Procedura di conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo: primi chiarimenti operativi

Redazione 18/01/13
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Anna Costagliola

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la circolare n. 3 del 16 gennaio 2013, fornisce indicazioni utili al corretto svolgimento della procedura conciliativa legata ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, prevista dall’art. 7 della L. 604/1966, recentemente riformulato dalla L. 92/2012 (cd. riforma Fornero).

La circolare si sofferma, in particolare, sul campo di applicazione della procedura e sul corretto svolgimento dei relativi adempimenti rimessi in capo alle Direzioni territoriali del lavoro.

In via preliminare, si ricorda che la L. 92/2012, novellando l’art. 7 della L. 604/1966, ha previsto per la fattispecie dei licenziamenti che presuppongono un giustificato motivo oggettivo un tentativo obbligatorio preventivo di conciliazione a carico dei datori di lavoro che rientrino nell’ambito della tutela reale (e che dunque occupino più di 15 dipendenti ai sensi del rinnovato art. 18, co. 8, L. 300/1970). L’esperimento del tentativo di conciliazione costituisce una condizione di procedibilità ai fini dell’intimazione del licenziamento.

La procedura obbligatoria di licenziamento per giustificati motivi oggettivi impone, pertanto, un intervallo temporale tra il momento in cui il datore di lavoro manifesta la propria volontà di recedere dal rapporto, comunicata al lavoratore interessato, e quello nel quale il licenziamento esplica i propri effetti; questo lasso di tempo consente alle parti di confrontarsi presso una sede che offre garanzie di terzietà e di trovare soluzioni alternative al licenziamento.

Nello specifico, la circolare si sofferma sui seguenti aspetti:

a) ambito di applicazione della procedura: sono individuati i datori di lavoro interessati dalla stessa sulla base dei limiti dimensionali indicati dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), precisandosi che il calcolo della base numerica deve essere effettuato non già al momento in cui avviene il licenziamento, ma avendo quale parametro di riferimento la cd. «normale occupazione» nel periodo precedente (ultimi 6 mesi), senza tener conto di temporanee contrazioni di personale. E’ poi sottolineata la non computabilità, ai fini del calcolo della soglia numerica, di alcune tipologie contrattuali per effetto di specifiche previsioni legislative (es. assunti con rapporto di apprendistato, con contratto di inserimento e di reinserimento, lavoratori somministrati);

b) motivazioni del licenziamento: sotto questo profilo si sottolinea, secondo l’orientamento espresso anche dalla giurisprudenza della Cassazione, che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva è una scelta riservata esclusivamente al datore di lavoro, quale responsabile della corretta gestione dell’attività, anche dal punto di vista economico ed organizzativo. Detta scelta, pertanto, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità.

Tanto premesso, mentre si fanno rientrare nell’ambito della fattispecie in questione le ipotesi di ristrutturazione di reparti, di soppressione del posto di lavoro, di licenziamento per inidoneità fisica ed altre ancora specificamente individuate, non si ritiene invece ricompreso nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo il licenziamento avvenuto per superamento del periodo di comporto ai sensi dell’art. 2110 c.c.;

c) apertura della procedura e contenuto della comunicazione: a differenza del tentativo facoltativo di conciliazione previsto dalla L. 183/2010 (cd. collegato lavoro), ove i luoghi «teatro» dell’iter procedurale teoricamente possibili sono diversi (organismi di certificazione, camere e collegi arbitrali, sedi sindacali ecc.), la procedura compositoria in questione si può svolgere solo innanzi alla commissione di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del lavoro. E’ ad essa, pertanto, che il datore di lavoro deve inviare una comunicazione scritta (che va trasmessa per conoscenza anche al lavoratore) cui con cui manifesta la propria intenzione di procedere al licenziamento per un motivo oggettivo, indicando le motivazioni specifiche della scelta effettuata. Nella nota ministeriale si sottolinea come detta comunicazione sia di fondamentale importanza, in quanto consente di conoscere le cause che determinano, ad avviso del datore di lavoro, la necessità di procedere al licenziamento. Essa, pertanto, deve presentare caratteristiche precise, che rispecchiano i principi di correttezza e buona fede. Con sufficiente precisione vanno individuate anche le eventuali misure attivabili ai fini di una ricollocazione, in quanto posso facilitare la soluzione della controversia. Il momento di avvio della procedura è individuato a partire dalla data di ricezione della comunicazione da parte della DTL;

d) istruttoria e tempi del procedimento: ciò su cui, in particolare, la nota ministeriale si sofferma è lo svolgimento degli adempimenti di competenza della DTL. Infatti viene sottolineato che l’Ufficio deve convocare le parti davanti alla commissione provinciale di conciliazione, trasmettendo l’invito a comparire entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell’istanza, con lettera raccomandata o preferibilmente attraverso posta elettronica certificata. Pur non escludendosi che in linea di principio le parti possano delegare altre persone alla trattazione si ritiene che dall’articolato normativo emerga l’opportunità che i soggetti interessati siano tutti presenti, in particolar modo il lavoratore.

Inoltre, poiché la procedura si deve concludere entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, il Ministero del lavoro fa presente che il termine si deve calcolare dalla data di convocazione e, quindi, all’interno dei 20 giorni vanno computati anche quelli necessari alla ricezione della lettera raccomandata, nonché che l’incontro deve necessariamente essere «ravvicinato» per consentire alle parti un vero confronto.

Ancora sottolinea la circolare come il termine di 20 giorni possa essere superato, anche su richiesta della commissione, se le parti lo reputano necessario per il raggiungimento di un accordo ma, in questo caso, è opportuno che lo «sforamento» risulti da un verbale di riunione interlocutorio.

Vi è in ogni caso, poi, la possibilità della sospensione temporanea della procedura conciliativa in presenza di un legittimo e documentato impedimento del lavoratore (anche autocertificabile) a presenziare alla riunione fissata per il tentativo di conciliazione, per un periodo massimo di 15 giorni. In proposito il Ministero chiarisce che l’impedimento può consistere in uno stato di malattia ma, anche, in un motivo diverso afferibile alla propria sfera familiare che, però, deve trovare la propria giustificazione in una tutela prevista dalla legge (es. un intervento di assistenza ex lege 104/1992) o dal contratto;

e) esito negativo/positivo del tentativo di conciliazione: in caso di esito negativo della procedura, la commissione è tenuta a redigere un verbale di mancato accordo dal quale, come sottolinea il Ministero, deve desumersi con sufficiente approssimazione il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa.

Con riferimento all’ipotesi di esito positivo della conciliazione, la commissione deve procede alla verbalizzazione dei contenuti, che divengono inoppugnabili, trattandosi di una conciliazione avvenuta ex art. 410 c.p.c.; se, invece, si perviene ad una risoluzione consensuale del rapporto, la commissione ne darà atto attraverso il verbale riportandone tutti i contenuti, ivi compresi quelli di natura economica.

Ricorda, infine, la circolare che, in ipotesi proprio di risoluzione consensuale del rapporto sottoscritta innanzi alla commissione di conciliazione, presieduta da un funzionario della Direzione del lavoro, si bypassa la fase della convalida da parte degli organismi a ciò abilitati cui è di norma sospensivamente condizionata l’efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto (art. 4, co. 17, L. 604/1966).

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