Per valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è necessario utilizzare, in caso di presenza di prove indirette, il canone di valutazione di cui all’art. 192, co. II, c.p.p.

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La sentenza in argomento è di notevole interesse visto che affronta il delicato tema inerente quali indizi possano rilevare ai sensi dell’art. 273 c.p.p. .

Sul punto, infatti, si registrano due orientamenti nomofilattici contrapposti.

Un primo indirizzo interpretativo, infatti, sostiene che, fini della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è necessario accertare la gravità e la precisione dei singoli indizi per poi addivenire, successivamente, “al loro esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità e a inserirli in una lettura complessiva che di essi chiarisca l’effettiva portata dimostrativa e la congruenza rispetto al tema d’indagine prospettato dall’accusa nel capo di imputazione”[1].

Di talchè ne consegue che tale percorso argomentativo ritiene necessario che gli indizi de quibus siano dotati degli stessi requisiti che l’art. 192, co. II, c.p.p. prevede per la prova c.d. indiziaria.

Invece, secondo un altro percorso interpretativo, nella fase cautelare è “sufficiente il requisito della sola gravità (art. 273, comma 1, c.p.p.)”[2] “in quanto ai fini cautelari è sufficiente un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell’indagato”[3].

Oltre a ciò, la Cassazione è pervenuta a questa diversa conclusione nomofilattica sulla scorta del dato letterale dell’art. 273 c.p.p. nonchè alla luce delle modifiche introdotte dalla l. 1 marzo 2001 n. 63 posto che il comma 1 bis della norma de qua, nella “valutazione dei gravi indizi di colpevolezza”, “richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 dell’art. 192 c.p.p., che prescrive” per l’appunto (ndr.)  “la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi”[4].

Orbene, corre l’obbligo di precisare, prima di esaminare la decisione in oggetto, che tale contrapposizione ermeneutica non è rimasta confinata solo a livello giurisprudenziale posto che, anche in dottrina, sono state specularmente assunte analoghe posizioni[5].

In effetti, secondo una parte della dottrina, la possibilità di poter interpretare gli “indizi” di cui all’art. 273 c.p.p. nello stesso modo compiuto dal legislatore per quelli previsti dall’art. 192, co. II, c.p.p., discende dalla stessa riforma avvenuta nel 2001 con la quale i gravi indizi di colpevolezza non sono più differenti dalla prova penale per i criteri da usare nella loro valutazione, “essendo diversa la natura della funzione decisionale spettante al giudice chiamato a valutare quegli elementi”[6].

Infatti, secondo questa corrente scientifica, la prova acquisita in sede cautelare differisce da quella assunta in sede dibattimentale solo in quanto di naturale cartolare proprio perchè cristallizzata negli atti di indagine e non, viceversa, formata nel contraddittorio tra le parti[7].

Del resto, la dottrina, ad ulteriore conferma di questo approdo ermeneutico, ha sostenuto che imporre diversi gradi di intensità probatoria a seconda se gli indizi rilevino in sede de libertate ovvero in quella propriamente processuale, determinerebbe irragionevolmente un grado di garanzia inferiore per l’indagato che viene attinto da una misura privativa della libertà personale rispetto all’emissione a suo carico di una sentenza di condanna una volta conclusa l’istruttoria dibattimentale[8].

Inoltre, è stata ravvisata la necessità di procedere ad una medesima valutazione probatoria anche perché, dal momento che il processo potrebbe essere definito allo stato degli atti (es. rito abbreviato), sarebbe del pari irragionevole che stessi fatti, seppur in riferimento a due distinti stadi procedimentali, venissero considerati differentemente[9].

Invero, a tal proposito, è stato affermato che “la regola stabilita dall’art. 192 comma 2 c.p.p. “prescrive un metodo di valutazione della prova che attiene alla controllabilità delle decisione, indicando a quali condizioni gli indizi e le prove ad essi equiparate possano assumere valore di certezza”, di talché «la sua applicazione non può certo essere limitata al giudizio sulla responsabilità, ma necessariamente si estende anche al giudizio di probabilità richiesto dall’art. 273 c.p.p.”[10].

Per di più, ad ulteriore conforto di tale tesi interpretativa, è stata richiamata quella “sentenza della Suprema Corte che, nel caratterizzare il presupposto probatorio per l’applicazione delle misure cautelari personali – nell’ambito della contrapposizione prima ricordata tra giudizio di probabilità (ai fini della tutela cautelare) e giudizio di certezza (ai fini della condanna) – ha ritenuto che il giudizio di probabilità possa essere qualificato grave “in quanto capace di resistere ad interpretazioni alternative” ”[11].

