Pornografia minorile, cosa deve intendersi per utilizzazione del minore e quando si realizza il reato di cui all’art. 600-ter

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In materia di pornografia minorile, cosa deve intendersi per utilizzazione del minore e se la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, terzo e quarto comma, cod. pen.

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 600-ter)

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Roma che, all’esito del giudizio abbreviato, condizionato all’audizione della persona offesa, condannava alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 12.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e all’interdizione perpetua dagli incarichi in scuole, istruzioni e strutture frequentate prevalentemente da minori, per il reato di cui agli artt. 81, 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, utilizzando una minorenne con la quale aveva instaurato una relazione intima, produceva materiale pornografico realizzando immagini della stessa che la ritraevano nel compimento di atti sessuali ed altresì diffondeva o comunque divulgava il predetto materiale immettendolo in rete e rendendolo accessibile sul socia network Facebook.

In particolare, il G.u.p. di Roma aveva ritenuto che le condotte poste in essere dall’imputato integrassero anche i reati di cui all’art. 600-ter, quarto comma e cod. pen., avendo costui inviato al nuovo fidanzato un messaggio contenente parte del materiale pornografico ritraente la minore, ma che tali reati dovessero essere ritenuti comunque assorbiti nell’art. 600-ter, primo comma, cod. pen.

Inoltre, ai sensi dell’art. 207 cod. proc. pen., era stata disposta la trasmissione degli atti al pubblico ministero per procedere nei confronti della minorenne, avendo quest’ultima ritrattato le accuse contenute in querela.

Ciò posto, il Tribunale di Roma aveva assolto da tale accusa la minore perché il fatto non sussiste.

A sua volta la Corte di Appello considerava integrata la fattispecie incriminatrice nella sua formulazione ‘ratione temporis’, ritenendo sussistente la condotta di utilizzazione della minore per realizzare immagini pedopornografiche, dovendosi considerare non rilevante, e comunque non scriminante, che la minore, secondo quanto dalla stessa dichiarato innanzi al g.u.p., avesse acconsentito sia alla realizzazione delle immagini (effettuata nell’ambito di pratiche sessuali condivise con l’imputato) sia alla loro parziale cessione, al fine di mettere alla prova ragazzo con il quale la stessa aveva successivamente allacciato una relazione sentimentale.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza emessa dai giudici di seconde cure, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, per mezzo del difensore di fiducia, articolato nei seguenti motivi: 1) erronea applicazione della norma di cui all’art 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., e vizio motivazionale in quanto, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe fornito una erronea applicazione della legge penale in virtù di una lettura della fattispecie di reato di pornografia minorile contraria all’interpretazione stabilita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, e alla normativa internazionale in materia, valutando inattendibili le dichiarazioni rese innanzi al g.u.p. dalla ragazza che aveva dichiarato di avere espresso il proprio consenso alla produzione di tale materiale, aveva ritenuto che la minore fosse stata ‘utilizzata’ dal _ per realizzare immagini pedopornografiche, omettendo ogni riferimento in merito alla configurabilità della condotta penalmente rilevante di ‘utilizzazione’, come delimitata dalla Suprema Corte, incentrando il proprio giudizio solo sulla irrilevanza dell’efficacia scriminante del consenso espresso dalla giovane tenuto conto altresì del fatto che, da un lato, il giudice di appello avrebbe, inoltre, tralasciato ogni motivazione in merito alle specifiche doglianze sollevate con l’atto di impugnazione in relazione a quanto affermato, in sede di spontanee dichiarazioni, in cui si era evidenziato che nella fattispecie non vi sarebbe stata alcuna forma di ‘reificazione’ della minore o comunque di una sua degradazione e/o manipolazione, essendosi svolti i fatti nel contesto di un rapporto di coppia, esistente ancora a distanza di anni, e dovendosi ritenere la ripresa fotografica dell’atto sessuale una forma di espressione della sessualità del minore ultraquattordicenne, dall’altro, i giudici di appello non avrebbero nemmeno tenuto conto dell’assoluzione della dal reato di cui all’art. 372 cod. pen.; 2) difetto di motivazione circa il diniego opposto alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art 603, cod. proc. pen., in relazione all’audizione della persona offesa, prova, invece, da ritenersi decisiva alla luce delle dichiarazioni rese dalla stessa in sede di “ritrattazione” dinanzi al g.u.p. nel corso del primo grado in cui si era prefigurata una realtà del tutto divergente da quella ricostruita dal giudice di seconde cure; 3) erronea applicazione della norma di cui all’art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., duolendosi a tal proposito della mancata configurabilità della fattispecie di pornografia minorile, in virtù dell’impossibilità di ravvisare il concetto di ‘utilizzazione’ della minore in assenza di una manipolazione della stessa, chiedendosi al contempo la derubricazione del reato addebitato ai sensi dell’art. 600-ter, quarto comma, cod. pen., nonché rilevandosi al riguardo che l’avvenuta cessione a titolo gratuito di materiale pornografico, tramite l’invio di un messaggio privato sul social network Facebook, sarebbe stata semmai sussumibile nella fattispecie del quarto comma della suddetta disposizione, oramai prescritto, attesa l’assenza dell’elemento divulgativo delle immagini incriminanti ad una platea indeterminata di soggetti, essendo le stesse pervenute tramite un canale di interlocuzione bilaterale.

La posizione assunta dall’imputato in altri scritti difensivi

Oltre al ricorso proposto, il difensore aveva fatto poi pervenire due successive memorie.

Con la prima, tra l’altro, si evidenziava che il consenso della vittima esclude la tipicità del fatto contestato; la digitalizzazione della vita sessuale deve essere nell’attualità ricompresa nella sfera dell’autonomia sessuale mentre la clausola di riserva contenuta nell’art. 600-ter, terzo e quarto comma, rende comunque lecita la diffusione delle immagini.

Con la seconda, si replicava invece alla requisitoria del P.g. che aveva concluso per il rigetto del ricorso sul presupposto che la successiva divulgazione delle immagini fosse comunque rilevante per la sussistenza del reato dell’art. 600-ter, primo comma, e comunque richiamando la sentenza Sez. 3, n. 5522 del 21/11/2019, per affermare l’illiceità della divulgazione.


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Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

La Terza Sezione penale, investita del ricorso, rimetteva gli atti alle Sezioni Unite, per la particolare rilevanza della questione, alla luce degli argomenti di dissenso rispetto alla decisione delle Sezioni Unite n. 51815 del 2018.

