Primo incontro di mediazione: la Cassazione risolve il conflitto? Breve commento alla sentenza della Corte di Cassazione, 27 marzo 2019, n. 8473

Redazione 20/06/19
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di Francesca Cuomo Ulloa*

* Avvocato

Sommario

1. L’intervento della Cassazione sul primo incontro di mediazione

2. Partecipazione personale e rappresentanza in mediazione ovvero: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”

3. Il dilemma del primo incontro: proseguire o non proseguire?

4. Una rondine non fa primavera?

5. Tra i due litiganti il terzo non gode…

1. L’intervento della Cassazione sul primo incontro di mediazione

La mediazione torna agli onori della cronaca giurisprudenziale grazie ad un importante intervento della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 8473 del 2019[1] prende posizione su alcune delle questioni più controverse poste dalla disciplina contenuta nel d. lgs. 28/2010. In questo sito si era già dato conto del vivace contrasto maturato su alcune di quelle questioni segnalando le diverse letture della disciplina della condizione di procedibilità dettata dall’art. 5, comma 1 bis del citato decreto 28/2010 come riformato nel 2013[2]. In quella sede[3] si erano in particolare contrapposte le interpretazioni più rigorose, secondo cui per soddisfare la condizione di procedibilità sarebbe stata necessaria una mediazione effettiva (la parte cioè avrebbe dovuto non solo presenziare personalmente al primo incontro assistita dal proprio avvocato ma, salva l’esistenza di ragioni oggettive di impossibilità, avrebbe anche dovuto proseguire la mediazione)[4] a quelle più indulgenti secondo cui la presenza, al primo incontro anche del solo avvocato in sostituzione della parte o addirittura la mera presentazione dell’istanza[5] sarebbero state sufficienti ad adempiere l’obbligo che, in ogni caso, sarebbe stato soddisfatto anche qualora all’esito del primo incontro una od entrambe le parti, od i loro avvocati, dopo essere stati edotti dal mediatore circa la natura ed il funzionamento della mediazione, avessero manifestato la loro indisponibilità a proseguire il procedimento[6].

Ora a comporre questo contrasto interviene la Suprema Corte fornendo un’interpretazione apparentemente idonea a superare i divergenti orientamenti della giurisprudenza di merito almeno con riferimento ai due profili centrali posti dal combinato disposto degli artt. 5 e 8 del d. lgs. 28: quello della “partecipazione alla mediazione” e quello, funzionalmente collegato della “prosecuzione oltre il primo incontro”.

[1] Cass. Civ. 27 marzo 2019, n. 8473.

[2] Come noto la attuale disciplina è frutto delle modifiche introdotte con il d.l. 21 giugno 2013 (conv. con modificazioni con la L. 8 agosto 2013, n. 98) sul testo originario del d. lgs. 28 del 2010 che era stato dichiarato parzialmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012; sulla controversa interpretazione del combinato disposto del nuovo art. 5 commi 1 bis e 2 bis e dell’art. 8, comma 1 in forza del quale “… al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione…sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento…” ; v. tra gli altri spec. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, Bologna, 2016, p.392 ss.; M.A. Lupoi, Ancora sui rapporti tra mediazione e processo civile dopo le ultime riforme, in Riv. trim. proc. civ., 2016, p. 13, 29 ss.; Ferraris, in Contratti, 2015, p. 692; Sandulli, In tema di mediazione delegata dal giudice, in Nuova proc. civ., 2015, fasc. 2; Raiti, Primo incontro di mediazione e condizione di procedibilità della domanda ai sensi del novellato art. 5, comma 2 bis, d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28 , p. 570.

[3] V. Cuomo Ulloa, Oscillazioni sulla partecipazione delle parti al procedimento di mediazione, in Aulacivile.it, cui si rinvia per tutti gli ulteriori riferimenti giurisprudenziali in ordine alle questioni trattate.

