Proroga dello stato di emergenza di cui alla L. n. 11/2022, profili di incostituzionalità

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A seguito dell’entrata in vigore della Legge di conversione n. 11/2022 che proroga lo stato di emergenza al 31 marzo 2022, quali sono i possibili profili di illegittimità costituzionale emerse dalla sentenza del Tribunale di Pisa, Sezione Penale, n. 1842/2021?

Indice:

  1. La dichiarazione di stato di emergenza e le successive proroghe
  2. Lo “stato di emergenza” e lo “stato di guerra” in Costituzione
  3. Lo “stato di emergenza” nella legge ordinaria
  4. Conclusioni – questioni di intollerabilità giuridica alla prosecuzione dello stato di emergenza

1. La dichiarazione di stato di emergenza e le successive proroghe

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 41 della Legge n. 11 del 18 febbraio 2022 di conversione del D.L. n. 221 del 24 dicembre 2021, è stata definitivamente approvata l’introduzione nel nostro sistema di diritti, del Green Pass base e del Green Pass rafforzato, nonché la proroga dello stato di emergenza fino al 31 marzo 2022.

E’ ormai tristemente noto che la dichiarazione di stato di emergenza assunta con Delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 – pubblicata in G.U. del 01.02.2020, pag. 7, ma resa di dominio pubblico solo a marzo 2020 – che sancisce un termine di “6 mesi” (ergo fino al 31.07.2020) “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” sulla scorta  della “dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020”, è stato successivamente prorogato dal CdM al 15 ottobre 2020, poi al 31 gennaio 2021, poi ancora al 30 aprile 2021, poi di nuovo al 31 luglio 2021, e al 31 dicembre 2021 e, da ultimo, al 31 marzo 2022.

Il risultato, a distanza di oltre due anni dalla dichiarazione dello stato di emergenza, è che il Governo, attraverso 6 successive proroghe ha, di fatto, “normalizzato” una situazione definita emergenziale e straordinaria, decretando, nei fatti, il passaggio da uno stato di emergenza sanitaria ed epidemiologica, ad una gestione “ordinaria” dell’epidemia. L’effetto di continue e ripetute proroghe non è altro che il venir meno dei presupposti di temporaneità e di urgenza dei provvedimenti limitatitivi delle libertà e diritti dei cittadini.

2. Lo “stato di emergenza” e lo “stato di guerra” in Costituzione

Come rilevato da autorevoli esperti (in particolare, il giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese) la pandemia non è una guerra e, di conseguenza, non è applicabile il ricorso all’articolo 78.

La Costituzione Italiana del 1948 non contempla lo “stato di emergenza”, a differenza di quanto previsto, ad esempio, dall’art. 48 della Costituzione di Weimar; dall’art. 116 della Costituzione spagnola; dall’art. 48 della Costituzione ungherese; dall’art. 19 della Costituzione portoghese e dall’art. 16 della Costituzione francese.

Nella nostra Carta fondamentale è previsto unicamente lo “stato di guerra” ex art. 78 Cost., e non (anche) lo “Stato di emergenza”.

Ad ogni modo lo “Stato di guerra” deve essere deliberato dal Parlamento, il quale stabilisce quali sono i poteri del Governo per far fronte alla situazione (art. 78 Cost.), ed infine deve essere dichiarato dal Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.). Nel nostro caso lo “stato di emergenza” non è stato invece deliberato dal Parlamento, ne’ dichiarato dal Presidente della Repubblica.

E inoltre, qualsivoglia deroga è ammessa per disciplinare l’esercizi dei diritti, e non per sopprimerli.

La situazione attuale, che stiamo vivendo da oltre due anni, non appare pertanto giuridicamente assimilabile allo “stato di guerra” previsto dall’art. 78 Cost., né, dato il carattere speciale di tale fattispecie, si può ammetterne una applicazione analogica in condizioni di emergenza.

Tale assenza non è riconducibile ad una dimenticanza, quanto, piuttosto, ad una scelta ponderata e consapevole dei nostri Padri Costituenti di non far ricomprendere situazioni diverse da quelle dell’emergenza bellica.