Ed allora, da tale presupposto de iure, si è pervenuta alla conclusione secondo la quale una “siffatta lettura dell’art. 273 comma 1 c.p.p. consente evidentemente di ricomprendere nel parametro della “gravità” dell’indizio, quando l’organo giudicante debba valutare elementi di natura indiziaria per verificare la sussistenza del fumus commissi delicti, i requisiti tipici della “gravità”, della “precisione” e della “concordanza”, essendo piuttosto arduo e contraddittorio considerare eventuali indizi “non consistenti”, “vaghi” e “discordanti”, come espressione di una situazione probatoria refrattaria ad ogni differente lettura”[12].

Invece, secondo una diversa corrente scientifica, gli indizi in esame devono essere valutati solo sotto il profilo della gravità giacchè, tra queste categorie indiziarie (e, rispettivamente, quelle previste dall’art. 273 c.p.p. e dall’art. 192 c.p.p.), “non è consentito alcun accostamento di sorta, trattandosi, a ben vedere, di ambiti del tutto eterogenei, per nulla contigui, caratterizzati da un’omonimia occasionale ed insignificante: in una parola, due circuiti dimostrativi assolutamente indipendenti”[13] anche perché “la connotazione multiforme ed equivoca del concetto di «gravità» e, per converso, l’impraticabilità di una sua nozione unitaria, è normativamente nota”[14].

D’altro canto, sempre secondo questo orientamento dottrinale, oltre alla luce del dato testuale dell’art. 273, co. I bis c.p.p. (già esaminato in precedenza nella parte in cui è stata richiamata la giurisprudenza), la differenza tra l’indizio previsto dall’art. 192 c.p.p. e quello contemplato dall’art. 273 c.p.p. è evidente posto che “il primo è portatore di una prognosi neutrale in funzione della condanna; il secondo è mera probabilità di condanna, trovando giustificazione esclusivamente in funzione di quell’obiettivo”[15].

Orbene, dopo tale disamina preliminare (lunga ma necessaria), la Suprema Corte, nella decisione in commento, ha aderito alla prima ipotesi interpretativa, affermando che “il codice di rito, nel pretendere perché possa essere adottata misura cautelare, la presenza di “gravi indizi di colpevolezza”, non può che richiamare anche il citato secondo comma che, oltre a codificare una regola di inutilizzabilità, costituisce una canone di prudenza nella valutazione della “probabilità” di colpevolezza necessaria per esercitare il potere cautelare”.

In effetti, secondo quanto sostenuto  dai Giudici di “Piazza Cavour” in questa pronuncia, “non sussiste alcuna incompatibilità applicativa tra il secondo comma dell’art. 192 ed i primi due commi dell’art. 273” pur essendo dette “norme destinate a svolgere ruoli differenti” posto che:

  1. “mentre la prima disposizione indica i criteri in base ai quali possa ritenersi acquisito agli atti un fatto a valenza probatoria; le disposizioni dell’art. 273 prevedono, in sede cautelare, dei criteri di valutazione probatoria basati sul canone della “probabilità”, in deroga al principio del “al di là di ogni ragionevole dubbio” operativo in sede di giudizio”;

  2.  “la disposizione del citato secondo comma, laddove prevede che gli indizi debbano essere plurimi precisi e concordanti, stabilisce un divieto probatorio di portata generale, derogato, in via di eccezione, nel caso in cui le prove indirette abbiano i suddetti caratteri” comporta, come conseguenza principale, l’impossibilità per il giudice di esercitare alcuna discrezionalità valutativa “in quanto difettante la certezza del fatto da cui trarre il convincimento”.

Ebbene, tale lettura ermeneutica dei gravi indizi di colpevolezza è, a modesto avviso di chi scrive, condivisibile siccome frutto di una esegesi dell’art. 273 c.p.p. non parcellizzata al dato testuale previsto dal comma 1 bis di questa norma giuridica ma unitaria e coerente all’ordinamento giuridico processuale considerato nel suo complesso.

Difatti, come appena esposto, tale disposizione legislativa è stata posta in correlazione con il principio sancito dall’art. 192, co. II, c.p.p. ritenuto di ordine generale e non quindi confinato solo per la fase dibattimentale.