Si ricordava innanzitutto a tal proposito che, nell’obiter dictum contenuto nella decisione n. 51815 del 2018, evocata dal ricorrente, le Sezioni Unite hanno delineato l’ambito della c.d. pedopornografia domestica, affermando che non sussiste l’utilizzazione del minore – che costituisce il presupposto del reato di produzione di materiale pornografico di cui all’art. 600-ter, primo comma, cod. pen. – nel caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore (che abbia raggiunto l’età del consenso sessuale) nell’ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore, sicché le stesse siano frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato.

Ciò posto, era altresì evidenziato come tale principio sia stato affermato in un contesto in cui il legislatore nazionale ha deciso di non esercitare la facoltà prevista dall’art. 8, par. 3, della Direttiva 2011/93/EU, e dalla Convenzione di Lanzarote, che prevedeva la possibilità di non incriminare la produzione e il possesso di materiale pedopornografico relativo a minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale, destinato unicamente all’uso privato delle persone coinvolte, purché l’atto non implichi alcun abuso, precisandosi contestualmente che tale circostanza impone un’interpretazione della norma incriminatrice ancorata ad un’attenta esegesi della fattispecie alla luce del bene protetto, che non si identifica nella “autonomia sessuale del minore infraquattordicenne“, ma nella tutela della intimità e/o riserbo sessuale del minore di anni diciotto e nella necessità di limitare la diffusione di immagini che possano destare interesse sessuale nei confronti di soggetti di età minore.

Secondo il Collegio remittente, tra l’altro, la risoluzione della questione di diritto trasfusa nei motivi di ricorso impone una “messa in discussione, se non altro sotto il profilo della non completezza” del citato obiter dictum delle Sezioni Unite, privo di qualunque considerazione circa la evidente differenza che intercorre tra una relazione interpersonale paritaria tra soggetti minori di età, in grado di manifestare il proprio consenso all’attività sessuale, e la relazione interpersonale tra un minore ed un adulto, relazione che non necessariamente potrebbe essere caratterizzata “da una posizione di supremazia, ma che risulta altresì arduo definire paritaria“.

Ciò posto, con riferimento al caso di specie, il Collegio rimettente chiariva di non condividere l’affermazione difensiva secondo la quale il consenso all’atto sessuale include il consenso alla sua rappresentazione documentale, rectius, digitale, giacché, «alla luce dell’attuale sviluppo tecnologico ed alla fruibilità diffusa di dispositivi di riproduzione di comune impiego, essa è divenuta ‘una forma di espressione della sessualità’ e quindi “atto sessuale in sé”» fermo restando che, ad avviso di questo stesso Collegio, la sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che il minore di diciotto anni non potrebbe validamente consentire alla produzione del materiale pedopornografico riproducente lo svolgimento della sua attività sessuale (pur dallo stesso consentita), in quanto non in grado di discernere le possibili ripercussioni future sulla sua sfera psichica connesse ai rischi di diffusione, con conseguente pericolo per la sua reputazione ed immagine e possibili sofferenze psichiche derivanti da tale diffusione, potrebbe risultare in contrasto con la citata decisione delle Sezioni Unite, laddove non tiene conto della necessità di verificare l’esistenza o meno di un rapporto paritario tra la minore e l’adulto così affermando, nella sostanza, la non configurabilità scriminante del consenso nella pedopornografia c.d. domestica prodotta nell’ambito di una relazione affettiva intercorsa tra un minore di quattordici anni ed un adulto.

In relazione alla questione di diritto contenuta nel terzo motivo di ricorso, si escludeva, anche tenuto conto delle indicazioni delle fonti sovranazionali vincolanti, che il materiale pedopornografico ‘domestico’ possa lecitamente superare la sfera dell’esclusivo uso privato dei protagonisti coinvolti nell’attività sessuale, in ragione della impossibilità per il minore ultraquattordicenne di prestare un valido consenso alla cessione, diffusione e divulgazione di tale materiale.

Tuttavia, si osservava, anche sotto questo profilo, che l’obiter delle Sezioni Unite appariva essere non completo perché privo di indicazioni in ordine alle possibili ricadute della elaborazione della categoria della ‘pornografia domestica’, posto che l’affermazione secondo cui la produzione del materiale pornografico prodotto tra soggetti minori che abbiano raggiunto l’età della libertà sessuale, nell’ambito di una relazione paritaria, esula dalla nozione di ‘utilizzazione del minore’ ai sensi del primo comma dell’art. 600-ter, cod. pen., impone necessariamente una coerente interpretazione dei commi secondo, terzo e quarto della stessa norma, che fanno riferimento al materiale di cui al primo

comma.

La Terza Sezione, dunque, alla luce di quanto appena esposto, metteva in guardia da eventuali vuoti di tutela che potrebbero conseguire dalla liceità del materiale pedopornografico così prodotto proprio nei casi maggiormente delicati di cessione o diffusione successiva a soggetti estranei alla loro produzione, non potendo ritenersi risolutiva in tal senso l’introduzione, nel 2019, tramite l’art. 612-ter cod. pen., della criminalizzazione del fenomeno del c.d. revenge pom, che non risulta occuparsi, nello specifico, della tutela della persona di età minore e che non appare adeguato a tale scopo sia per la procedibilità a querela che per la mancata previsione di una circostanza aggravante specifica per i casi in cui la diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessuale esplicito abbia ad oggetto le immagini di un minore.

Era infine citata la decisione di Sez. 3, n. 5522 del 21/11/2019, che, sebbene prevalentemente incentrata sulla problematica della differenza tra materiale etero-prodotto e materiale auto-prodotto dal minore, ha affermato la irrilevanza della liceità di produzione di materiale pedopornografico ad uso privato ai fini della configurabilità dei reati di divulgazione, diffusione e cessione di tale materiale a persone diverse dai protagonisti dell’attività sessuale ivi riprodotta.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito, procedevano a delimitarla nei seguenti termini: “Se, e in quali limiti, la condotta di produzione di materiale pornografico realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne, nel contesto di una relazione con persona maggiorenne, configuri il reato di cui all’art. 600-ter, primo comma, n. l, cod. pen.”.

Premesso ciò, gli Ermellini osservavano prima di tutto che il necessario riferimento normativo è costituito dall’art. 600-ter, cod. pen., che costituisce la prima disposizione dell’articolato sistema di fattispecie incriminatrici introdotto dalla legge 3 agosto 1998, n. 269, finalizzata ad armonizzare l’ordinamento penale interno ai principi sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, che, all’art. 34, impegnava gli Stati aderenti a proteggere “il fanciullo” da ogni forma di violenza e sfruttamento sessuale e, quindi, dallo sfruttamento ai fini di prostituzione o di produzione di spettacoli o di materiale pornografico.