I Costituenti scelsero, infatti, di non assumere lo stato di eccezione come fatto legittimante il ricorso al diritto eccezionale, cioè a regole in deroga alla disciplina generale con efficacia temporanea, consegnate in una clausola generale a contenuto indeterminato, applicabile ogni qual volta ci si trovasse di fronte ad una situazione imprevedibile e straordinaria. In sede di Assemblea costituente, in II Sottocommissione, l’on. La Rocca presentò una proposta diretta a dichiarare lo stato d’assedio su decisione del Capo dello Stato, constatata “la necessità e l’urgenza di una misura straordinaria a garanzia della vita del paese”. La Sottocommissione, tuttavia, valutati gli argomenti a favore e contro, rifiutò però l’inserimento della clausola nel progetto in quanto la sua presenza avrebbe dimostrato “che vi [era] la preoccupazione di prevedere certe eventualità e di organizzare certe situazioni di poteri più o meno dittatoriali, che [sarebbero state] in contraddizione con la logica stessa della costituzione”[1].

La proposta fu dunque decaduta e abbandonata.

Il 16 ottobre 1947, nella seduta pomeridiana, mentre l’assemblea costituente proseguiva l’esame degli emendamenti, si diede lettura, da parte del Presidente, dell’articolo 74 bis proposto dall’on. A. CRISPO: «L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato di assedio e i provvedimenti relativi»[2]. Tale emendamento, tuttavia, subì la medesima sorte dei precedenti e fu esclusa dal testo finale della Carta costituzionale, da un lato allo scopo di evitare che attraverso la dichiarazione dello “stato di emergenza” si potesse disattendere l’ordinamento costituzionale democratico, mediante la compressione dei diritti fondamentali e quindi l’alterazione dell’assetto dei poteri per cui sospendere i diritti di libertà equivaleva a sospendere la democrazia ravvisandone unacontraddizione palese”; dall’altro il rilievo che le lungaggini procedurali imposte dall’art. 78 (che richiede una delibera parlamentare prodromica alla dichiarazione dello stato di guerra) non fossero idonee a fronteggiare efficacemente le eterogenee situazioni emergenziali che si sarebbero potute presentare.[3]


Leggi anche l’articolo:

Lo stato di emergenza durante la pandemia da covid-19


3. Lo “stato di emergenza” nella legge ordinaria

Lo stato di emergenza, se pur non inserito nella Costituzione, non è tuttavia ignorato dal sistema legislativo italiano e trova la propria disciplina con la legge n. 225 del 1992 (istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile), compiutamente riformata con il d.lgs. n. 1 del 2018 (Codice della protezione civile).

Come dimostra il Dossier n. 183 presentato in Senato e consultabile al sito “In Italia, l’articolo 16 della Costituzione demanda alla legge la determinazione, in via generale, di limitazioni – anche per motivi di sanità – alla libertà di circolare liberamente sul territorio nazionale, ma nessun articolo è espressamente dedicato allo stato d’urgenza o allo stato di necessità. La prima definizione legislativa dello stato d’urgenza, di carattere generale, si è avuta con la legge istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile (L. 225/1992, abrogata dal d.lgs. 1/2018, recante il Codice della protezione civile). In occasione degli eventi legati all’epidemia di COVID-19, connessi inizialmente solo a profili di prevenzione e controllo sanitario, le prime due ordinanze di contenimento sono state adottate dal Ministro della salute sulla base dell’articolo 32 della L. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, facendo leva sui poteri attribuiti all’autorità sanitaria competente in tema di “sorveglianza sanitaria e di perseguimento dello scopo di contenere la diffusione delle malattie infettive diffusive”. L’articolo 32 della L. 833/1978 disposizione prevede infatti che “il Ministro della [salute] può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni.”

Successivamente, invece, si è scelto di dichiarare lo stato di emergenza nazionale con la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, basato sull’articolo 7, comma 1, lettera c), del d.lgs. 1/2018. Lo stato di emergenza nazionale è giustificato da “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che, in ragione della loro intensità o estensione, debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”, ma non ha una caratterizzazione specifica per quanto attiene alle emergenze sanitarie. Si è proceduto dunque ai sensi degli articoli 24 e 25 del d.lgs. 1/2018, ossia con la deliberazione del Consiglio dei ministri che ha fissato la durata e l’estensione nazionale dello stato di emergenza – di durata pari a 6 mesi, fino al 31 luglio 2020 – seguita da atti normativi primari e secondari e da ordinanze di protezione civile.”.

