Poteri e limiti del giudice istruttore nell’accertamento dei redditi e del patrimonio dei coniugi nei giudizi di separazione e divorzio. tra accertamenti di polizia tributaria e interrogazione dell’anagrafe tributaria – poteri d’ufficio e refluenze penali

Redazione 25/03/10
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Come è noto l’ultimo capoverso dell’articolo 155 del codice civile dispone che “ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi“.

L’articolo 5 comma nove della Legge 1 dicembre 1970 n. 898 dispone che, nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, “in caso di contestazione il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, avvalendosi, se del caso, anche della polizia tributaria

La giurisprudenza formatasi nella specifica materia ha ormai – almeno su alcuni un tempo controversi  aspetti – assunto un indirizzo pressoché univoco.

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il giudice deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno, e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione. Segnatamente, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dello esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria e sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione in favore di quello più debole di una somma corrispondente alle esigenze come sopra precisate” ( per tutte anche per la chiarezza dei concetti espressi Cassazione Civile Sez I^ sentenza 12 giugno 2006 n 13592; Pres Luccioli; Est. Salvato, P.M. Carestia ( conclusioni conferma ), G. ( Avv Rossi), c/ S. ( Avv Colletti) Conferma sentenza Corte di Appello Venezia 06 giugno 2002, in affidamentocondiviso.it )

Orbene, nell’ambito dell’accertamento di cui sopra si è riferito il ruolo delle dichiarazioni dei redditi può essere, allo stato, soltanto residuale.

Con indirizzo ormai granitico infatti, i Supremi Giudici hanno più volte precisato che “in tema di quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge debole, le dichiarazioni dei redditi, in quanto svolgono la funzione tipicamente fiscale, in una controversia relativa rapporti estranei al sistema tributario, non rivestono valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie, convincimento che non presuppone di necessità, ma che semmai implica, anche rilievo dell’addebitabile occultamento dell’effettiva consistenza della situazione economica oggetto della verifica” (Cassazione Civile Sez I^ sentenza 11 marzo 2006 n 5379; Pres Luccioli; Est. Gianicola, P.M. Gambardella ( conclusioni conferma ),L.T. ( Avv  Picone, Coscione), c/S.E. ( Avv Colletti) Conferma sentenza Corte di Appello Napoli 09 maggio 2002 in affidamentocondiviso.it).

Appare quindi assolutamente pacifica, nell’attuale panorama giurisprudenziale, la possibilità per il Giudice di fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie idonee a superare, con elementi gravi precisi e concordanti, le emergenze fiscali come desumibili dalle dichiarazioni dei redditi, determinando in via presuntiva ed induttiva l’entità dei redditi effettivi, valorizzando gli elementi di fatto come fonti di prova,  sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni ( Cassazione 14 maggio 2005 n 10135 in foro italiano rep 2005, voce presunzione, 6)

La casistica giurisprudenziale, a tal proposito, appare estremamente variegata.

Alcuni esempi sono costituiti da un geometra, con un proprio studio professionale, allestito con beni strumentali incompatibili, in termini di valore e vetustà, con i redditi dichiarati (Cassazione Civile Sez I^ sentenza 11 marzo 2006 n 5379 citata); dalla natura dell’attività imprenditoriale esercitata dal marito, rappresentante di commercio nel campo dell’edilizia, con utilizzo di veicoli di grossa cilindrata, dotati di telefono interno, nonché dell’importanza economica delle iniziative immobiliari intraprese dai coniugi e dall’accumulo di cospicui risparmi nel corso della convivenza,, anche in tale ipotesi in presenza di modesti redditi del marito ed in assenza di redditi della moglie (Cassazione Civile sez I^ 14 marzo 2006 n. 5521 ); l’attività libero professionale svolta presso numerosi studi da parte di un affermato medico specialista, libero professionista con attività intensa ( Cassazione Civile sent. 14 maggio 2005 n. 10135 in Foro It., rep 2005, voce presunzione, n 6 ); la partecipazione a gare di rally, l’assidua frequentazione di ristoranti, viaggia all’estero, l’acquisto di numerose autovetture di grossa cilindrata, l’offerta, da parte del marito, in sede di separazione, di un contributo per il mantenimento della famiglia particolarmente elevato (Cassazione Civile Sez I^ sentenza 12 giugno 2006 n 13592 citata ).