Detto questo, era altresì fatto presente che l’attuale formulazione dell’art. 600-ter, cod. pen., è il frutto di plurimi interventi legislativi, descritti nei seguenti termini: “Nella formulazione originaria del 1998, l’art. 600-ter cod. pen. (pornografia minorile) recitava: “Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni”. A seguito della modifica apportata con la legge del 6 febbraio 2006, n. 38, vigente dal 2 marzo 2006, la formulazione dell’articolo è la seguente: “Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche, è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164. 5. Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità”. L’art. 600-ter, cod. pen., ha subìto ulteriori interventi per effetto del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38; del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, ma soprattutto della legge 1 ottobre 2012, n. 172 che ha ratificato ed eseguito la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007. In virtù dell’art. 4, lett. h), della legge 1 ottobre 2012, n. 172, per quanto qui interessa, l’art. 600-ter, primo comma, cod. pen. è stato modificato come segue: “E’ punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto”. Sono stati poi aggiunti due commi alla norma, il sesto ed il settimo. Il sesto recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.500 ad euro 6.000”. Il settimo contiene la definizione di pornografia minorile come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali””.

Orbene, terminato questo excursus normativo, i giudici di piazza Cavour notavano che l’art. 600-ter, cod. pen., attualmente vigente, si articola su una pluralità di ipotesi di reato tra loro autonome e diversamente strutturate, ordinate secondo un criterio gerarchico di gravità decrescente ricavabile dalle clausole di esclusione contenute nei commi terzo e quarto, nonché di graduazione delle pene edittali, avendo il legislatore così inteso realizzare un sistema che, nel suo complesso, assicuri la più ampia tutela del minore sanzionando non solo chi ha con lo stesso un rapporto finalizzato alla produzione del materiale erotico, ma anche colui che, pur non abusando direttamente della persona del minore, con la sua domanda alimenta l’offerta e la mercificazione del minore stesso.

In sé la norma appare, dunque, per la Corte di legittimità, completa ed esente da imprecisioni, indeterminatezze o contraddizioni posto che: il primo comma ha riguardo alla fase di realizzazione del materiale pornografico mediante utilizzo del minore, nonché al reclutamento ed all’induzione del minore stesso; il comma secondo alla condotta “di chi fa commercio del materiale di cui al primo comma”; il comma terzo reprime le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, ovvero di distribuzione, divulgazione o diffusione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale del minore; il comma quarto sanziona, infine, quei comportamenti di offerta o cessione a terzi, a titolo oneroso o gratuito, del materiale pornografico.

La definizione del materiale pornografico, rilevante per tutti i commi dell’art. 600-ter cod. pen, invece, osservavano sempre le Sezioni Unite, la si ricava dal comma settimo in precedenza citato, deducendosi al contempo che tutti i reati in questione hanno natura comune e possono essere commessi anche da minori in danno di altri minori.

Chiarito ciò, gli Ermellini, a questo punto della disamina, evidenziavano che le questioni poste nell’ordinanza di rimessione imponevano anzitutto di ritornare sull’esegesi del comma primo dell’art. 600-ter, cod. pen., con specifico riferimento alla previsione “produce materiale pornografico, occorrendo al riguardo chiarire in premessa che la formulazione del primo comma sul punto presuppone indubbiamente la diversità dell’autore della condotta dal soggetto ripreso, difettando diversamente l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un soggetto terzo, cui fa riferimento il primo comma dell’art. 600-ter, cod. pen. (Sez. 3, n. 11675 del 18/2/2016; Sez. 3 n. 34357 del 11/4/2017), rimanendo, pertanto, esclusa dal concetto di produzione penalmente rilevante, ai sensi del primo comma, ”l’autoproduzione” del materiale da parte del minore.

Ciò posto, era rilevato che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 51815 del 31/5/2018, hanno affermato che “ai fini dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-ter, comma primo, cod. pen., non è richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale” e, alla luce di tale approdo ermeneutico, era stato così superato l’orientamento in precedenza espresso da Sez. U 31/5/2000, n. 13, con cui le Sezioni Unite avevano argomentato che “poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell’art. 600-ter cod. pen. mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto».

In particolare, era fatto presente che la sentenza n. 13/2000, in una realtà in cui la captazione dell’immagine non implicava necessariamente la successiva diffusione, riteneva che l’espressione “produce materiale pornografico” contenuta nel primo comma n. 1) dell’art. 600-ter cod. pen. stesse ad indicare che, per l’integrazione del reato, il materiale doveva essere necessariamente destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia e, dunque, rimanevano escluse, dall’ambito applicativo dell’art. 600-ter, comma l, cod. pen., le ipotesi nelle quali mancava il pericolo concreto di circolazione del materiale stesso, mentre il più recente orientamento espresso dalle Sez. U, nella pronuncia n. 51815 del 2018 costruisce, invece, la fattispecie in termini di reato di danno, muovendo dalla diversa premessa che l’attualità impone di considerare la “pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smart-phone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata e ha reso normali il collegamento ad Internet e l’utilizzazione di programmi di condivisione di reti sociali” fermo restando che sul piano ermeneutico si nega l’autonomia concettuale della nozione di produzione rispetto a quella di realizzazione, rilevando che a quest’ultimo termine il legislatore ricorre in maniera alternativa negli artt. 600-quater e 600-quater.l cod. pen. per indicare la creazione di materiale pornografico.

L’art. 600-quater, cod. pen., ha in effetti riguardo alla condotta di chi “consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori” mentre l’art. 600-quater l, cod. pen., concerne il “materiale pornografico che rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori”.

A fronte di ciò, valenza centrale viene, invece, attribuita dal più recente orientamento alle modalità di realizzazione del materiale pornografico, essendo stato rilevato in proposito che la nozione di “utilizzazione” evoca la strumentalizzazione del minore e la sua riduzione a res per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri soggetti o per conseguire un utile; in altri termini, la “utilizzazione” del minore circoscrive l’ambito applicativo del reato dell’art. 600-ter, primo comma, cod. pen. e lede il bene giuridico tutelato dalla norma, identificabile nella immagine, nella dignità e nel corretto sviluppo psico fisico dello stesso minore.

Ebbene, ad avviso delle Sezioni Unite, le conclusioni cui perviene la sentenza n. 51815 del 2018 poggiano su premesse ermeneutiche inconfutabili.

