Psicologia sociale nel giuridico

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L’educazione ha quale scopo principale l’emancipazione dell’individuo da controlli e compensi esterni, sì da permettere al soggetto di perseguire comportamenti le cui gratificazioni siano “intrinseche”, ossia nel loro valore in sé, l’essere umano opera discriminazioni sottili tra le diverse situazioni-stimolo in relazione tanto alla somiglianza quanto al significato (Lang), così che compensi eccessivi esterni che si risolvano in una “sovra-giustificazione” di una attività possono essere negativi quanto una punizione, potendo essere interpretati quali forme di pressione che interferiscono con l’autonomia in società dove vi è una grande considerazione per la libertà (Brehem).

Ogni manifestazione comportamentale ha risultati estremamente complessi, in quanto con andamento irregolare può essere approvata o respinta da gruppi diversi, se nel carattere in formazione intervengono modelli aggressivi si possono avere effetti paradossali anche se indirizzati al blocco dell’aggressività in termini punitivi, infatti il soggetto può acquisire tale comportamento o all’opposto può intervenire impotenza o depressione quando si convince dell’inutilità di qualsiasi comportamento corretto, si ha quindi il non raggiungimento degli effetti di blocco delle manifestazioni antisociali estreme (Bandura e Seligman), interviene pertanto l’opportunità di pratiche e azioni di rinforzo diretto coerenti evitando rinforzi vicari che in senso contrario mettano in discussione i primi, occorre considerare il potenziale conflitto tra modelli proposti e risultati sociali pratici che si ottengono (Mischel e Liebert).

L’apprendimento sociale avviene sia in termini osservativi che identificativi con i modelli proposti, tanto che Bandura li considera interscambiabili, attraverso processi osservativi e cognitivi vi è un graduale apprendimento sui potenziali schemi di risposta, le probabili conseguenze di particolari comportamenti si possono ottenere in modo vicario osservando gli altri e i relativi risultati conseguiti anziché direttamente attraverso una “ prova ed errore” (trial and error), si otterranno quindi dei gradi di probabilità nel comportamento inversamente proporzionato al successo dello schema comportamentale osservato, è tuttavia da sottolineare che difficilmente si avrà una replica puramente meccanica essendovi comunque una ricombinazione di elementi differenti (Bandura, Ross e Ross).

Nell’apprendimento osservativo vi sono quattro elementi:

  • Attenzione;

  • Ritenzione;

  • Riproduzione;

  • Motivazione;

a questi occorrono aggiungere gli ingredienti essenziali della ripetizione e della sistemazione o categorizzazione dell’osservato, a cui affiancare il rafforzativo della motivazione perché si possa passare dalla conoscenza all’esecuzione, ma il modello a sua volta deve possedere gli attributi del potere e del controllo distribuzionale sulle risorse, oltre a una somiglianza con l’osservatore per cui vi sia una predisposizione di questi al particolare modello-stimolo, in particolare in presenza di situazioni ambigue (Akamatsu e Thelen).

L’acquisizione di uno schema non è un processo unitario ma avviene mediante successivi apprendimenti osservativi, tuttavia l’agire dei singoli nelle varie situazioni può mutare rispetto agli schemi in dipendenza di variazioni anche minime nelle precedenti esperienze (Kagan), si hanno nelle risposte individuali all’ambiente differenze dovute a “variabili personali” di apprendimento sociale cognitivo (Mischel), l’impatto dello stimolo sul comportamento è modificato dall’attenzione di natura selettiva e dall’interpretazione che ciascun soggetto realizza degli stimoli dell’ambiente e della situazione in cui agisce (Holmes e Houston), tanto che il concetto di “coscienzioso” viene ad assumere significati completamente diversi per ciascuno (Beni e Allen), in questo vi è una difficoltà culturale di omogeneizzazione di cui il diritto ne è l’espressione visibile.

La variabile personale di maggiore interesse è l’aspettativa individuale che è strettamente legata al comportamento specifico, si realizza una relazione specifica nell’aspettativa tra comportamento e risultato, in assenza di informazioni specifiche il comportamento prescelto sarà similare alle precedenti situazioni analoghe (Mischel e Staub) fino alla possibilità di arrivare ad una incapacità di adattamento, ma anche la relazione stimolo-risultato è parte di una stessa cultura, quando ad ogni stimolo/evento si ricollega il verificarsi di probabili altri eventi, tuttavia il valore degli eventi assume per ciascuno una differenza soggettiva sì da modificare l’importanza che si riveste all’aspettativa in termini individuali e le relitive risposte agli stimoli (Rotter), vi è in questo la possibilità di una auto-regolazione da acquisirsi, che può essere facilitata da rinforzi normativi esterni i quali possono tuttavia provocare effetti di frustrazione e aggressività.

