avvio del procedimento amministrativo. Il Consigliere ha facoltà di far valere le cause giustificative delle assenze, nonché di fornire al Presidente eventuali documenti probatori, entro il termine indicato nella comunicazione scritta, che comunque non può essere inferiore a giorni venti, decorrenti dalla data di ricevimento. Scaduto questo termine, il Consiglio esamina ed infine delibera, tenuto adeguatamente conto delle cause giustificative presentate da parte del Consigliere interessato.” Viceversa, in ambito privatistico, le clausole statutarie per lo più non precisano in quale forma ed a chi debba pervenire la richiesta di giustificazione dell’assenza; se essa richiesta debba essere preventiva o possa essere postuma; chi abbia competenza a giudicarne la legittimità e/o il merito nonché in base a quali criteri e parametri; in quale sede avvenga il controllo; quale sia l’autorità deputata a decidere eventuali opposizioni ecc. Di poi, il problema pratico è soltanto rinviato, senza essere risolto, quando si asserisce che
“l’assenza di una previsione espressa di per sé non inficia le disposizioni statutarie, che devono ovviamente essere coordinate, nel momento dell’interpretazione e dell’applicazione, con i dettami comuni” (T.a.r. Lombardia, 13-03-1995, n. 355).

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Ciò detto, il lecito distinguo tra ambito pubblicistico e ambito privatistico si può arrestare qui e si tratta di un aspetto non dirimente. Dirimenti sono piuttosto i due fatti seguenti, comuni ad entrambi gli ambiti:

– molto spesso la persona giuridica interessata difetta di un proprio autonomo organo “garante” della legalità interna;
– altresì, le circostanze in presenza delle quali un motivo possa dirsi “giustificativo” dell’assenza e quando no male si prestano ad essere codificate, dunque per lo più nessuno statuto si perita di farlo.

Talché è facile comprendere quanto di rado trovi effettivo sbocco alcuna iniziativa di decadenza per assenza ingiustificata e come a ciò corrisponda l’inevitabile diffondersi di pratiche lassiste circa il dovere di presenziare alle sedute degli organo collegiali.
Per contrasto, viene avvertita l’esigenza che la clausola statutaria possa trovare adeguata applicazione entro i limiti di equità, ragionevolezza e buona fede che particolarmente ad essa si addicono.
Così sembra degna di menzione la RISOLUZIONE n. 11/97 “sulle ipotesi e sul procedimento di decadenza dei giudici tributari” assunta nella seduta 01/07/1997 del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria competente ad adottare tutti i provvedimenti relativi ai componenti delle commissioni tributarie.
Tale risoluzione si direbbe suscettibile di applicazione per analogia in ambiti diversi da quello cui è direttamente rivolta.
All’esordio recita: “Possono essere considerati motivi di giustificazione dell’assenza a tre o più sedute consecutive: la malattia, l’astensione obbligatoria dal lavoro a norma della L. 1204/1971, la famiglia, l’attività professionale.”
Dopodiché, mentre vale rinviare alla lettura integrale del provvedimento, riportiamo ulteriormente il passo in cui, con riferimento ai giustificati motivi di “famiglia e attività professionale”, è dato rinvenire lungimiranti spunti di raro equilibrio giuridico ed etico:
“L’autorizzazione ad assentarsi per tale motivo può essere concessa, a domanda, per tutte le situazioni meritevoli di apprezzamento e di tutela, in quanto attinenti al benessere, allo sviluppo, all’adempimento di doveri inderogabili del cittadino-giudice tributario sia come membro di una famiglia sia come persona singola che opera nella società civile. ”
Richiami forti a valori alti, dunque, cui i membri di organi collegiali potrebbero scegliere di uniformarsi in vista di giustificare legittimamente le assenze dalle riunioni cui sono convocati, anziché lasciarsi determinare da cause nulla aventi a che vedere con quei valori, bensì con una assai più prosaica scarsa cura dell’ufficio ricoperto.
In scia piace anche ricordare una decisione giurisprudenziale che, di contro ad un panorama piuttosto “grigio”, dimostra un certo qual coraggio di presa di posizione affermando: “È legittimo il provvedimento di decadenza dalla carica di consigliere comunale per assenza ingiustificata, qualora la giustificazione addotta dall’interessato sia talmente relegata alla sua sfera mentale soggettiva (come nel caso della protesta politica non altrimenti e non prima esternata) da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza del motivo” (C. Stato, sez. V, 29-11-2004, n. 7761).
Conclusivamente, si noti che potrebbe schiudere ad un ritrovato senso di sano “rigore” l’orientamento giurisprudenziale che sembra potersi trarre dal combinato disposto delle due pronunzie seguenti, seppure riferite a fattispecie assai eterogenee tra loro: “Spetta al sindaco che non si sia presentato all’assemblea dei soci di fornire le giustificazioni circa la sua assenza per impedire la grave conseguenza della sua decadenza ex lege dalla carica” (T. Genova, 27-04-1995) e “È illegittima la deliberazione con la quale il consiglio comunale si limita a prendere atto delle giustificazioni delle assenze dalle sedute fornite da un consigliere comunale e, senza neppure verificare se le stesse siano accompagnate da un principio di prova circa i fatti indicati, respinge immotivatamente la richiesta di decadenza dalla carica ai sensi dell’art. 289, t. u. 4 febbraio 1915, n. 148, formulata dal primo dei non eletti” (T.a.r. Abruzzo, 02-03-1990, n. 144).

 

Genova, 05 Maggio 2010
Giovanni Musso Piantelli

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Giovanni Musso Piantelli

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