Se infatti il termine “utilizzando” contenuto nella formulazione attuale dell’art. 600-ter, comma l, cod. pen. ha sostituito il termine “sfruttare” presente nell’originaria stesura della norma per chiarire, in linea con quanto già affermato nella sentenza n. 13/2000, che l’assoggettamento del minore non deve essere necessariamente determinato da finalità di lucro, per la Corte di legittimità, è richiesta, tuttavia, pur sempre, sul piano concettuale, la verifica della condizione di asservimento del minore per un vantaggio altrui.

La nozione di utilizzazione, con la quale il legislatore ha inteso circoscrivere la sfera applicativa della disposizione in esame, invero, ha portata più ristretta rispetto al concetto di “impiego” evocato, nel medesimo capo, all’art. 600-octies cod. pen., per indicare la condotta di “chi si avvale” del minore.

Se dunque ricorre la “l’utilizzazione” del minore nessuna valenza – esimente o scriminante – può essere riconosciuta al suo consenso atteso che, in questo caso, il consenso non può essere ritenuto libero e si presume determinato proprio dall’abusività della condotta dell’adulto e, in quest’ottica, si spiega la mancanza di alcun riferimento, nel corpo dell’art. 600-ter, primo comma, cod. pen. al consenso del minore cui, invece, attribuiscono rilievo le Convenzioni internazionali che riconnettono la liceità della condotta dell’adulto al “consenso” del minore, purché non ottenuto mediante comportamenti “abusivi” dell’adulto.

A sostengo di quanto sin qui enunciato, i giudici di piazza Cavour richiamavano, al riguardo, l’art. 20, par. 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuali conclusa a Lanzarote il 25 ottobre 2007 secondo il quale” Le Parti possono riservarsi il diritto di non applicare, in tutto o in parte, il paragrafo 1 lettere a ed e alla produzione e al possesso di materiale pedopornografico raffigurante minori che abbiano raggiunto l’età fissata in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 2, se tali immagini sono prodotte o possedute da essi stessi, con il loro consenso ed esclusivamente per loro uso privato”, così come, nella medesima ottica, veniva, inoltre, ricordato l’art. 3, par. 2 della Convenzione GAI/2003/68 che consentiva agli Stati di prevedere la non punibilità della condotta di produzione del materiale pornografico “nel caso di produzione e possesso di immagini di bambini che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale prodotte e detenute con il loro consenso e unicamente a uso privato” fermo restando che la medesima disposizione precisava, tuttavia, “che, anche nel caso in cui sia stabilita l’esistenza del consenso, questo non può essere considerato valido se, ad esempio, l’autore del reato l’ha ottenuto avvalendosi della sua superiorità in termini di età, maturità, stato sociale, posizione, esperienza, ovvero abusando dello stato di dipendenza della vittima dall’autore”.

All’opposto, la Direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che ha sostituito la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio all’art. 8, comma terzo, prevede adesso solamente la facoltà per gli Stati di non attribuire rilevanza penale alla “produzione, all’acquisto o al possesso di materiale pedo-pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale è prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte, purché l’atto non implichi alcun abuso”.

Orbene, in relazione a tale panorama normativo sovranazionale, la Cassazione riteneva che la interpretazione dell’art. 600-ter, primo comma, cod. pen. operata dalla sentenza n. 51815 del 2018 non determina, in realtà, sul piano sostanziale effetti diversi da quelli perseguiti dalle Convenzioni internazionali in quanto le condizioni per escludere la validità del consenso del minore rilevano comunque sul piano interno per la verifica dell’elemento della “utilizzazione del minore“.

Doveva essere, dunque, ribadito, per la Corte, anche in questa occasione, quanto già affermato da Sez. U, n. 51815 del 2018 e, cioè, che “il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante … non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell’utilizzazione” in guisa tale che, in una linea di continuità con quanto già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 51318 del 31/5/2018), per il Supremo Consesso, è possibile affermare che, dalla sfera applicativa della previsione del primo comma dell’art. 600-ter, cod. pen. fuoriesce, dunque, soltanto la produzione di materiale pornografico realizzato senza la “utilizzazione” del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l’età per manifestarlo.

In effetti, con riguardo al primo profilo, il termine “utilizzazione” sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento mentre, con specifico riferimento al secondo aspetto, è richiesto al giudice un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui è stato espresso il consenso del minore ed una verifica specifica per escludere che lo stesso sia stato inficiato da condizionamenti.

Ciò posto, come evidenziato anche nell’ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite rilevavano come la sentenza n. 51815 del 2018 abbia già indicato una serie di elementi dai quali è possibile ricavare la condizione di “utilizzazione” del minore, essendo essi stati individuati nella abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; nelle modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); nel fine commerciale; nell’età dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale fermo restando che, in successive decisioni, si è precisato che il concetto di utilizzazione “presuppone la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest’ultimo” (Sez. 3, n. 2252 del 22/10/2020) nonché affermato, inoltre, che non rileva la “familiarità alla divulgazione delle proprie immagini erotiche in quanto la stessa è spesso sintomo della particolare fragilità del minore” (Sez. 3, n. 2252, del 23/10/2020; Sez. 3, n. 1509 del 16/10/2018).

Ebbene, ad avviso della Suprema Corte, l’indicazione contenuta nella sentenza n. 51815 del 2018 ha carattere necessariamente esemplificativo nel senso che la declinazione del concetto di “utilizzazione del minore” deve armonizzarsi e trovare coerenza interpretativa con le disposizioni contenute nel Titolo XII, Capo III “dei delitti contro la libertà individuale“, Sezione I “dei delitti contro la personalità individuale” e Sezione II “dei delitti contro la libertà personale“, rientrando in una comune logica di sistema sorretto dalle medesime finalità, come si evince anche dal fatto che la relazione al Parlamento per gli anni 1998/1999 sullo stato di attuazione della legge 3 agosto 1998, n. 269, che ha introdotto nel codice la normativa sulla pedopornografia e sulla prostituzione minorile, precisa che la stessa tiene conto “non solo della legge 3 agosto 1998, n. 269 ma anche della legge del 15 febbraio 1996, n. 66 sulla violenza sessuale in quanto i problemi affrontati dalle due leggi sono strettamente connessi; gli obiettivi da perseguire consistenti in sostanza nella tutela dell’integrità non solo fisica ma anche psichica dei soggetti più esposti all’aggressione ed allo sfruttamento – non possono non essere comuni e si sovrappongono spesso nella eziologia come nelle specifiche manifestazioni; gli interventi, sia di aiuto alle vittime sia repressivi, sono caratterizzati da analoga ispirazione e da omologhe metodologie … “.