Lo stato di emergenza è stato, dunque, dichiarato sulla scorta del codice della protezione civile.

Ora, il citato Decreto legislativo stabilisce all’art. 24 “(Deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale (Articoli 5 legge 225/1992; Articoli 107 e 108 decreto legislativo 112/1998; Articolo 5-bis, comma 5, decreto-legge 343/2001, conv. legge 401/2001; Articolo 14 decreto-legge 90/2008, conv. legge 123/2008; Articolo 1, comma 422, legge 147/2013): 1. Al verificarsi degli eventi che, a seguito di una valutazione speditiva svolta dal Dipartimento della protezione civile sulla base dei dati e delle informazioni disponibili e in raccordo con le Regioni e Province autonome interessate, presentano i requisiti di cui all’articolo 7, comma 1 lettera c), ovvero nella loro imminenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, formulata anche su richiesta del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato d’emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi.. omissis”

L’art. 7 citato, rubricato “Tipologia degli eventi emergenziali di protezione civile (Articolo 2, legge 225/1992)” afferma: “1. Ai fini dello svolgimento delle attività di cui all’articolo 2, gli eventi emergenziali di protezione civile si distinguono in: a) emergenze connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili, dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria; b) emergenze connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che per loro natura o estensione comportano l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni, e debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo, disciplinati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nell’esercizio della rispettiva potestà legislativa; c) emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiega- re durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24.”.

Pertanto, al fine di valutare se all’attuale situazione sia applicabile il decreto de quo, occorre analizzarne i presupposti. Ebbene, per la definizione di “calamità naturale”, possiamo fare ricorso al disegno di legge per la legge quadro sulle calamità naturali, che, all’art. 9 “(Tipologia dell’evento calamitoso, criteri e definizione)” sancisce: “1. Al fine di realizzare una omogeneità di giudizio ed una sostanziale equità sociale dell’intervento pubblico nelle circostanze di eventi naturali particolarmente dannosi, si definiscono calamità naturali, e danno luogo a quanto previsto dalla presente legge, quegli eventi naturali, sia meteorologici o sismici che tettonici, o tellurici, o marittimi, e quant’altro rapportabile alla fisicità del territorio, connesso o meno alle grandi opere pubbliche infrastrutturali, che abbiano le seguenti caratteristiche tipologiche: a) l’entità del fenomeno o la violenza delle sue manifestazioni rivestano carattere di “eccezionalità scientifica o statistica”; b) l’entità del fenomeno o la violenza delle sue manifestazioni abbiano raggiunto livelli superiori al 200 per cento della media dei fenomeni abituali dell’area interessata; c)l‘entità dei danni prodotti, calcolati per settori produttivi o categorie di danni omogenei, abbiano raggiunto livelli superiori al 20 per cento del comparto di riferimento dell’area interessata.”

Mentre, il termine “pandemia” è definito dall’OMS come “la diffusione mondiale di una nuova malattia, molto contagiosa e ad alta mortalità, per la quale le persone non hanno immunità.”; e, nell’ambito dell’art. 438 c.p. con il termine “epidemia” si intende una particolare malattia infettiva che, sviluppatasi in maniera più o meno brusca, colpisce gruppi rilevanti della popolazione, per poi attenuarsi più o meno rapidamente dopo aver compiuto il suo corso (Piccinino, I delitti, 124; Battaglini, Bruno, 559). Non è qualunque malattia infettiva e contagiosa ma soltanto quella suscettibile di diffondersi nella popolazione per la facile propagazione dei suoi germi, in modo da colpire in un unico contesto temporale un elevato numero di persone (Erra, 47; Manzini, 398, il quale richiede, altresì, il carattere della straordinarietà). Elementi caratterizzanti dell’epidemia (intesa come malattia contagiosa che colpisce ad un tempo stesso gli abitanti di una città o di una regione) sono: il carattere contagioso del morbo; la rapidità della diffusione e la durata limitata del fenomeno; il numero elevato delle persone colpite, tale da destare un notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato e notevole di persone; un’estensione territoriale di una certa ampiezza.