Per di più, alla luce di quanto sancito da una consolidata nomofilattica, una volta qualificati i “gravi indizi di colpevolezza” come precisi e concordanti, essi, per potersi considerare tali, dovranno essere:

  1. “resistenti alle obiezioni, e quindi attendibili e convincenti”[16];

  2. “non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile”[17];

  3. “non contrastino tra loro e più ancora con altri dati o elementi certi”[18];

  4. valutati ciascuno “nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità , per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo”[19].

Tra l’altro, la bontà di tale ipotesi ermeneutica permetterebbe anche di considerare gli indizi di colpevolezza non solo e non tanto in relazione al giudizio prognostico di qualificata probabilità di colpevolezza ma anche di verificare se lo spessore probatorio di tali elementi presuntivi consenta di escludere in nuce che non ricorra una causa di giustificazione o di non punibilità.

Infatti, come noto, affinchè ricorra il  divieto di applicazione delle misure cautelari personali previsto dall’art. 273, comma secondo, cod. proc. pen., è stato affermato che, in forza dell’espressione “se risulta” ivi adoperata,  la ricorrenza dell’esimente deve essere “positivamente comprovata in termini di certezza e non di mera possibilità”[20] così come quella della non punibilità[21].

Cosicchè è evidente che, essendo onere della pubblica accusa, come risaputo, valutare anche elementi favorevoli all’accusato in sede di indagini ed, eventualmente se rinvenuti, depositarli unitamente agli altri elementi di prova (a carico dell’indagato), una valutazione della prova indiziaria in questa sede non solo improntata ad un criterio di gravità ma anche di precisione e di concordanza, consentirebbe di procedere ad un vaglio giudiziale sicuramente più approfondito ed esauriente ai fini del thema decidendum richiesto dall’art. 273, co. II, c.p.p. .

Difatti,  in tal modo verrebbe garantito un controllo prognostico più rigoroso in ordine alla insussistenza di una causa di liceità o di non punibilità  che, come anzidetto, laddove fosse viceversa configurabile, non consentirebbe l’adozione di alcuna misura cautelare.

In più, a fronte di un contrasto orientativo ancora in fieri, corre l’obbligo di precisare come sarebbe opportuno l’intervento delle Sezioni Unite al fine di dirimere tale dissidio ovvero come sarebbe del pari auspicabile, in punto de iure condendo, che venga riformato l’art. 273, co. I bis, c.p.p. inserendo, tra le disposizioni applicabili nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, anche quella prevista dall’art. 192, co. II, c.p.p. .

Da ultimo, solo per dovere di completezza espositiva, al di là di quale dei due orientamenti nomofilattici sia stato adottato di volta in volta, la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei seguenti casi:

  1. nei confronti dell’indagato di associazione mafiosa “sulla base del contenuto delle conversazioni intercorse nella sala colloqui del carcere tra un detenuto e i propri familiari, allorchè si evinca la mancanza di una consapevolezza diretta da parte del detenuto dell’effettiva sussistenza degli ipotizzati rapporti di associazione, che deriva, invece, dalla diffusione di notizie giornalistiche”[22];

  2. qualora la “partecipazione di un imprenditore ad un pranzo organizzato da un clan della criminalità organizzata, per discutere di appalti nella p.a.”[23];

  3. allorchè la partecipazione dell’indagato al reato associativo e al ruolo da lui stabilmente svolto, risulti esclusivamente nel singolo episodio, ma non anche all’interno dell’organizzazione[24];

  4. se la identificazione del soggetto nei confronti del quale si procede non sia stata certa[25];

  5. allorquando l’ordinanza di custodia cautelare ritenga “la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in base a una mera elencazione, di tipo descrittivo, degli elementi di prova acquisiti ovvero che si limiti a richiamare “per relationem” gli esiti delle investigazioni illustrati nella scheda personale dell’indagato predisposta dalla polizia giudiziaria, sia pure considerate come parti integranti dell’ordinanza stessa”[26];

  6. laddove il provvedimento di custodia cautelare sia stato “motivato, quanto ai gravi indizi di colpevolezza, con il mero rinvio alle schede personali redatte dalla P.G., senza alcuna delibazione valutativa degli elementi di prova raccolti”[27].