A riprova di ciò, notavano le Sezioni Unite, l’art. 602-quater, cod. pen., introdotto nell’ordinamento dalla legge 1 ottobre 2012, n. 172, ha esteso anche ai reati in materia di pornografia la regola contenuta nell’art. 609-sexies cod. pen. secondo cui “il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile” e sono state introdotte nel codice disposizioni comuni per prevenire l’insorgenza dei fenomeni di prostituzione minorile, pedopornografia e violenza sessuale sui minori, assumendo specifico rilievo in proposito le seguenti disposizioni:  1)  art. 600-ter, comma 3, cod. pen.: “Chiunque … pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga, diffonde notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori di anni 18″; 2) art. 414-bis cod. pen. (Istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia) “chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater 1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater e 609-quinquies”; 3) art. 609-undecies, cod. pen., (Adescamento di minorenni) che ricorre ad una formulazione sostanzialmente sovrapponibile a quella dell’art. 414-bis, cod. pen., per sanzionare “Chiunque …. adesca un minore di anni sedici”.

Detto questo, dal canto loro, le disposizioni contenute nel Capo III del Titolo XII perseguono anzitutto la finalità di assicurare che la determinazione del minore sia “libera ed incondizionata” nelle scelte di natura sessuale, assumendo, pertanto, rilevanza penale quelle condotte finalizzate alla coercizione della volontà del minore determinate da costringimento, inteso come abuso o approfittamento delle sue condizioni, o da induzione e, cioè, attraverso il condizionamento delle scelte.

Chiarito tale aspetto giuridico, a questo punto della disamina, gli Ermellini evidenziavano che la disposizione principale, per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale, è rappresentata dall’art. 609-quater, cod. pen., recentemente modificato dall’art. 20 della legge 23 dicembre 2021 n. 238 che disciplina il consenso del minore.

Il primo comma recita:” Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; “

Attraverso l’incipit “Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste da detto articolo” si indica una serie di situazioni nelle quali l’accordo del minore è da ritenere inesistente in quanto sicuramente viziato dalla situazione di costrizione in cui versa, assumendo, in particolare, rilevanza le condotte di violenza, minaccia, abuso di autorità, abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto e l’inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona, indicati nell’art. 609-bis, cod. pen. fermo restando che, sempre al primo comma dell’art. 609-quater cod. pen., al n. 2), vengono poi elencate altre situazioni che per la natura del rapporto esistente con l’autore del reato escludono anch’esse qualsiasi validità al consenso del minore infrasedicenne che “non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza”.

Per il minore che abbia compiuto i sedici anni la norma richiede al comma 2, che sostanzialmente riproduce la formulazione del comma 1 n. 2), l’abuso dei poteri connessi all’esercizio dei compiti di vigilanza, educazione, ecc.

L’art. 20 della legge 23 dicembre 2021 n. 238, dal canto suo, ha introdotto, dopo il secondo comma dell’art. 609-quater, cod. pen., un’ulteriore previsione, anch’essa rilevante, che ha riguardo all’abuso della fiducia del minore: “Fuori dai casi previsti dai commi precedenti, chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità è punito …. ” fermo restando che, sul concetto di abuso di autorità, erano peraltro già intervenute le Sezioni Unite precisando che, in “tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità … presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali” (Sez. U, n. 27326 del 16/07/2020, Rv. 279520 – 01).

L’art. 609-quater cod. pen, dunque, secondo il Supremo Consesso, già consente di evidenziare una serie di contesti nei quali la volontà del minore deve ritenersi certamente coartata e, pertanto, nel caso in cui ricorrano le condizioni di approfittamento, di abuso di poteri o di fiducia al momento della richiesta formulata al minore di riprendere o registrare immagini della sua sfera sessuale, si versa certamente in ipotesi di “utilizzazione” del medesimo, rilevandosi al contempo che il contesto normativo del Capo III, Titolo XII impone di aggiungere alla elencazione dei casi nei quali la volontà del minore non può essere ritenuta scevra da condizionamenti, la dazione o la promessa di denaro in cambio dell’attività di ripresa o di registrazione delle immagini e l’approfitta mento delle condizioni di natura economica del minore, essendo indubbio che la volontà del minore subisca forte condizionamento per effetto della dazione di corrispettivo di denaro o di altra utilità, anche se solo promessa. Occorre in proposito richiamare l’art. 600-bis, comma secondo, cod. pen., (Prostituzione minorile): “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito …” dal momento che tale disposizione persegue la finalità di reprimere anche isolati episodi di mercimonio muovendo dal presupposto della incapacità del minore ad opporsi validamente alla offerta di denaro o di altre utilità per la condizione di particolare fragilità in cui versa e che, infatti, non trova corrispondenza nella normativa relativa alla prostituzione del maggiorenne mentre l’insidiosità dell’approfittamento delle condizioni economiche del minore, tanto più se assurgano a vero e proprio stato di necessità, si desume dall’intero panorama normativo di riferimento dato che l’art. 602-ter, comma quarto, cod. pen. nei casi previsti dagli artt. 600-bis, primo e secondo comma, 600-ter, primo comma, e 600-quinquies, cod. pen., prevede, infatti, un aggravamento di pena “se il fatto è commesso approfittando della situazione di necessità del minore”.

L’art. 20 della legge 23 dicembre 2021 n. 238, invece, ha introdotto una specifica circostanza aggravante al terzo comma dell’art. 609-quater “se il compimento degli atti sessuali con il minore degli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solamente promessa”.

Va da sé quindi che, anche nei casi da ultimo indicati, per le ragioni in precedenza espresse, per la Suprema Corte, debba essere esclusa qualsiasi rilevanza al consenso del minore per le riprese o le registrazioni dei suoi aspetti di intimità sessuale.

Orbene, a fronte di quanto sin qui esposto, i giudici di piazza Cavour notavano altresì che anche le condotte induttive rilevano per la nozione di “utilizzazione” del minore, essendo stato affermato al riguardo che “l’utilizzazione del minore può manifestarsi non solo quando l’agente realizzi egli stesso la produzione di tale materiale (ad esempio scattando fotografie dal contenuto erotico) ma anche quando induca o istighi a tali azioni il minore” (Sez. 3, n. 2252 del 23/10/2020) e che “risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall’art. 600-ter, comma primo, n. 1, cod. pen. anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo” (Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019).

Il concetto di istigazione viene dunque inteso nelle sentenze citate come rafforzamento di un proposito già presente nel minore, in linea con l’orientamento espresso in altre decisioni della Corte (Sez. 4, n. 38107 del 17/09/2010), mentre, con il termine di induzione, si è voluto, invece, avere riguardo al caso in cui la determinazione del minore dipenda esclusivamente dalia condotta dell’agente.