D’altro verso si stabilisce che l’omessa produzione delle dichiarazioni dei redditi ( Cassazione  07 febbraio 2006 n 2626 in www.affidamentocondiviso.it ) non costituisce un criterio utilizzabile dal Giudice per procedere alla quantificazione dell’assegno di mantenimento , ma piuttosto una manifestazione di slealtà processuale delle parti le cui conseguenze si riverberano sul piano delle spese processuali ( ex art 92 cpc ) ed in relazione alla possibilità di trarre da quella inosservanza argomento di prova ( ex art 116 c. 2 cpc ).

Ciò premesso sovente accade che il G.I. ritenga necessario, ai fini del decidere, un approfondimento istruttorio, che superi le allegazioni delle parti, ancorché in via integrativa, alla luce delle emergenze testimoniali e probatorie in genere, come manifestatasi nel corso del giudizio.

L’esperienza giudiziaria diretta dei Tribunali ( e delle Corti ) di merito evidenzia l’infrequenza, almeno in termini statistici, dell’uso dello strumento degli accertamenti di polizia tributaria così come consentito dalle norme sopra citate.

Dopo l’istituzione dell’anagrafe tributaria e dei sistemi di controllo e repertazione dei conti correnti bancari sembrava essersi aperto un nuovo scenario istruttorio in grado di collocarsi a metà tra il sistema di presunzioni tipico del processo civile e l’indagine delegata di polizia tributaria consentita dalle norme esistenti.

In presenza, infatti, di elementi indiziari tali da evidenziare un’aperta discrasia tra i redditi dichiarati ed il tenore di vita, soprattutto nei casi di attività imprenditoriale, libero professionale o comunque autonoma, la possibilità di interrogare l’anagrafe tributaria – in relazione alla posizione di uno dei coniugi, generalmente il marito – al fine di espungere informazioni sia in relazione all’intestazione personale di rapporti finanziari, che quale cointestatario, che semplice delegato o legale rappresentante, sembrava costituire una prospettiva di soluzione in grado di collocarsi statisticamente tra gli strumenti più idonei a fondare con criteri di coerenza logica e fattuale le statuizioni finanziarie rese all’esito del giudizio.

Tale possibilità, peraltro, avrebbe consentito uno snellimento delle procedure istruttorio -investigative non richiedendo deleghe di polizia tributaria ed accertamenti complessi, a tutto beneficio della durata del procedimento, oltre ad un evidente abbattimento dei costi informativi trattandosi di mera trasmissione cartacea o telematica.

Prima di vagliare i profili applicativi  e le numerose difficoltà, che nonostante gli sforzi dei Tribunali di merito, tale approfondimento istruttorio ha recentemente incontrato, con conflitti di competenza particolarmente rilevanti anche sotto il profilo delle responsabilità penali ad essi sottese, appare opportuno tracciare un breve quadro dell’evoluzione normativa in materia.

Com’è noto prima della Legge 311/2004, la richiesta di informazioni poteva ( rectius doveva ) essere inoltrata con modalità cartacea a tutte le banche, con implicazioni facilmente immaginabili sia in termini di costo, che di celerità dei riscontri, che di violazione della sfera della privacy del destinatario dell’accertamento per tutti quegli istituti di credito con i quali lo stesso non intratteneva alcun rapporto.

Tali informazioni, il cui accesso era consentito previa autorizzazione del Direttore Regionale dell’Agenzia Delle Entrate o del Comandante Regionale della Guardia di Finanza aveva ad oggetto i rapporti di conto corrente e simili, esclusi i rapporti finanziari di altra natura e le operazioni cosiddette fuori conto, detenuti da banche, poste italiane ed esclusi altri intermediari finanziari

Dopo la predetta Legge, e prima del DL 223/2006, lo scenario di riferimento, come emergente dalle varie circolari applicative ed interpretazioni regolamentari si era modificato nel senso di, previa la medesima autorizzazione, riferire la richiesta di informazioni a tutti i rapporti di tipo finanziario, compresi e anche rapporti finanziari di altra natura e le operazioni fuori conto, detenuti da qualsiasi intermediario finanziario, ferma restando la modalità di richiesta cartacea.