[4] Tribunale di Vasto, 17 dicembre 2018, consultabile su www.adrnotariato.it; v. anche Tribunale Roma, 20 dicembre 2018, in quotidianogiuridico.it

[5] Tribunale di Savona, 19 ottobre 2018, in ilcaso.it

[6] Tribunale di Verona, 11 maggio 2017 n. 1626, in altalex.com

2. Partecipazione personale e rappresentanza in mediazione ovvero: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”

Con riferimento alle modalità di partecipazione alla mediazione l’interpretazione della Corte potrebbe apparire, almeno ad una prima lettura, di opportuna mediazione: la S.C. infatti, parrebbe inizialmente avallare le posizioni della giurisprudenza più rigorosa, insistendo sull’importanza che assume la partecipazione personale e riconoscendo come solo il contatto diretto e l’interlocuzione informale con il mediatore possano aiutare le parti a definire con reciproca soddisfazione la lite, anche al di là delle soluzioni in diritto. Fatta questa premessa, tuttavia, la Corte non ne condivide fino in fondo le implicazioni ma, riportando l’attenzione sul dato normativo, ne attenua sensibilmente la portata: nonostante il rilievo riconosciuto alla presenza personale, infatti, la Corte esclude che, in assenza di una norma espressa in tal senso, la partecipazione alla mediazione sia una attività personalissima (come lo è ad esempio la partecipazione all’interrogatorio formale) ed ammette quindi, pur senza auspicarlo, che la parte possa farsi rappresentare davanti al mediatore. D’altro lato e ancor più significativamente la Corte, pur ponendo l’accento sul ruolo nuovo e diverso che gli avvocati dovrebbero assumere in mediazione, affiancando i propri clienti nel negoziato con nuove competenze comunicative e relazionali[7], non arriva però ad escludere che il difensore possa anche sostituire la parte in mediazione, consentendo quindi all’avvocato di cumulare, secondo uno schema più “tradizionale”, il ruolo di assistente con quello di rappresentante[8].

A ben vedere dunque, ed al di là delle affermazioni di principio, la soluzione offerta dalla Corte alla questione della partecipazione alla mediazione appare più vicina alle posizioni meno rigorose della giurisprudenza di merito, permettendo di fatto alla parte di soddisfare la condizione di procedibilità anche senza incontrare il mediatore, senza cioè sottoporsi a quel prezioso confronto trilaterale che solo con la presenza personale di tutte le parti potrebbe avvenire in mediazione.

Un parziale correttivo potrebbe derivare dalla lettura dell’ulteriore passaggio della motivazione dove la Corte individua le condizioni necessarie affinché il potere di rappresentanza possa essere validamente conferito: a questo fine, infatti, la parte dovrebbe conferire al rappresentante una procura speciale sostanziale “avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione ed il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto”. Non sarebbe invece sufficiente la procura alle liti ancorché rilasciata in forma notarile; né l’avvocato potrebbe autenticare la procura sostanziale posto che il conferimento del potere in questione esula dai poteri che eccezionalmente l’art. 83 c.p.c. riconosce al difensore nel processo. Ed allora – sembrerebbe suggerire la Corte[9] – affinché l’avvocato possa sostituire la parte in mediazione occorrerebbe una procura speciale e sostanziale che sia anche autenticata da un notaio con le formalità e gli oneri che tale soluzione inevitabilmente comporta[10]. Il condizionale è tuttavia d’obbligo perché se è vero che questa è stata la lettura più accreditata nei primi commenti alla sentenza, altrettanto vero è che essa non è l’unica possibile né, forse, la più convincente: la Corte, infatti, mentre esclude espressamente che l’avvocato possa rappresentare la parte in forza della procura alle liti e ciò anche quando si tratti di procura autenticata da un notaio; non altrettanto espressamente richiede la forma notarile della procura sostanziale, limitandosi in realtà a segnalare che detta procura non può essere autenticata dall’avvocato; diversa potrebbe dunque essere la conclusione indicata dalla Corte che non avrebbe in realtà voluto imporre il rilascio di una procura notarile per consentire al rappresentante di partecipare alla mediazione, ma soltanto chiarire che qualora per la natura dei diritti oggetto della mediazione o per altre ragioni quella procura debba essere autenticata, l’autentica non potrebbe provenire dall’avvocato. Così ragionando, la necessità della procura notarile sarebbe quindi circoscritta alle sole ipotesi in cui l’accordo eventualmente raggiunto in mediazione dovesse avere forma solenne (per poter poi, ad esempio, essere trascritto nei pubblici registri), mentre sarebbe consentito all’avvocato ed in generale al rappresentante della parte di partecipare al primo e agli incontri successivi anche in forza di una semplice procura scritta, salva la sua eventuale integrazione in ragione dei contenuti dell’accordo e salva altresì l’applicazione dei principi di cui all’art. 1393, c.c.