Sulle modalità dell’induzione, in mancanza di decisioni che abbiano esaminato specificamente la questione in relazione all’art. 600-ter cod. pen., per la Corte, potrà aversi riguardo, per la sovrapponibilità dei profili di interesse rilevanti nella fattispecie in esame, agli approdi cui si è pervenuti con riferimento all’art. 600-bis cod. pen. che, al comma 1 n. 1, sanziona la condotta di chi “recluta o induce alla prostituzione persona di età inferiore agli anni diciotto” essendo stata l’induzione descritta in quel contesto come “quell’attività, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione”, con la precisazione che “l’opera di convincimento può consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere …… e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa della valutazione del minore” (Sez. U, n. 16207 del 19/12/2013).

Le disposizioni relative alla pornografia ed alla prostituzione minorile, pertanto, sono accomunate dalla necessità di proteggere il minore da richieste legate a fenomeni di perversione sessuale, a volte interdipendenti, potendo essere la produzione di materiale pornografico uno degli epiloghi del fenomeno della prostituzione del minore mentre le tecniche di persuasione del minore per raggiungere l’obiettivo possono essere comuni, in quanto finalizzate allo sfruttamento ed all’approfitta mento della condizione di fragilità del minore necessariamente più sensibile a forme di pressioni subdole da parte dell’adulto.

Oltre a ciò, era altresì denotato che l’esegesi della nozione di “utilizzazione” non può, inoltre, prescindere da una specifica riflessione sulla maturità del minore, essendo per la Corte importante rilevare che al Capo III del titolo XII il legislatore opera più volte la distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne in rapporto alla gradualità dello sviluppo del minore fermo restando che questa differenziazione, che si coglie anzitutto nell’art. 609-quater, cod. pen., come in precedenza evidenziato, assume carattere di generalità per i reati di pornografia e di prostituzione minorile, essendo (stimate) indicative al riguardo sono le seguenti previsioni normative: I) artt. 600-ter, quinto comma, cod. pen. che per i casi previsti dagli artt. 600-bis, primo e secondo comma, 600-ter, primo comma e 600-quinquies, cod. pen., prevede un aggravamento di pena “se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici”; II) art. 602-ter, sesto comma, cod. pen. che, anche per i reati di cui agli artt. 600-bis e 600-ter, cod. pen., detta i criteri di aggravamento della pena per situazioni omologhe a quelle indicate nell’art. 609-quater cod. pen.

A fronte di quanto appena enunciato, era inoltre rilevato che, proprio per rafforzare la tutela del minore infrasedicenne, il legislatore, recependo le indicazioni delle Convenzioni internazionali, ha introdotto una specifica disposizione di “sbarramento” finalizzata a prevenire iniziative rivolte al coinvolgimento del minore stesso nei contesti della pornografia e della prostituzione minorile; si tratta dell’art. 609-undecies cod. pen. (Adescamento di minorenni) che recita: “Chiunque allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter e quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater.l, 600-quinquies, .. . adesca un minore di anni sedici, è punito … “.

Orbene, per le Sezioni Unite, la tutela rafforzata del minore per la fascia di età ricompresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di età comporta la necessità di una più specifica analisi dei fattori di condizionamento della sua volontà nell’assentire le richieste dell’adulto fermo restando che, se, sul piano sistematico e concettuale, non è possibile pervenire ad una assimilazione del minore infraquattordicenne a quello infrasedicenne, è però indubbio che anche per quest’ultimo è molto elevato il rischio di condizionamento per il grado di maturità necessariamente limitato in quella fase dello sviluppo psico-fisico.

Ed allora, per la Corte di legittimità, l’accertamento sulla “utilizzazione” del minore infrasedicenne deve essere particolarmente rigoroso visto che esso richiede un’attenta valutazione in ordine all’abuso del rapporto di fiducia da parte dell’adulto – specificamente evocato nella nuova formulazione dell’art. 609-quater cod. pen. – ed alle modalità di convincimento cui lo stesso ha fatto ricorso, parametrando le pressioni e l’insidiosità degli artifici necessari a vincere la resistenza psicologica del minore alla sua limitata capacità di cogliere le situazioni per sé svantaggiose, rilevandosi al contempo come a tal proposito sia utile richiamare la definizione del concetto di adescamento contenuta dell’art. 609-undecies cod. pen. sintetizzata “in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce”.

In relazione al passaggio argomentativo appena richiamato, gli Ermellini, a questo punto della disamina, facevano presente come la necessità di un’attenta verifica di tutti gli aspetti sinora illustrati sia indispensabile anche in presenza di una relazione affettiva tra adulto e minore, essendo necessario verificare specificamente che l’adulto non abbia vinto le resistenze del minore inducendolo a superare le proprie riluttanze tramite tecniche di manipolazione psicologica e di seduzione affettiva, sfruttando la superiorità in termini di età, esperienza, posizione sociale o la condizione di inferiorità del minore il quale, nell’ambito della relazione, è suscettibile di essere esposto a varie forme di condizionamento che includono il “ricatto affettivo“, potendo l’adulto fare leva sulla paura dell’abbandono, sul “senso del dovere”, sulla colpevolizzazione del rifiuto o su paragoni impropri, per raggiungere il proprio obiettivo, essendo inoltre importante verificare anche che il minore non sia rimasto vittima, nell’assentire le richieste dell’adulto, di minacce velate o di altre pressioni subdole o insidiose.

Oltre a ciò, era osservato che l’accertamento della condizione di “utilizzazione” nell’ambito di un rapporto tra minori richiede il confronto con un contesto necessariamente più fluido, fatto di rapporti più difficilmente inquadrabili poiché le riprese o le registrazioni possono essere determinate da motivazioni diverse rispetto a quelle rinvenibili nel rapporto adulto-minore, quali l’esibizionismo, la vanteria, o altro fermo restando che, per l’età ravvicinata dei protagonisti, manca, infine, una figura di riferimento per definizione “prevalente“.

Orbene, a riprova di ciò, i giudici di legittimità ordinaria notavano che l’art. 609-quater, terzo comma, cod. pen., fatti salvi i casi di violenza, esclude la punibilità del minore che compia atti sessuali con altro minorenne che abbia raggiunto i tredici anni – e che, dunque, non abbia nemmeno l’età per prestare il consenso sessuale -, alla sola condizione che la differenza di età tra i minori non sia superiore ai tre anni, evidenziandosi al contempo che il consenso del minore all’atto sessuale non include di per sé anche quello alla registrazione dell’attività o alle riprese di carattere intimo di natura pornografica dal momento che tale attività, pure riconducibile all’autonomia sessuale del minore, rappresenta un quid che si aggiunge all’atto sessuale, come già rilevato in alcune decisioni della Corte (Sez. 3 n. 16616 del 23/3/2015).