A seguito all’entrata in vigore del D.L. 223/2006, la richiesta può essere inoltrata in modalità telematica a tutti quegli intermediari finanziari che detengono rapporti con il contribuente, previa consultazione dell’archivio dei conti e dei rapporti finanziari inserito in una specifica area dell’anagrafe tributaria. La procedura telematica di che trattasi utilizza la posta elettronica certificata, la firma digitale alla cifratura delle richieste  e delle risposte.

Il database è costituito da informazioni quali, la natura del rapporto, la data di apertura ed eventuale chiusura di tale rapporto, la data dell’eventuale modifica dello stesso, i dati anagrafici completi del titolare, i dati identificativi dell’intermediario presso il quale è intrattenuto rapporto e molte altre informazioni relative alla consistenza ed alle dinamiche di tali rapporti ( deleghe e procure ad operare ) e viene integrato con aggiornamento annuale.

Ogni operazione su tale archivio deve essere tracciata tramite un file di log e consente in ogni momento di verificare gli accessi precedenti.

L’esperienza europea ( ma anche statunitense ) conferma la funzionalità e conducenza di tale sistema informativo, già da numerosi anni operativo in Francia, Germania, Spagna, Ungheria, Norvegia ove il database viene aggiornato con cadenza annuale.

L’istituzione e l’avvio dell’anagrafe tributaria ha generato – quanto alla sua accessibilità – numerose perplessità.

In sede parlamentare sono state presentate numerose interrogazioni al Presidente dell’Authority, per lo più fondate sulla discrasia tra il dato normativo e la fuga di notizie che spesso si registra in alcuni specifici settori, particolarmente delicati, di trattamento dei dati personali. Quanto all’argomento di che trattasi ( int. Senatore Conte, 4^ Res. Sen. 17.07.2007 ) a proposito, ad esempio delle convenzioni stipulate da numerosi comuni con l’Agenzia delle Entrate attraverso il sistema SIATEL, con possibilità di accesso ad alcuni settori degli archivi senza che venga avviata alcuna procedura predefinita e tracciabilità degli accessi e delle risposte.

Già allora nel corso della prolusione si riferiva testualmente che (int. Senatore Conte, 4^ Res. Sen. 17.07.2007 citata )  “… è in via di definizione una convenzione che consentirà ai carabinieri dalle loro stazioni, ed addirittura ai funzionari dei tribunali, ed ai tribunali stessi di accedere all’anagrafe tributaria. Come sa e comprende, i magistrati generalmente non utilizzano direttamente i computer ma preferiscono affidare tale attività a persone terze che possono farne l’uso che vogliono, comunicando, ad esempio, all’esterno i dati di ognuno di noi, e questo è estremamente preoccupante…”

In seno al predetto tessuto connettivo giuridico e fattuale i Tribunali di merito, e segnatamente quello di Palermo, hanno “tentato”, pur senza esito, lo snellimento della procedura informativo-istruttoria di cui sopra si è detto, nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio.

In un caso di separazione con evidenti discrasie tra redditi fiscali dichiarati ed il tenore di vita effettivamente goduto dal resistente il G.I. ( Ordinanza Ill.mo Dott. Angelo Piraino del 18.01.2008 G.S. c/ G.G. ) disponeva “ vista l’istanza volta all’espletamento di ulteriori accertamenti patrimoniali proposta dalla difesa della parte ricorrente all’udienza del 17 gennaio 2008, è ritenutane la necessità ai fini della decisione, visto l’articolo 213 codice di procedura civile, dispone richiedersi informazioni all’Agenzia delle Entrate – servizio di anagrafe tributaria dei rapporti con gli intermediari dell’Agenzia delle Entrate, in merito rapporti bancari, postali e finanziari risultanti dalla medesima anagrafe ed intrattenuti dal resistente Sig. G.G. nato a … in data….C.F………, sia personalmente, che quale cointestatario, che quale semplice delegato o legale rappresentante.”