Se così fosse la Corte avrebbe dunque indicato (pur senza la auspicata chiarezza[11]) una soluzione più coerente con quanto disposto dall’art. 1392 c.c., oltre che con l’attuale quadro normativo della mediazione: in assenza di una norma espressa che lo stabilisca, il giusto riconoscimento dell’importanza che assume la partecipazione personale delle parti in mediazione non pare, infatti, poter intaccare i principi fondamentali dell’autonomia negoziale[12] né impedire o rendere più onerosa la facoltà riconosciuta alle parti di farsi rappresentare (e di scegliere liberamente il proprio rappresentante) nell’esercizio dei loro poteri negoziali e ciò a maggior ragione alla luce del principio di informalità che in ogni caso dovrebbe animare la mediazione.

Anche d e iure condendo del resto, non mi pare che per rafforzare l’effettività della mediazione e l’utilità del primo incontro sia necessario od opportuno introdurre gravosi oneri formali, obbligando la parte che non vuole comparire a sostenere i costi di una procura notarile[13]; potendosi piuttosto suggerire l’inserimento di previsioni di genere diverso che – sul presupposto condiviso che nella mediazione le parti sono chiamate a confrontarsi sugli interessi e non sulle posizioni giuridiche- escludano espressamente la rappresentanza dell’avvocato (che tali posizioni giuridiche inevitabilmente rappresenta) o quanto meno richiedano che il rappresentante abbia conoscenza diretta dei fatti della parte e sia pertanto in grado di negoziarne effettivamente gli interessi[14].

[7] Si tratterebbe secondo la Corte di una figura professionale nuova “alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti, al di là delle pretese giuridiche avanzate…”; sulle diverse competenze degli avvocati ed in particolare sulle nuove modalità di assistenza nelle procedure di ADR v. da ultimo le considerazioni di Pascuzzi, Il problem solving nelle professioni legali, Bologna, 2017, passim.

[8] Proprio la possibilità di simile cumulo viene esclusa da quella parte della giurisprudenza che – pur ammettendo la possibilità della parte di farsi rappresentare in mediazione – ritiene che la procura non possa essere conferita all’avvocato , “in primo luogo, perché non è pensabile applicare analogicamente alla mediazione le norme che all’interno del processo consentono alla parte di farsi rappresentare dal difensore ..; in secondo luogo, perché nella mediazione la funzione dell’avvocato …è di mera assistenza alla parte comparsa e non …di rappresentanza della parte assente; in terzo ed ultimo luogo, perché la presenza del solo avvocato, non accompagnato neppure da un fiduciario dell’interessato, impedirebbe al mediatore di avere un contatto diretto con le persone protagoniste del conflitto, precludendogli di comprendere quali siano i bisogni, gli interessi, i sentimenti dei soggetti coinvolti, che gli stessi possono e debbono mostrare con immediatezza, senza il filtro dei difensori..”: così, in part. Tribunale di Vasto, 17 dicembre 2018, cit.