Si rende, dunque, necessario, per le Sezioni Unite, che il minore esprima il proprio consenso anche in relazione alla ulteriore attività di ripresa delle immagini considerato che tale aggiuntiva richiesta potrebbe trovare nel minore resistenze determinate, ad esempio, dal timore che il materiale realizzato possa essere successivamente diffuso, da remore di ordine morale o di altra natura nel senso che, fino a quando non si sia proceduto alle riprese il minore rimane libero di revocare l’iniziale consenso, mentre, se l’adulto prosegue nell’attività di ripresa o di registrazione, nonostante la revoca da parte del minore dell’iniziale consenso, ricorre senz’altro la condizione di “utilizzazione” di quest’ultimo.

Ciò posto, era inoltre ritenuto che il consenso del minore deve necessariamente avere riguardo, inoltre, anche alla successiva conservazione delle immagini da parte di chi le ha realizzate nell’ambito della relazione o del rapporto, richiamandosi in proposito anzitutto le seguenti disposizioni sulla tutela dei dati personali: “L’art. 23 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati persona I i) recita: “1. Il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato.” L’art. 4 (Definizioni) precisa che: “1. Ai fini del presente codice si intende per: a) “trattamento”, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, …… di dati, anche se non registrati in una banca di dati.” Alla lettera d) include, inoltre, i dati relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona tra quelli sensibili: “d) “dati sensibili”, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ..., nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.” L’articolo 9 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la Direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati) – Trattamento di categorie particolari di dati personali – dispone che: “l. È vietato trattare dati relativi …. alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.” ed evoca al par. 75 del preambolo i rischi per i diritti e le libertà delle persone fisiche che possono derivare dal trattamento dei dati personali – tra i quali espressamente menziona quelli relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona – in quanto suscettibili di cagionare un danno fisico, materiale o immateriale a quest’ultima. La mancanza del consenso assume autonoma rilevanza penale in base all’art. 167 d.lgs. 2003 n. 196, cit. (Trattamento illecito di dati): “l. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trame per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione …”. Al minore l’ordinamento interno ha, inoltre, da ultimo riconosciuto il diritto di cautelarsi contro il rischio di diffusione delle immagini rivolgendosi direttamente al Garante per la protezione dei dati personali. L’art. 9, comma 1, lett. e) d.1. 8 ottobre 2021 n. 139, convertito dalla legge 3 dicembre 2021, richiamando il predetto Regolamento UE, ha introdotto, infatti, nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, l’art. 144-bis che al comma 1 recita:” l. Chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso ha facoltà di segnalare il pericolo al Garante, il quale, nelle quarantotto ore dal ricevimento della segnalazione, decide ai sensi degli articoli 143 e 144 del presente codice.”.

Detto questo, terminato siffatto excursus normativo, la Suprema Corte evidenziava inoltre che, a prescindere dalla autonoma rilevanza penale che la conservazione delle immagini senza il consenso del minore può assumere in relazione alla violazione del Codice in materia di protezione dei dati personali, il mancato accordo del minore alla conservazione delle immagini specificamente incide anche sulla valutazione in ordine alla “utilizzazione” del medesimo giacché il disaccordo del minore sulla conservazione dei dati inficia anche l’iniziale consenso di quest’ultimo alle riprese, in quanto concordate sulla base di premesse diverse in ordine ad un aspetto importante, essendo insito nella conservazione delle immagini il rischio di una loro successiva diffusione, fermo restando che si

rende anche per questo aspetto necessario assicurare che il consenso del minore sia stato effettivamente consapevole e libero, scevro, cioè, da influenze da parte dell’adulto derivanti da abuso o approfittamento delle condizioni del minore stesso poiché al principio “volenti non fit iniuria” va contrapposta, per la Corte, l’ispirazione pubblicistica della norma penale indice della risonanza collettiva dell’interesse alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore.

Le Sezioni Unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “Si ha “utilizzazione” del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso”.

Ebbene, dopo essere stato formulato tale criterio ermeneutico, una volta fatto presente che l’ordinanza di rimessione metteva, inoltre, in guardia da eventuali vuoti di tutela con riferimento al rapporto intercorrente tra il primo comma ed i successivi commi secondo, terzo e quarto dell’art. 600-ter cod. pen. aventi ad oggetto, questi ultimi, la circolazione e la diffusione del materiale pedopornografico atteso che il riferimento contenuto in ciascuno dei commi al “materiale di cui al primo comma” potrebbe lasciare intendere, secondo l’ordinanza di rimessione, che il divieto di commercializzazione, distribuzione, divulgazione, diffusione, cessione, ecc. non possa essere esteso al materiale realizzato nell’ambito della “pornografia domestica” in quanto il primo comma fa riferimento esclusivo al materiale prodotto attraverso l’utilizzazione del minore, gli Ermellini osservavano che, in merito al rapporto che intercorre tra il primo comma e quelli successivi dell’art. 600-ter cod. pen., la Terza Sezione nell’affermare, da ultimo, che “II reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematica, di materiale pedo-pornografico, previsto dall’art. 600-ter, comma 4, cod. pen., è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore” (Sez. 3, n. 5522 del 21.11.2019; Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021), ha svolto importanti considerazioni, avendo precisato nell’occasione che “il secondo, terzo e quarto comma dell’art. 600-ter cod. pen. nel riferirsi al materiale pornografico di cui al primo comma, non richiamano l’intera condotta delittuosa del primo comma, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico. È necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica”.

Secondo la decisione in esame non rilevano, dunque, per i commi secondo, terzo e quarto dell’art. 600-ter cod. pen., le modalità di produzione, bensì le caratteristiche del materiale prodotto e l’inclusione di esso nella nozione di pornografia dettata al comma settimo che comprende “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, le motivazioni di questo orientamento sviluppano un percorso argomentativo sicuramente condivisibile per i profili che in questa sede rilevano, essendo stati richiamati, tra gli altri, l’art. 5 della Direttiva 2011/92/UE che, nel prevedere il divieto di circolazione, fa riferimento unicamente al materiale pornografico prescindendo dalle modalità della sua realizzazione e l’art. 612-ter cod. pen. – introdotto dalla legge 19 luglio 2019 n. 69 – che, per la cessione a terzi di immagini o video sessualmente espliciti, prescinde anch’esso dalle modalità di realizzazione, tenuto conto altresì del fatto che è indubbio, inoltre, che, come affermato dalla Terza Sezione, la tipologia del materiale cui si intende fare riferimento nei commi 2, 3 e 4 sia quella definita dal comma 7 dell’art. 600-ter cod. pen..

