Prescrizione presuntiva ed onere della prova

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La prescrizione presuntiva è regolata dall’art. 2956 c.c. il quale stabilisce che: “Si prescrive in tre anni il diritto: 1) dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese; 2) dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative; 3) dei notai, per gli atti del loro ministero; 4) degli insegnanti, per la retribuzione delle lezioni impartite a tempo più lungo di un mese”.

    Indice

  1. Qualificazione giuridica della prescrizione presuntiva
  2. Prescrizione presuntiva e onere della prova

1. Qualificazione giuridica della prescrizione presuntiva

Sul tema della prescrizione presuntiva la dottrina è concorde nel ritenere che trattasi di presunzione legale mentre è divisa, invece, nel qualificarla ora come presunzione iuris tantum[1] (ossia una presunzione c.d. relativa che consente che l’interessato provi il contrario di quanto si presume) ora come presunzione mista[2]. Si è anche precisato – con riferimento al dato testuale di cui agli artt. 2959 e 2960 c.c. – che la presunzione riguarda non il pagamento, ma la estinzione della obbligazione[3].

Nel fare il confronto sul piano degli effetti fra prescrizione ordinaria e prescrizione presuntiva, una importante dottrina[4] attribuisce alla prima (prescrizione ordinaria) efficacia preclusiva in quanto chi se ne giova può anche negare l’esistenza dell’obbligazione senza vedere pregiudicato l’accoglimento della sua eccezione, bastandogli il fatto di avere opposto il tempo decorso per fondare la sua libertà dalla pretesa esercitata nei suoi confronti, fondata o infondata che sia; esclude, invece, che di un tale tipo di efficacia sia dotata la seconda (prescrizione presuntiva) poiché chi si avvale di essa, se nega l’esistenza dell’obbligazione, compromette questa volta in modo irrimediabile l’esito della sua eccezione, non avendo perso qui rilevanza lo stato giuridico anteriore al compimento della prescrizione presuntiva e non restando preclusa, pertanto, l’indagine su questo.

L’incompatibilità logica tra prescrizione presuntiva e prescrizione ordinaria, che si fondano la prima su una presunzione di pagamento e la seconda sulla semplice inerzia del titolare del diritto nel richiedere la sua attuazione, non consente la loro contemporanea proposizione nello stesso giudizio[5].

Invero, già da tempo, la Corte di Cassazione ha chiarito che la prescrizione presuntiva ha natura e disciplina radicalmente diversa rispetto alla prescrizione estintiva[6]; quest’ultima viene definita alla stregua di una vicenda estintiva del diritto che consegue al mancato esercizio del diritto stesso per un determinato periodo di tempo e ciò al fine di perseguire l’insopprimibile esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici. La prescrizione presuntiva (o impropria), invece, ha tutt’altra struttura e finalità in quanto essa muove dalla presunzione che un determinato credito, data la sua particolare natura, sia stato pagato, o che si sia comunque estinto per effetto di una qualche causa: vi sono infatti alcuni rapporti della vita quotidiana nei quali l’estinzione del debito avviene di regola contestualmente all’esecuzione della prestazione ovvero non molto tempo dopo. In sintesi, la prescrizione presuntiva può definirsi una presunzione legale iuris tantum con limitata possibilità di prova contraria (artt. 2059 e 2060 c.c.).

La prescrizione estintiva e la prescrizione presuntiva sono, dunque, ontologicamente differenti, logicamente incompatibili e fondate su fatti diversi. Invero, elementi costitutivi della prima sono il decorso del tempo e l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio che estinguono il debito sicché il debitore può giovarsene, liberandosi dalla pretesa, sia che contesti l’esistenza del credito sia che ammetta di non aver adempiuto l’obbligazione; diversamente la seconda è fondata su una presunzione iuris tantum, ovvero mista, di avvenuto pagamento del debito, esponendosi colui che la oppone al suo rigetto non solo se ammette di non aver estinto l’obbligazione ma anche se ne contesta la stessa insorgenza[7] .


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2. Prescrizione presuntiva e onere della prova

Come ribadito anche di recente dalla Suprema Corte, l’onere probatorio posto a carico rispettivamente del debitore e del creditore nell’ambito della prescrizione presuntiva è differente: mentre il debitore, eccipiente, è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge, il creditore ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito, e tale prova può essere fornita soltanto con il deferimento del giuramento decisorio ovvero avvalendosi dell’ammissione, fatta in giudizio dallo stesso debitore, che l’obbligazione non è stata estinta[8].