[9] E’ evidente che così ritenendo il conferimento della procura comporterebbe significativi oneri aggiuntivi per la parte che potrebbe essere indotta a partecipare personalmente (così raggiungendo indirettamente l’effetto di favorire quel contatto immediato tra parti e mediatori che la stessa Corte ritiene fondamentale per la riuscita della mediazione); questa lettura potrebbe avere implicazioni rilevanti anche per il mediatore e per l’organismo che, nel caso di rappresentanza, dovrebbero non solo verificare forme e contenuti della procura (in fase di avvio e ovviamente anche di conclusione della mediazione) ma anche sollecitare eventuali integrazioni, rinviando il procedimento tutte le volte in cui la partecipazione di una o entrambe le parti non fosse regolare.

[10] La soluzione era peraltro già stata anticipata dal Tribunale di Velletri 22 maggio 2018, in quotidianogiuridico.it secondo cui il rappresentante deve essere munito di procura notarile e di ciò occorre che il mediatore dia atto nel verbale del procedimento; v. anche Tribunale di Cassino 3 aprile 2017 che sulla scorta di analogo ragionamento ammette che la procura possa essere autenticata anche da Console Italiano; v. altresì Corte d’Appello di Trieste che, nella sentenza 2010/2017, aveva giudicato insufficiente “… una semplice procura speciale alle liti, rilasciata ex art. 185 c.p.c., contente i poteri di transigere e conciliare la lite, trattandosi di procura con valenza processuale e non sostanziale, essendo necessaria una procura speciale notarile…”; contra Tribunale di Verona 28 settembre 2016, in quotidianogiuridico.it secondo cui il difensore ben potrebbe sostituire la parte, in virtu’ della procura alle liti ricevuta per il giudizio, trovando ciò conferma nel disposto dell’art. 83, c.p.c.

[11] In effetti l’ambiguità della motivazione della sentenza in commento rischia di aggravare l’incertezza nella applicazione della norma creando dubbi sulla regolarità della partecipazione del rappresentante che non sia munito di procura notarile. Oltre che sulle parti (che potrebbero fronteggiare il rischio di una successiva dichiarazione di improcedibilità della domanda se il giudice non ritenesse adeguata la procura) l’incertezza si riverbera anche sui mediatori cui spetta il compito di verificare la regolarità della partecipazione delle parti all’incontro di mediazione: v. supra nota 9.

[12] D’altra parte, nessuna norma nel decreto legislativo 28/2010 deroga a questi principi come invece avviene nel caso di tentativo di conciliazione giudiziale dove è l’art. 185 bis c.p.c. (e così l’art. 420 c.p.c. per il processo del lavoro) a richiedere espressamente che la procura di chi rappresenta la parte sia autenticata, salvo poi ammettere che l’autentica possa provenire dallo stesso avvocato. Ciò mi pare coerente con la natura del verbale di conciliazione e dell’allegato accordo che possono essere sottoscritti all’esito del procedimento di mediazione: si tratti infatti di semplici scritture private cui eccezionalmente la legge riconosce efficacia esecutiva senza peraltro attribuire ad essi forma solenne; solo nel caso in cui l’accordo debba essere trascritto del resto l’art. 11 prevede l’intervento del notaio che – autenticando le sottoscrizioni – rende l’accordo idoneo alla trascrizione nei pubblici registri.

[13] Mi pare d’altronde, che le regole che disciplinano in generale la rappresentanza nel codice civile offrano adeguata tutela per la parte che, in mediazione, negozia e concilia con il rappresentante quand’anche questi fosse un falsus procurator, cfr. Tribunale Roma, 20 dicembre 2018, cit.

[14] In questo senso si era indirizzata la proposta di riforma elaborata dalla Commissione presieduta dal Prof. Alpa nella scorsa legislatura ove si suggeriva una modifica dell’art. 8 del d. lgs. 28/2010 per escludere espressamente che la parte si facesse rappresentare dal proprio avvocato; la stessa Cassazione peraltro richiama quella proposta che tuttavia non ha avuto seguito nella nuova legislatura.