4. Conclusioni – questioni di intollerabilità giuridica alla prosecuzione dello stato di emergenza

Da una simile analisi, è agevole intravedere che:

i) all’interno delle situazioni di calamità, non trova cittadinanza l’emergenza sanitaria;

ii) il D. Lgs. 1/2018 non può, dunque, essere applicato alla condizione in atto.

In altre parole, dal momento che né la nostra Costituzione, né la nostra legge ordinaria offrono strumenti per dar disciplina giuridica a questa tragedia mondiale, si dovrà concludere che l’emergenza de qua non risulta legiferata nel nostro ordinamento.

Ne discende che lo stato di emergenza prorogato sino al 31.03.2022 risulta contra legem sotto un duplice profilo: da un lato, per mancanza dei presupposti; dall’altro, anche qualora si ritenesse comunque applicabile la disciplina di cui al D. Lgs. 1/2018, per superamento del limite temporale, in quanto l’art. 24 dispone che lo stato di emergenza non può superare i 12 mesi ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi.

Pertanto, condividendo le motivazioni della sentenza n. 1842 del 08.11.2021 del Tribunale di Pisa, Sezione Penale, depositata in data 17.02.2022, poiché lo stato di emergenza permane a distanza di oltre 24 mesi dalla sua dichiarazione, esso si pone al di fuori dei confini di legittimità, costituendo una deroga ad una previsione speciale che a sua volta deroga alle norme ordinarie.

Ma vi è di più: una simile situazione si pone, altresì, in contrasto con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 213/2021, nella quale si evidenzia che “11.3.- Nel corso dell’anno in cui si è manifestata la pandemia e fino al 31 dicembre 2020 la temporanea sospensione dell’esecuzione di tutti provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, ha costituito una delle tante misure adottate per fronteggiare l’emergenza… omissis..11.4.- Però il sacrificio per i locatori non poteva che essere temporaneo.

L’emergenza può giustificare, solo in presenza di circostanze eccezionali e per periodi di tempo limitati, la prevalenza delle esigenze del conduttore di continuare a disporre dell’immobile, a fini abitativi o per l’esercizio di un’impresa, su quelle del locatore. In passato, questa Corte, nel valutare la legittimità costituzionale di disposizioni che avevano sospeso l’esecuzione degli sfratti, anche se solo per alcune categorie di conduttori, ha evidenziato che la legittimità di misure siffatte si correla al rispetto della duplice condizione della loro eccezionalità e temporaneità (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003)” concludendo che “se l’eccezionalità della pandemia da COVID-19 giustifica, nell’immediato e per un limitato periodo di tempo, la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili (anche perché, in particolare, vi è stato, da parte del legislatore, un progressivo aggiustamento del bilanciamento degli interessi e dei diritti in gioco, nei termini sopra indicati), d’altra parte però questa misura emergenziale è prevista fino al 31 dicembre 2021 e deve ritenersi senza possibilità di ulteriore proroga, avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando la sua funzione sociale (art. 42, secondo comma, Cost.).”.

In termini non dissimili, si è espressa la pronuncia n. 236/2021, per la quale “…gli effetti negativi della protrazione del “blocco” delle esecuzioni sono stati lasciati invariabilmente a carico dei creditori, tra i quali pure possono trovarsi anche soggetti cui è stato riconosciuto un risarcimento in quanto gravemente danneggiati nella salute o operatori economici a rischio di espulsione dal mercato. Costituzionalmente tollerabile ab origine, la misura è divenuta sproporzionata e irragionevole per effetto di una proroga di lungo corso e non bilanciata da una più specifica ponderazione degli interessi in gioco, che ha leso il diritto di tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. nonché, al contempo, la parità delle parti e la ragionevole durata del processo esecutivo”, da cui emerge expressis verbis l’intollerabilità giuridica di ulteriori proroghe.

 


Note:

[1] Consultabile al sito https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/01generali/09/02/index.htm

[2] Disponibile all’indirizzo: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s2/078/index.htm?art078-012-1.htm&2

[3] B. CHERCHI,Stato d’assedio e sospensione delle libertà nei lavori dell’Assemblea costituente, inRiv. Trim. Dir. Pubblico, 1981 p. 1108 ss.; M. PIAZZA, L’illegittima “sospensione della costituzione” prevista nel cosiddetto c.d. “Piano Solo” in Giur. Cost., 2001, p. 804 ss.

Cristina Malavolta

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