A tal proposito, giova rammentare alcuni principi statuiti dalla giurisprudenza di legittimità in materia. Il debitore che neghi l’esistenza del credito oggetto della domanda ovvero eccepisca che il credito non sia sorto ammette, implicitamente, che l’obbligazione non è stata estinta, sicché va disattesa, ex art. 2959 c.c., l’eccezione di prescrizione presuntiva in quanto incompatibile[9]. In tema di prescrizioni presuntive, l’ammissione di non aver estinto il debito da parte del debitore (che comporta il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva) può legittimamente risultare anche per implicito dalla contestazione, da parte del debitore stesso, dell’entità della somma richiesta[10].

Invero, in tema di prescrizione presuntiva, l’affermazione del debitore in ordine all’insussistenza della obbligazione di pagamento è inconciliabile con la proposizione della relativa eccezione e vale come ammissione della mancata estinzione di essa[11].

L’ammissione in giudizio della mancata estinzione dell’obbligazione, che a norma dell’art. 2959 c.c. impedisce l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione presuntiva, è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il debitore affermi di aver pagato il dovuto, ma in un ammontare inferiore all’importo preteso dal creditore, giacché le contestazioni sul quantum debeatur ridondano per la differenza sull’an debeatur e implicano, quindi, il riconoscimento della sia pur parziale permanenza in essere del rapporto controverso[12].

In definitiva, dunque, l’eccezione di prescrizione presuntiva va rigettata ogni qual volta che il debitore:

1) neghi l’esistenza del debito;

2) eccepisca che il credito non è mai sorto.

3) contesti l’ammontare del debito: – affermando di aver pagato quanto dovuto in un ammontare minore rispetto a quello preteso dal creditore; – indipendentemente dalla circostanza che abbia pagato anche solo una parte del debito, affermando che il debito è da considerarsi di misura inferiore rispetto a quello preteso contestandone, di fatto, l’entità.

L’unica difesa non incompatibile con l’eccezione di prescrizione presuntiva va, dunque, ravvisata, nell’affermazione del debitore di aver pagato e di volersi, pertanto, avvalere della prescrizione presuntiva stessa.

Graverà poi sul creditore, come detto, fornire la prova della mancata soddisfazione del proprio credito che, in mancanza di adeguato supporto costituito da prova documentale, può essere fornita solo con il deferimento del giuramento decisorio.

Giova, pertanto, ricordare che il giuramento decisorio costituisce una prova legale che, in deroga al principio del libero apprezzamento delle risultanze probatorie, vincola il giudice a ritenere veri i fatti su cui la parte giura, quand’anche favorevoli al giurante. Peraltro, come è noto, il disposto di cui all’art.2738 c.c. rende manifesta la volontà del legislatore di svincolare l’esito del giudizio civile da quello dell’eventuale procedimento penale per falsità del giuramento e di impedire ogni possibilità di rimettere in discussione l’esito del giudizio quale determinato dal giuramento prestato[13] residuando soltanto la facoltà della parte danneggiata di domandare in separato giudizio il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’accertata falsità.

In conclusione, qualora il debitore eccepisca la prescrizione presuntiva e, di converso , il creditore deferisca il giuramento decisorio, il debitore avrà assolto correttamente e completamente il proprio onere probatorio affermando che il credito è stato pagato, indipendentemente dal fatto che tale circostanza corrisponda alla realtà fattuale, la avrà rilevanza – in termini civilistici – esclusivamente in un successivo giudizio di risarcimento del danno derivante dall’accertata falsità (questa volta accertata in sede penale) e non anche nel giudizio civile vertente sul credito della cui prescrizione presuntiva si tratta.

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Note

[1] Ferrucci, Della prescrizione e della decadenza, in Comm. cod. civ., 2a ed., Torino, 1980, 511, 524.

[2] Gentile, Prescrizione estintiva e decadenza, Comm. agli artt. 2934-2969 del cod. civ., Roma, 1964, 531; Grasso, Prescrizione (diritto privato), in ED, XXXV, Milano, 1986, 74.

[3] Ruperto, La prescrizione presuntiva del diritto di credito dei professionisti, in GC, 1987, II, 459.

[4] Roselli, Vitucci, La prescrizione e la decadenza, in Tratt. Rescigno, 20, Torino, 1998, 436.

[5] Cfr. Cass. Civ. n. 7510/1991.

[6] Cfr. Cass. Civ. n. 8735/2014.

[7] Cfr. Cass. Civ. n. 3443/2005.

[8] Cfr. Cass. Civ. n. 1435/2021.

[9] Cfr. Cass. Civ. n. 2977/2016.

[10] Cfr. Cass. Civ. n. 12771/2012.

[11] Cfr. Cass. Civ. n. 26986/2013.

[12] Cfr. Cass. Civ. n. 14927/2010.

[13] Cfr. Cass. Civ. n. 22037/2009.

Angela Settimio

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