La frustrazione si realizza come interruzione elle sequenze comportamentali dirette alla realizzazione di obiettivi prefissati e relativi vantaggi, la persistenza viene ad aggravare il senso di frustrazione come nelle ipotesi di legamenti forzati (Biderman) nei quali vi è una completa perdita di controllo, ma anche nei casi di “sovra-appreso”, in cui vi è una interruzione di sequenze operative dagli esiti favorevoli che si tende a ripetere secondo esperienza, si ha frustrazione con reazioni più intense se il blocco avviene nelle fasi vicine al completamento (Mandler).

Non si deve comunque considerare un binomio indissolubile frustrazione-aggressività, Bandura e Berkowitz hanno sottolineato sul binomio l’influenza di numerose condizioni acquisite nel corso della socializzazione che vengono ad inibire la risposta istintuale dell’aggressività conseguente alla frustrazione, la canalizzazione degli impulsi aggressivi, oltre che con la socializzazione, sono inibiti dal potenziale potere della vittima o dalle rappresaglie sociali che si possono instaurare, l’aggressività deve comunque scaricarsi secondo la teoria psicodinamica o mediante catarsi o dislocandosi verso un “capro espiatorio”.

L’esposizione alla violenza vera o come spettacolo aumenta l’aggressività del soggetto (Bandura-Hartman) e la permissività del contesto non fa che rafforzare i comportamenti aggressivi (Feshbach), se tuttavia l’aggressività proviene da stati di frustrazione risposte amichevoli, osserva Hokanson, può ridurre la carica di aggressività e bloccare una stimolazione eversiva, recentemente la teoria dell’apprendimento ha avanzato l’ipotesi che l’aggressività sia una risposta appresa e non istintuale, circostanza che ha indotto a ritenere che vi siano varie risposte alternative alla frustrazione secondo individuo e contesto, l’aggressività dipende dalla precedente storia di apprendimento e dalle esperienze (Bandura-Berkowitz).

Se l’aggressività è frutto di un apprendimento il fatto che questa socialmente paghi non deve farci stupire l’esistenza sociale di una pervasività dell’aggressività (Buss), tanto nella lotta per il potere quanto in termini di sfruttamento culturale attraverso i mass-media, che catturando l’attenzione vendono il prodotto dissociando in tal modo i livelli di frustrazione dall’aggressività e valorizzandone il modello per sé stesso (Bandura, Geen), i notevoli vantaggi che nei modelli si traggono dall’uso della stessa ne rafforzano il contagio culturale, ancor più nel caso in cui vi sia una distribuzione di responsabilità accompagnata dall’eventuale deumanizzazione della vittima (Bandura), in cui può esaltarsi la tendenza propria dell’individuo (Olweus), tuttavia compensi appropriati a reazioni diverse possono spingere il soggetto a comportamenti costruttivi, il sistema normativo deve quindi riuscire a bilanciare questi diversi aspetti dell’aggressività.

L’efficacia di una norma è la sua “sostenibilità” nel tempo, sia in termini economici che sociali, tale da disciplinare comportamenti e reazioni, si da ottenere una sufficiente coesione nella crescita economica e culturale, i cicli che inevitabilmente coinvolgono il sistema tra equilibrio e inevitabili crisi devono avere una durata sufficientemente lunga nell’omeostasi e breve nella crisi, considerando che nei periodi di equilibrio i costi per lobby verranno assorbiti, mentre nelle crisi nasceranno conflitti al fine di scaricare i costi tra i vari gruppi, il sistema quindi accentuerà ansia e stress agendo su quella che Spielberger definisce come ansia in quanto stato che andrà ad aggiungersi all’ansia in quanto tratto, di natura stabile e propria dell’individuo.

L’ansia non è indipendente dagli stimoli ma neanche intrinseca esclusivamente agli stessi, la reazione all’ansia è un misto che deriva allo stesso tempo dallo stimolo, dalla persona e dallo stile della risposta, nei momenti di crisi se ansia e tensione si trovano ad un livello moderato essa potrà essere di stimolo è la quantità elevata che determina blocco e disorganizzazione (Yerkes e Dodson), pertanto l’ansia essendo pure un’esperienza soggettiva è in diretta relazione con la gravità e durata dello stress e dei pericoli esterni nei quali incide la “valutazione cognitiva” dell’evento stressante (Lazarus e Alpert), la controllabilità dell’evento o anche la sola sua predicibilità, attraverso quella che è definita come una “inoculazione emotiva” (Qanis), può ridurre la tensione ma sempre in rapporto alle valenze soggettive e comunque non in presenza di stimoli ambivalenti dai risultati imprevisti e ambigui.