In risposta alla predetta ordinanza con nota Prot 2008/010427/2.0 Area Controllo; il Capo Area Controllo dell’Agenzia delle Entrate rilevava che “ In risposta l’ordinanza emessa dal G.I. Dott. Piraino allegata al fax indicato a margine si comunica che l’anagrafe dei conti e  dei depositi, di cui al decreto interministeriale 4 agosto 2000 n 269, non ha tuttora trovato concreta attuazione mentre la base informativa delle “indagini finanziarie” è stata arricchita, in base a quanto previsto dall’articolo 37 comma quattro del D.L. 223/2006 con l’istituzione della “anagrafe dei rapporti” che è alimentata da comunicazioni aventi oggetto la sola esistenza dei rapporti intrattenuti con gli intermediari ancora in essere al 1 gennaio 2005 e non cessati prima della predetta data. Tali informazioni, ancorché presenti in anagrafe tributaria, non sono autonomamente rilevabili, infatti le stesse possono essere acquisite solo con l’attivazione delle indagini finanziarie, le disposizioni degli articoli 32, comma uno, n 7 DPR 600/73 e art 51 comma due, n 7 DPR 633/72, previa autorizzazione del Direttore Regionale dell’Agenzia Delle Entrate e non possono essere fornite ad altri soggetti,  giuste disposizioni emanate dal provvedimento del Direttore Dell’Agenzia delle Entrate del 19 gennaio 2007”.

Ad esito della predetta nota, il G.I., ritenendo la propria competenza ad espungere le predette informazioni reiterava l’ordinanza già resa sollecitando l’invio di quanto richiesto.

Con nota del 29 maggio 2008 infatti il Tribunale di Palermo trasmetteva l’ordinanza  emessa in data 26 maggio ove il GI “ ritenuto, pertanto, ingiustificato il rifiuto opposto all’Agenzia delle Entrate” disponeva “ sollecitarsi l’Agenzia delle Entrate a fornire le informazioni richieste con l’ordinanza pronunciata da questo Tribunale in data 18 gennaio 2008, significando che la mancata ottemperanza alla richiesta di informazioni pronunziata da questo Tribunale integra gli estremi di una condotta punibile ai sensi dell’articolo 650 cod.pen

Ad esito dell’ulteriore richiesta con provvedimento Prot 2008/38288/2.0 il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ufficio di Palermo I, ribadendo quanto già rilevato con la precedente nota, allegava il provvedimento del Direttore Regionale del 19 gennaio 2007 sottolineando che “…. il citato provvedimento prevede, anche, l’accesso ai dati delle indagini finanziarie da parte dell’autorità giudiziaria, ma lo subordina alla stipula di apposita convenzione – che non risulta sia stata sottoscritta – fra Ministero di Grazia e Giustizia e l’ Agenzia delle Entrate”, sollecitando la Direzione Regionale affinchè venissero fornite disposizioni in merito.

La Direzione Regionale Sicilia ( nota prot 2008/89403/MF ) rilevava che,  sostanzialmente, le possibilità di utilizzo delle predette informazioni dell’anagrafe tributaria dovessero riferirsi soltanto a due ben precise ipotesi: 1) utilizzo fiscale 2) utilizzo penale.

A tal fine militerebbero le disposizioni di cui al combinato disposto degli articoli 32 del D.P.R.. 600/73 e 51 del D.P.R..  633/1972 nonché del punto 5.2 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 febbraio 2008 prot. 31934 secondo cui agli operatori incaricati dei controlli fiscali previa autorizzazione del Direttore Regionale ovvero del Comandante regionale della Guardia di Finanza. Nonchè, l’utilizzo delle indagini finanziarie sarebbe funzionale ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 07 D.P.R.. 605/73 e dell’articolo 04 del decreto interministeriale 4 agosto 2000 numero 269 “alla ricerca e all’acquisizione della prove e delle fonti di prova nel corso di un procedimento penale, sia in fase di indagini preliminari, sia nelle fasi processuali successive ovvero dagli accertamenti di carattere patrimoniale per le finalità di prevenzione previste da specifiche disposizioni di legge e  per l’applicazione delle misure di prevenzione

Individuando i soggetti legittimati :  1) nell’Autorità Giudiziaria ai sensi delle vigenti disposizioni del codice di procedura penale; 2)  negli Ufficiali di polizia giudiziaria delegati dal Pubblico Ministero; 3) dall’Ufficio Italiano Cambi nell’ambito delle disposizioni di cui all’articolo 3 del DL 03.05.1991 n 143 e successive modificazioni (normativa antiriciclaggio); 4) negli esperti del SECIT (organismo oggi soppresso); 5) nel Ministro dell’Interno, nel Capo della Polizia, nei Questori ed il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia.

La citata nota rileva peraltro che così apparirebbe evidente l’esclusione dal novero delle ipotesi di richiesta di acquisizione delle indagini finanziarie delle controversie giurisdizionali che non attengono ad un procedimento penale.