3. Il dilemma del primo incontro: proseguire o non proseguire?

La questione appena esaminata appare in ogni caso connessa a quella oggetto della seconda parte della sentenza dove la Corte affronta il diverso profilo della rilevanza che, ai fini del soddisfacimento della condizione di procedibilità, assume l’esito del primo incontro ed in particolare l’eventuale prosecuzione della mediazione. La presenza personale, infatti, dovrebbe considerarsi tanto più necessaria quanto più pregnanti si ritengono le attività svolte nel primo incontro e le scelte che in quella sede devono compiere le parti.

Benché non rilevante, in quanto assorbita nella fattispecie oggetto del ricorso[15], la Corte sceglie dunque di intervenire anche su tale seconda questione e lo fa prediligendo (questa volta senza compromessi) l’indirizzo meno rigoroso: secondo la Cassazione infatti, una volta che le parti abbiano attivato il procedimento ed adempiuto l’obbligo di partecipare al primo incontro, personalmente o tramite un procuratore speciale, non occorre che esse entrino effettivamente in mediazione essendo «la condizione di procedibilità, compiutamente realizzata anche qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre».

Avallando la lettura più restrittiva dell’art. 8, dunque, la Cassazione nega l’esistenza di un obbligo in positivo di mediare che porrebbe una limitazione eccessiva al diritto di agire in giudizio e ricostruisce la portata della condizione di procedibilità in termini decisamente più contenuti; sulla base dell’interpretazione testuale[16], sistematica e costituzionalmente orientata indicata dalla Corte, infatti le parti – pur tenute ad avviare il procedimento – rimarrebbero libere di scegliere se intraprendere il percorso di mediazione in alternativa ai tradizionali strumenti giurisdizionali, alla sola condizione che tale scelta sia adeguatamente “informata”, sia cioè assunta dopo aver incontrato il mediatore e non semplicemente dopo aver sondato l’altra parte ed escluso “bilateralmente” la possibilità di un accordo.

[15] Nella fattispecie infatti la Cassazione conferma la pronuncia di improcedibilità resa dai giudici di merito in considerazione del fatto che al primo incontro di mediazione aveva partecipato il solo avvocato munito di sola procura alle liti; sulla scorta del principio affermato nella prima parte della sentenza dunque la Corte ritiene che la condizione di procedibilità non potesse considerarsi soddisfatta. Vista l’importanza della questione e l’esistenza di contrapposti orientamenti nella giurisprudenza di merito la Corte ritiene comunque di affrontare anche il profilo della prosecuzione oltre il primo incontro.

[16] Secondo la Corte, infatti, l’art. 8 laddove prevede che le parti si esprimano in ordine alla possibilità di entrare in mediazione intenderebbe fare riferimento ad una possibilità soggettiva consentendo cioè alle parti di valutare la convenienza e l’opportunità di entrare in mediazione anche alla luce della possibilità che all’esito di questa venga raggiunto un accordo; come noto le letture più rigorose della norma intendono invece in termini oggettivi il riferimento alla possibilità contenuto nella norma citata, ritenendo che le parti possano evitare di entrare in mediazione solo qualora esista un motivo oggettivo che ne impedisca l’avvio: v. anche infra sub 4.

4. Una rondine non fa primavera?

Che la soluzione accolta dalla Corte potesse lasciare insoddisfatti quanti, in questi anni, hanno cercato di potenziare l’istituto della mediazione attraverso una diversa lettura dell’art. 8 ed una maggiore valorizzazione del primo incontro, era ipotesi più che probabile[17]: l’interpretazione restrittiva accolta dalla Corte rischia infatti, di ridurre il primo incontro ad una mera formalità e ciò a maggior ragione se si consente che a parteciparvi siano i soli avvocati i quali, muniti di procura sostanziale, autenticata o meno, si limitino a rappresentare davanti al mediatore le tesi difensive dei propri clienti. Significativo è però che tale insoddisfazione si sia immediatamente tradotta in un provvedimento giurisdizionale che, in aperto dissenso con la Cassazione, conferma la diversa interpretazione dell’art. 8, ribadendo – in continuità con i “propri” precedenti – la tesi per cui “già nel corso del primo incontro di mediazione, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle parti, si debba procedere ad effettiva mediazione…”[18].