La questione di fondo esaminata nelle citate decisioni, tuttavia, per il Supremo Consesso, va oltre la problematica che in quella sede occorreva affrontare posto che la Corte era stata chiamata in quelle decisioni a valutare se anche il materiale “autoprodotto” dal minore possa essere ricompreso nelle fattispecie dei commi terzo e quarto per effetto del richiamo “al materiale del comma primo“, essendosi in altre decisioni affermato che, in “tema di pornografia minorile, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 600-ter, comma terzo, cod. pen., è necessario che il produttore del materiale pornografico sia persona diversa dal minore raffigurato” (Sez. 3, n. 34357 del 11/04/2017), rilevandosi però al contempo come non fosse necessario nel caso di specie procedere all’approfondimento specifico della questione affrontata in quelle sentenze in quanto la definizione di “pornografia domestica“, nell’accezione indicata nella sentenza delle Sez. U, n. 51815 del 2018, si riferisce solo al materiale etero prodotto.

Precisato ciò, i giudici di legittimità ordinaria sottolineavano che il presupposto necessario della “pornografia domestica” è che il materiale realizzato sia destinato a rimanere nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto ed esso, quindi, non può mai essere posto in circolazione dal momento che, se tale ultima condizione si avvera, il minore, ancorché non “utilizzato” nella fase iniziale, deve essere ritenuto strumentalizzato, come evidenziato anche in dottrina, successivamente, e, cioè, nella fase di cessione o diffusione delle immagini.

E, dunque, il materiale realizzato, se posto, in circolazione, deve essere ritenuto – indipendentemente dal momento della realizzazione e da chi ne procuri la diffusione – prodotto attraverso la “utilizzazione” del minore.

Ebbene, per le Sezioni Unite, questa ricostruzione comporta che, se la circuitazione del materiale abusivamente prodotto è contestuale o, comunque, anche se successiva, sin dall’inizio voluta da chi lo ha realizzato, ricorre senz’altro la fattispecie del comma primo dell’art. 600-ter cod. pen. mentre, se, invece, la circolazione del materiale è frutto di successiva determinazione di chi lo ha creato, dovranno trovare applicazione i commi seguenti dell’art. 600-ter cod. pen. posto che in questo caso deve essere escluso che possa rivivere la disposizione del comma primo, in quanto si tratterebbe di restituire tipicità ad una condotta che tipica non era al momento della realizzazione del materiale.

L’art. 600-ter cod. pen., in effetti, è articolato su una pluralità di fattispecie incriminatrici indipendenti l’una dall’altra ed ordinate secondo una scala di disvalore e l’incriminazione di una condotta è subordinata alla circostanza che essa non integri già di per sé reato in base alle fattispecie previste nei commi precedenti e lo stesso meccanismo regola la norma di “chiusura” dell’art. 600-quater cod. pen. rispetto all’art. 600-ter cod. pen..

Per la Corte di legittimità, pertanto, la circostanza che colui che realizza il materiale non debba rispondere del reato del comma primo, poiché la condizione di “utilizzazione” del minore si è solo successivamente realizzata, implica l’imputazione di responsabilità per i commi successivi in quanto la clausola di esclusione dell’incipit dei commi terzo e quarto “al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma” vale solo nel caso in cui il produttore sia concretamente punibile.

Diversamente argomentando, infatti, sempre ad avviso del Supremo Consesso, verrebbe completamente frustrata la finalità di fondo del sistema articolato sugli artt. 600-ter e quater cod. pen. che persegue la tutela del minore attraverso un meccanismo che condensa l’intero spettro delle condotte punibili, che vanno dalla produzione alla detenzione del materiale realizzato, senza vuoti di tutela, basato su un meccanismo di assorbimento delle ipotesi meno gravi in quelle di maggiore gravità.

La responsabilità dell’adulto per la successiva diffusione del materiale resterà invero esclusa solo per eventi imprevedibili a lui non imputabili e solo nel caso dimostri di avere adottato le necessarie cautele per scongiurarla o di non averla potuto impedire mentre, se la circolazione del materiale realizzato sarà imputabile all’iniziativa esclusiva del minore, la responsabilità della circolazione incomberà su quest’ultimo atteso che l’art. 600-ter cod. pen., per tutte le ipotesi regolate ai commi terzo e quarto, fa indistintamente riferimento a “chiunque” e non consente, dunque, di operare distinzioni tra minore ed adulto, rimanendo ovviamente esclusa la diffusione strumentale a denunce o alla tutela dei diritti del minore.

Per la Suprema Corte, non rilevava, infine, che la richiesta di divulgazione del materiale provenga o sia comunque assentita dal minore visto che quest’ultimo non può mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale realizzato, come condivisibilmente da ultimo riaffermato anche da Sez. 3, n. 5522 del 21/11/2019, cit., e ciò in quanto si tratta di un soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto quel livello di maturità tale da consentirgli una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute negative della mercificazione del suo corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche, anche in considerazione del fatto che la circolazione stessa potrebbe essere ritardata nel tempo rispetto al momento della realizzazione delle immagini o dei video.

In più veniva considerato che, come si rileva dalla formulazione dell’art. 600-ter, comma 3, cod. pen., l’interesse tutelato non è unicamente individuale e, cioè, circoscritto ai soli minori materialmente utilizzati, rilevando anche quello collettivo e, cioè, di tutti i minori, anche non direttamente coinvolti in quanto, attraverso l’art. 600-ter cod. pen., il legislatore ha inteso evidentemente scongiurare che i minori siano ridotti a mero strumento di soddisfazione sessuale subendo un processo trainante di avvicinamento ad un fenomeno degradante anche per effetto della desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione.

Alla luce di quanto sin qui postulato, era dunque affermato il seguente principio di diritto: “La diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, terzo e quarto comma, cod. pen. ed il minore non può prestare consenso ad essa“.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito, in materia di pornografia minorile, cosa deve intendersi per utilizzazione del minore e se la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, terzo e quarto comma, cod. pen..

Difatti, in tale sentenza, componendosi dei pregressi contrasti giurisprudenziali, si afferma, da un lato, che si ha “utilizzazione” del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso, dall’altro, che la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, terzo e quarto comma, cod. pen. ed il minore non può prestare consenso ad essa.

Tale pronuncia chiarisce quindi taluni aspetti salienti riguardanti la portata applicativa della norma incriminatrice preveduta dall’art. 600-ter cod. pen..

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codeste tematiche giuridiche, dunque, non può che essere positivo.

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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