L’ansia e la frustrazione sono anche il risultato di una mancanza di rispetto dell’altro che può avvenire anche in termini normativi oltre che comportamentali, sensazione che si affianca alla percezione di perdita del controllo e della conseguente possibilità di scelta, da cui discende depressione e perdita di efficienza (Saligman-Miller), solo successivamente potrà esservi una eventuale rielaborazione giustificazionale dell’evento, infatti nell’io vi sono due funzioni, la prima di controllo dell’io stesso, la seconda di elasticità dell’io alle sollecitazioni dell’ambiente esterno, questi due elementi uniti formano le qualità centrali dell’io (Block e Block).

Rotter parla di “locus del controllo” nel quale il controllo ha una doppia dimensione esterna ed interna, nella prima la percezione sul controllo degli eventi è solo parziale, mentre nella seconda dimensione si ha una chiara percezione che gli eventi rientrano sotto il controllo personale (Lefcourt), si ha quindi un livello personale (sé) ed un livello ideologico (sistema sociale) (Lao), l’altro aspetto dell’autocontrollo è il comportamento morale che diventa più facilmente incoerente in presenza di situazioni e contesti diversificati, viene a mancare il più delle volte una continuità netta comportamentale anche se non vi è mai uno scollegamento completo; si sono individuate tre specifiche aree di moralità minimamente correlate, fornita ciascuna di un alto grado di specificità, tale che il comportamento in una data manifestazione morale non è correlato ad una situazione di diversa area (Alpert), queste aree sono date dal giudizio morale e standard verbali su quello che è giusto o sbagliato, la resistenza alle tentazioni in assenza di costrizioni esterne e il sentimento di colpa in seguito a trasgressione (Kohlberg, Aronfreed, Allinsmith), viene quindi a cadere l’idea di un Super-io unitario che a sua volta ricomprenda in sé una unitarietà di coscienza e onestà.

Sebbene vi possa essere una mancanza di coerenza tra atteggiamenti e convinzioni, questa subentra realmente in presenza di convinzioni sociali, politiche e ideologiche (Zanna), tuttavia questo può risolversi in arbitri e sopraffazione anche in presenza dell’affermazione di alti principi morali che vengono a giustificare uno zelo persecutorio, fornendo o rinforzando la carica di aggressività necessaria a superare qualsiasi disapprovazione fino a disumanizzare, distribuire e trasferire la responsabilità, attribuire colpe e adottare codici inumani quali auto-rinforzatori, oltre che a stravolgere a fini persecutori la capacità di categorizzare necessaria all’essere umano per rapportarsi con il mondo.

La categorizzazione delle esperienze è fondamentale al fine di una comunicazione rapida ed efficiente con un risparmio sullo sforzo cognitivo, tuttavia può dare luogo a conseguenze tragiche se gli schemi adottati che riproducono la realtà si assolutizzano sfuggendo a qualsiasi valutazione critica, il comportamento umano non può essere schematizzato in termini assoluti esso è il risultato dell’incontro tra opinioni dell’osservatore e caratteristiche del soggetto osservato, è la cultura che viene a fornire particolari significati a comportamenti e attributi, secondo schemi associativi pregiudiziali chiamati da Schnefder teorie implicite della personalità.

Le singole impressioni non vengono percepite come frammenti isolati ma organizzate in unità la cui organizzazione dipende dalle variabili che il contesto fornisce all’osservatore, attraverso alcuni dati “centrali” si va oltre l’informazione fornitaci formando un’immagine globale la quale dipende dalla sequenza osservativa, se questo velocizza può tuttavia dare luogo ad un effetto restrittivo e distorsivo che si verifica in tutti i campi, da quello della ricerca scientifica (Kahneman e Tversky), alla diagnosi clinica (Rubin e Shontr), alle ipotesi di problem solving (Davison), fino alle impressioni nella percezione personale (Asch), vi è quindi una difficoltà nella verità psicologica che si ricollega alla nostra ricerca di scoprire le ragioni che motivano le azioni del singolo una volta formata l’impressione iniziale, così che attraverso stimoli indiziari comportamentali, persino frammentari, tendiamo ad attribuire causalità a noi confacenti (Kelley), giungendo a conclusioni ipotetiche ma da noi ritenute sufficientemente corrette.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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