Il Tribunale di Firenze coglie anzi l’occasione per fare definitivamente chiarezza su questo indirizzo interpretativo e per distinguerlo, oltre che da quello indicato dalla Cassazione, anche da quello accolto da altri Tribunali prima dell’intervento della Corte: chiarisce, infatti, il giudice fiorentino come la lettura rigorosa dell’art. 8 si componga in realtà di due sotto-letture: a) la prima per cui nel primo incontro il mediatore dovrebbe limitarsi ad informare le parti in ordine alla natura e alle funzioni della mediazione per poi chiedere loro di esprimersi sulla possibilità di avviare la mediazione; ricevute le informazioni il primo incontro dovrebbe considerarsi esaurito e le parti dovrebbero dunque entrare in mediazione e versare le relative indennità salva l’esistenza di un motivo oggettivo che renda impossibile l’avvio del procedimento; qualora tale motivo non sussista le parti non potrebbero invece semplicemente rifiutare di entrare in mediazione manifestando la loro soggettiva indisponibilità a mediare, in quanto tale rifiuto non consentirebbe loro di soddisfare la condizione di procedibilità posta dall’art. 5[19]; b) la seconda, meno rigida ma altrettanto rigorosa, secondo cui il mediatore dovrebbe dapprima chiarire alle parti le funzioni e le modalità di svolgimento della mediazione, dopo di che – salva l’esistenza di motivi oggettivi di impossibilità (quali ad esempio, un difetto di legittimazione o di rappresentanza che porterebbero alla immediata chiusura del procedimento con contestuale soddisfacimento della condizione di procedibilità[20]) – dovrebbe immediatamente dare avvio alla mediazione che potrebbe concludersi già in quell’incontro con la definitiva constatazione del mancato accordo oppure con la conciliazione delle parti o ancora con l’impegno delle parti a proseguire nel percorso avviato per tentare in uno o più incontri successivi di conciliare la lite. Nel caso in cui sia impossibile procedere alla mediazione o qualora nessun accordo venga raggiunto nel primo incontro, la condizione di procedibilità sarebbe comunque soddisfatta, ma nessuna indennità sarebbe dovuta all’organismo; negli altri due casi, invece, le parti che abbiano raggiunto l’accordo al primo incontro o che abbiano manifestato l’intenzione di proseguire nella mediazione, sarebbero tenute a versare le indennità nella misura indicata nel d.m. 180/10, misura che rimarrebbe invariata a prescindere dal numero di incontri che venissero in seguito celebrati davanti al mediatore.

Secondo il Tribunale di Firenze solo questa sotto lettura – che presuppone una struttura bifasica del primo incontro con il mediatore – consentirebbe di assicurare l’utilità dell’incontro stesso (mortificata invece dalla lettura della S.c.) in quanto le parti, oltre a ricevere le dovute informazioni sul procedimento, sarebbero obbligate almeno ad un primo confronto assistito dal mediatore; d’altro lato, solo questa variante interpretativa consentirebbe di superare i dubbi di legittimità costituzionale che invece emergerebbero seguendo l’interpretazione più rigorosa, in quanto le parti potrebbero soddisfare la condizione di procedibilità senza dover sostenere oneri eccessivi o irragionevoli.

Questa seconda lettura troverebbe, inoltre, ulteriore e definitivo conforto nel dato normativo posto che tanto l’art. 5, comma 2 bis (con riferimento al soddisfacimento della condizione di procedibilità) quanto l’art. 17 comma 5 terdel d. lgs. 28/2010 (con riferimento alla questione dei compensi) menzionano espressamente il mancato accordo quale possibile esito del primo incontro, lasciando intendere che già in quella sede si debba svolgere un’attività di mediazione, entrando nel merito della controversia[21].

[17] V. tra i primi commenti critici alla pronuncia della Corte, Lucarelli, La sentenza della Corte di Cassazione 8473/2019: un raro esempio di uroboro, in www.judicium.it; Giovannucci Orlandi, La Cassazione n. 9473/2019: una rondine che speriamo non faccia primavera, in Questione giustizia.it, 2019.