Viceversa, sono stati ritenuti sussistenti questi stessi indizi nelle susseguenti ipotesi:

  1. in caso di dichiarazioni rese dalla parte offesa, se l’indagato si sia avvalso della “facoltà di non rispondere o non collaborare”[28];

  2. quando vi sia stata una dichiarazione da parte “di un collaborante, se precisa, coerente e circostanziata, che abbia trovato riscontro in elementi esterni, anche di natura logica, tali da rendere verosimile il contenuto della dichiarazione”[29] quale è il caso di una “convergente e circostanziata chiamata di correo di un altro collaboratore” [30];

  3.  se vi è stata  “la partecipazione dell’indagato ad episodi di estorsione compiuti nell’ambito di un contesto mafioso”[31];

  4. allorchè siano stati accertati “mediante l’acquisizione della documentazione di atti compiuti autonomamente da autorità straniere in un diverso procedimento penale all’estero, anche al di fuori dei limiti stabiliti per la loro utilizzabilità dagli art. 238 c.p.p. e 78 disp. att. c.p.p.”[32];

  5. qualora venga fornito “un alibi falso”[33];

  6. allorquando essi siano stati rinvenuti sulla scorta di una “individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria (indipendentemente dall’accertamento delle modalità e, quindi, della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell’art. 213 c.p.p.)”[34];

  7. se gli indizi sono fatti risalire in base ad “un accertamento dattiloscopico eseguito dalla polizia giudiziaria può integrare i gravi indizi di colpevolezza, nulla rilevando che la relazione contenente l’esito di esso non sia accompagnata dal fascicolo fotografico relativo alle impronte repertate”[35];

  8. quando le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato “oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da assumere idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse”[36];

  9. laddove, per il delitto di cui all’art. 270 bis c.p., siano rinvenuti “gli elenchi di persone e organizzazioni terroristiche stilati dalle Nazioni unite e dall’Unione europea a fini di congelamento dei fondi di tali soggetti”[37].

E’ evidente che tali casi, al di là di quale orientamento ermeneutico venne adottato in quelle occasioni, sembrano evocare degli indizi non solo gravi ma anche precisi proprio perché questi fatti, così come riportati in quelle decisioni, sono perfettamente coincidenti alla nozione di indizio preciso così come elaborato dalla nomofilattica nel significato di fatto noto “indiscutibile, certo, nella sua oggettività”[38]; circostanza questa che rappresenta una ulteriore conferma della validità dell’orientamento nomofilattico adottato nel decisum in commento.

[1] Cass. pen., sez. I, 4/03/10, n. 16548. Per la giurisprudenza di merito: Trib. Torino, sezione riesame, 30/03/02, fonti: Redazione Giuffrè 2008: “L’indagato va scarcerato quando gli elementi indiziari addotti a fondamento dell’ordinanza impugnata non presentano, né ad una verifica della loro consistenza individuale né ad una valutazione congiunta, sulla scorta di quella concatenazione logica prospettata nel lungo ed articolato percorso motivazionale, quelle connotazioni di precisione, univocità e convergenza che sono assolutamente necessarie per consentire agli stessi di assurgere a gravi indizi di colpevolezza”.

[2] Cass. pen., sez. IV, 6/07/07, n. 37877.

[3] Cass. pen., sez. IV, 6/07/07, n. 37878. In senso conforme: Cass. pen., sez. II, 4/04/07, n. 23050: “In tema di misure cautelari personali, gli indizi di colpevolezza che giustificano l’adozione della misura non devono avere lo stesso grado di certezza e concludenza delle prove richieste dall’art. 192 c.p.p. per l’affermazione di responsabilità dell’imputato, ma devono essere di valenza tale da potersene desumere un elevato grado di probabilità di commissione del reato ipotizzato da parte dell’indagato, non essendo richiesto dall’art. 273 c.p.p., in questa fase, il requisito della precisione e concordanza ma solo quello della gravità”. Per la giurisprudenza di merito: Trib. Catanzaro, sez. II, 22/03/07, fonti: Redazione Giuffrè 2008: “In tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p. devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che, contenendo tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza”.

[4] Cass. pen., sez. IV, 6/07/07, n. 37877.

[5] Rispettivamente tra quelli che sostengono che gli indizi di cui all’art. 273 devono essere gravi, precisi e concordanti: A.A. Dalia-M. Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, 2ª ed., Cedam, 1999, p. 272 i quali sostengono che il termine “indizi” sta necessariamente per “elementi probatori” di qualsiasi natura, e, in tale dimensione, esso comprende «sia la prospettazione storica della prova che quella logica”; e, tra gli altri, A. Sanna, Parametri di valutazione della prova e riesame delle misure cautelari, in Giur.it., 1992, II, c. 273); al contrario, per la soluzione opposta: F. Romano Barocci, La chiamata di correo de relato e i gravi indizi ex art. 273 comma 1 c.p.p., in Giust.pen., 1994, II, c. 759 s., nonché, tra gli altri, S. Ramajoli, I gravi indizi di colpevolezza e l’adozione di misure cautelari personali, Cass. pen., 1992, p. 701 s. .