A tal fine anche le stesse richieste all’interno delle ipotesi di legittima acquisizione dei dati relativi alle indagini finanziarie, come confermato dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate del 29 febbraio 2008 prot 31934 dovrà avvenire “con modalità fissate in apposite convenzioni con ciascun organismo interessato” che, ad oggi, non risultano essere state stipulate.

Di particolare rilievo il capoverso di chiusura della predetta nota a firma del Direttore Regionale ove si evidenzia, in sollecitazione di un parere della Direzione Centrale, e dell’Avvocatura Generale dello Stato,  l’importanza della questione “attesa la rilevanza nonché la frequenza con la quale le richieste degli organi giurisdizionali iniziano a pervenire alla scrivente

In esito all’ulteriore sollecito effettuato dal G.I. – nelle more per nuova assegnazione – Ill.ma Dott.ssa Marinella Laudani, con nota prot 2008/105451/MF la Direzione Regionale rilevava che aveva ricevuto parere dalla Direzione Centrale Accertamento la quale confermava l’impossibilità di esperire indagini finanziarie per le ragioni già esposte, e, considerando che il dettato normativo appare sufficientemente chiaro, non riteneva opportuno investire della questione l’Avvocatura Generale dello Stato.

Ad esito di tale ulteriore risposta il G.I. disponeva trasmettersi gli atti ( ordinanze e note pervenute in risposta ) al Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo per la valutazione dei profili di reato sottesi all’omesso invio delle più volte richieste informazioni.

La rilevanza della questione sotto il profilo endoprocedimentale, processuale, nonché penale appare di palmare evidenza.

in buona sostanza dal contenuto delle note sopra riportate, oltre ad un difetto di legittimazione dell’Autorità Giudiziaria civile sembrerebbe emergere, quale causa ostativa in termini assoluti, l’assenza di apposita convenzione stipulata tra l’ Agenzia delle Entrate ed il Ministero di Grazia e Giustizia.

Restando tuttavia incontestata la possibilità di utilizzo degli organi di polizia tributaria per le finalità indicate dalle norme afferenti giudizi di separazione e divorzio.

Ad una serena analisi di quanto sopra sembrerebbe prevalere il dato formale.

Ed infatti se il Giudicante avesse disposto indagini di polizia tributaria, in perfetta aderenza ed in ossequio alle disposizioni normative vigenti in materia, all’uopo delegando anche il rilievo delle informazioni contenute nella cosiddetta anagrafe tributaria, in presenza di convenzione tra il Ministero dell’Interno e l’ Agenzia delle Entrate, sarebbe comunque, entrato in possesso del background informativo di che trattasi, pur se con una procedura ed un meccanismo assai più farraginoso e complesso.

Ubi major, minor cessat. Se infatti non appare in discussione il potere dell’Autorità Giudiziaria civile di avvalersi della polizia tributaria ai fini di un approfondimento istruttorio avente ad oggetto il redditi di uno dei coniugi coinvolti nel giudizio di separazione o divorzio, perché non consentire la trasmissione delle predette informazioni dell’anagrafe tributaria – pur in assenza di delega di indagini alla polizia tributaria –  in grado di fornire elementi rilevanti sotto i medesimi profili, con evidente risparmio di energie, costi e tempi?

La questione, nel suo complesso, non appare di facile soluzione, traducendosi in una discrasia, reale od apparente che sia, tra il dato formale e quello sostanziale, o più correttamente, “logico-giuridico” come desumibile dal contenuto delle norme pre-esistenti in materia di separazione divorzio.

Altra questione di rilievo, oltre che di estrema attualità, riguarda il virtuale, ma tutt’altro che irrilevante, aspetto della sottoposizione del potere dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria al Potere Esecutivo, di guisa che in assenza di apposita convenzione tra il Ministero di Grazia e Giustizia e l’ Agenzia delle Entrate  le informazioni non potranno essere messe a disposizione della Magistratura civile, così di fatto, in ipotesi di persistente inerzia, subordinando il potere giudiziario a quello esecutivo.

Nell’auspicio che la questione possa trovare una soluzione quanto più celere possibile, a tutto beneficio del cittadino (utente finale della Giustizia), non resta che attendere le evoluzioni sotto i diversi profili sopra accennati di matrice sia civile che penale.

Avvocato Andrea Dell’Aira (articolo pubblicato sul numero di marzo 2010 del “Notiziario” rivista del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo)

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