[18] Tribunale di Firenze 8 maggio 2019, in La nuova procedura civile. it 3, 2019

[19] Ciò evidentemente se a rifiutare la mediazione sia l’attore interessato alla prosecuzione del giudizio; qualora invece a rifiutare di proseguire sia il convenuto la conseguenza sarebbe l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 8, comma 4 bis, potendo il giudice tenere conto dell’ingiustificato rifiuto ai fini della decisione e delle spese.

[20] Analoga conseguenza potrebbe aversi nei casi in cui la controversia coinvolga situazioni non disponibili o materie sottratte all’ambito di applicazione del d. lgs. 28/2010 quali ad esempio le controversie in materia di lavoro.

[21] Diversa è l’interpretazione di quelle norme accolta invece dalla Cassazione secondo cui il riferimento al mancato accordo riguarderebbe la mancata intesta in merito alla possibilità di proseguire nella mediazione.

5. Tra i due litiganti il terzo non gode…

Tutto considerato la soluzione prospettata e ribadita dal Tribunale di Firenze parrebbe dunque quella più convincente e quella maggiormente in grado di mediare la ricerca di effettività della mediazione con i principi fondamentali imposti dalla Costituzione: il primo incontro non si esaurirebbe, infatti, in un untile formalismo, ma offrirebbe alle parti una vera occasione di confronto che potrebbe poi a sua volta favorire lo sviluppo della conciliazione ed ulteriormente potenziare la conoscenza e la cultura della mediazione[22].

Non si può tuttavia non segnalare un’importante controindicazione che, anche nell’ottica promozionale cui si è accennato, potrebbe offuscare la bontà di questa soluzione: per quanto apprezzabile, infatti, la lettura fiorentina inevitabilmente scarica il costo del primo incontro sui mediatori i quali, pur svolgendo effettivamente l’attività di mediazione non riceverebbero alcun compenso nel caso di mancato accordo, con evidente penalizzazione della loro professionalità e dell’impegno comunque profuso nel procedimento. Mi pare dunque che ove si volesse seguire questa interpretazione e valorizzare l’intervento e la funzione dei mediatori sarebbe necessario introdurre un correttivo al sistema delle indennità, superando l’attuale sistema basato sulla gratuità del primo incontro e sostituendolo con un sistema progressivo che preveda il pagamento di un compenso (anche in misura contenuta[23]) fin dal primo incontro, destinato ad aumentare con il progredire della mediazione.

[22] Dottrina e giurisprudenza hanno in più occasioni sottolineato come lo scopo della obbligatorietà della mediazione perseguito dal d. lgs. 28/2010 non si esaurisca nella pur importante finalità deflattiva ma comprenda anche una finalità di tipo promozionale, “costringendo” le parti a conoscere la mediazione per poterne apprezzare i benefici.

[23] In questa direzione si muoveva la ulteriore proposta di riforma elaborata dalla stessa Commissione Alpa che suggeriva di modificare l’art.17 comma 5 ter prevedendo che per il primo incontro, nei casi in cui la mediazione è condizione di procedibilità, ciascuna parte fosse “tenuta a versare all’organismo l’importo di 40 euro per le liti di valore inferiore a 1000 euro, di 80 per le liti sino a 10.000 euro, di 180 euro per le liti di valore da 10.000 euro a 50.000 euro, di 200 euro per le liti di valore superiore a 50.000 euro. Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro tale importo sarà considerato a titolo di spese di mediazione. Nel caso in cui sia raggiunto un accordo o la mediazione prosegua oltre il primo incontro il suddetto importo sarà detratto dalla indennità di mediazione». Altra soluzione difficilmente percorribile però nell’attuale situazione finanziaria, potrebbe consistere nel porre a carico delle finanze pubbliche il costo del primo incontro, ipotizzando ad esempio che l’importo versato al primo incontro possa essere “detratto” dal contributo unificato.

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