[6] Enrico Aprile, “Punti ferme e incertezze interpretative in tema di regole applicabili per l’utilizzabilità e la valutazione della “prova cautelare””, Cass. pen., 2006, 5, 1841, che richiama, a sua volta: Ubertis, “La prova tra regole di esclusione e canoni di valutazione”, in Argomenti di procedura penale, Giuffrè, 2002, p. 139 s. .

[7] In tal senso: Enrico Aprile, “Punti ferme e incertezze interpretative in tema di regole applicabili per l’utilizzabilità e la valutazione della “prova cautelare””, Cass. pen., 2006, 5, 1841.

[8] Di questa opinione: Vitale, “Il riscontro della chiamata in correità ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza”, in Cass. pen. 2003, p. 2016.

[9] Su questa linea scientifica: Nappi, Guida al codice di procedura penale, Giuffrè, 2004, p. 208 e ss. .

[10] Fidelbo, “La legge 1° marzo 2001 n. 63 sul «giusto processo» nelle prime applicazioni della Corte di cassazione”, Cass. pen., 2002, p. 2252. .

[11] Sergio Lorusso, “La valutazione della chiamata in correità ai fini della sussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” che legittimano l’adozione di una misura cautelare personale”, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1996, 01, 183, che richiama per l’appunto il seguente dictum giurisprudenziale: Cass, Sez. I, 2 aprile 1992, Mangone, cit., n. 190119. Sulla stessa posizione: E. Marzaduri, voce Misure cautelari personali, cit., in Dig. disc. pen., cit., vol. VIII, p. 66.

[12] Sergio Lorusso, “La valutazione della chiamata in correità ai fini della sussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” che legittimano l’adozione di una misura cautelare personale”, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1996, 01, 183.

[13] Bernardo Petralia, “Gravi indizi di reato e della colpevolezza: i modelli probatori delle indagini preliminari e l’integrazione difensiva del patrimonio indiziario”, Cass. pen.,2005, 7-8. 2455.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem.

[16] Ex plurimibus: Cass. Pen., sez. I, 24/06/92, fonti: Riv. pen. 1993, 579.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Cass. pen., Sez. Un., 12/07/05, n. 33748.

[20] Cass. pen., sez. I, 22/05/01, n. 27001. In senso conforme: Cass. pen., sez. I, 9/05/94, fonti: Mass. pen. cass. 1994, fasc. 9, 3: “Tra le cause di non punibilità la cui emergenza (in termini di certezza e non di mera possibilità) importa l’inapplicabilità delle misure cautelari, giusto il disposto del comma 2 dell’art. 273 c.p.p., rientra anche il difetto di una condizione di procedibilità”. Contra: Cass. pen., sez. I, 26/11/10, n. 72: “L’operatività del divieto di applicazione delle misure cautelari personali previsto dall’art. 273, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione – non richiede che la ricorrenza dell’esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza, essendo sufficiente, a tal fine, la sussistenza di un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia compiuto in presenza di una causa di giustificazione”.

[21] Trib. Catania, 14/04/05, fonti: Corriere del merito 2005, 815.         

[22] Cass. pen., sez. VI, 23/09/11, n. 40916.

[23] Cass. pen., sez. IV, 27/02/09, n. 13847.

[24] Argomentando a contrario: Cass. pen., sez. VI, 14/01/08, n. 6867.

[25] Argomentando a contrario: Cass. pen., sez. V, 7/02/07, n. 9192.

[26] Cass. pen., sez. VI, 1/02/07, n. 35823.

[27] Ibidem.

[28] Cass. pen., sez. III, 14/04/10, n.17205.

[29] Cass. pen., sez. I, 9/04/10, n. 16792.

[30] Ibidem.

[31] Cass. pen., sez. VI, 10/11/09, n. 47048.

[32] Cass. pen., sez. I, 27/01/09, n. 21673.

[33] Cass. pen., sez. I, 1/04/08, n. 17261.

[34] Cass. pen., sez. II, 12/07/07, n. 35477.

[35] Cass. pen., sez. II, 27/06/07, n. 35614.

[36] Cass. pen., Sez. Un., 30/05/06, n. 36267.

[37] Cass. pen., sez. I, 21/06/05, n. 35427.

[38] Cass. pen., sez. IV, 26/06/92, fonti: Cass. pen. 1994, 368.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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