Per l’affidamento di un appalto di servizi, l’Amministrazione appaltante ben puo’ pretendere, in capo alle imprese partecipanti, requisiti superiori e diversi (certificato riguardante i carichi pendenti) rispetto a quelli fissati direttamente dalla legge:

Lazzini Sonia 19/04/07
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Il Consiglio di Stato con la decisione numero 1387 del 15 marzo 2006 , in tema di possesso dei requisiti in un appalto di servizi, ci insegna che:
 
<E’ agevole rilevare che i requisiti di cui è presunto il possesso si atteggiano a requisiti minimi di partecipazione ad una gara, essendo stabiliti in modo astratto dalla legge, indipendentemente dal valore di una concreta procedura concorsuale, dalle qualità morali dalle capacità tecniche, organizzative e finanziarie di cui l’aggiudicatario deve essere effettivamente in possesso per poter espletare in modo completo ed esauriente il servizio oggetto di appalto; del resto, diversamente opinando, la normativa in esame sarebbe irragionevole nella misura in cui pretenderebbe di disciplinare in maniera standard, fissa, identica ed immutabile, situazioni (ovverosia gare di appalto) diverse tra di loro, quanto a valore economico e a difficoltà tecnico – organizzative.>
 
 
ma non solo.
 
< Ad avviso della Sezione, pertanto, sulla base della lettura sistematica del secondo e del terzo comma dell’articolo 17 del decreto legislativo 17 marzo 1995 non può dubitarsi che l’Amministrazione aggiudicatrice abbia il potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione ad una singola gara, anche molto rigorosi e superiori a quelli previsti dalla legge, e che possa pertanto pretendere l’attestazione di requisiti di capacità diversi ed ulteriori dalla semplice iscrizione nell’elenco (C.d.S., sez. V 1 giugno 2001, n. 2973;, 31 dicembre 2003, n. 9305; sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5442). Le previsioni indicate nelle accennate disposizioni normative si limitano a stabilire una semplice presunzione di possesso dei requisiti minimi per la partecipazione alla gara, che pertanto ben possono essere derogati (o meglio incrementati, sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo) dall’amministrazione in relazione alle peculiari caratteristiche del servizio da appaltare.>
 
a cura di *************
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE Sezione Quinta          
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
 
sul ricorso n. 6472 del 2005, proposto dalla ******* s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. ****************, con il quale è elettivamente domiciliato presso il cav. ************ in Roma, Via L. Mantegazza 24
contro
il Comune di Fasano, rappresentato e difeso dall’avv. ******************, con il quale è elettivamente domiciliato   presso l’avv. ***************** in Roma, Via Fabio Massimo 107
per la riforma
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, Sez. II, 9 luglio 2005 n. 3658, resa tra le parti.
 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune appellato;
 
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
Visti gli atti tutti della causa;
 
Relatore alla pubblica udienza del 28 ottobre 2005 il consigliere *************, e uditi gli avvocati ***** e **********.
 
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
 
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dalla Impresa ******* s.r.l., tendente all’annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara per l’affidamento per cinque anni del servizio di refezione nelle scuole materne del Comune di Fasano.
 
Alla base dell’atto impugnato la Commissione di gara ha posto la mancata produzione del certificato di carichi pendenti, o dichiarazione sostitutiva, come richiesto dal bando.
 
Il TAR ha ritenuto il provvedimento esente dalle censure dedotte.
 
Avverso la sentenza la ******* s.r.l. ha proposto appello, assumendone l’erroneità e chiedendone la riforma.
 
Con atto di motivi aggiunti ha poi impugnato la sopravvenuta aggiudicazione definitiva.
 
Il Comune di Fasano si è costituito anche nel giudizio di appello per contrastare il gravame, eccependone preliminarmente l’inammissibilità.
 
Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2005 la Sezione, ascoltati i difensori delle parti, si è riservata la decisione.
 
 
 
DIRITTO
 
E’ pacifico in punto di fatto che l’appellante, in sede di partecipazione alla gara, non ha presentato il certificato riguardante i carichi pendenti, e neppure la dichiarazione sostitutiva, come pure era consentito dal bando. Per tale ragione è stata applicata la misura dell’esclusione come previsto dalla lex specialis.
 
La doglianza svolta contro tale provvedimento è stata respinta dai primi giudici, con valutazione che appare sorretta dalla chiarezza delle disposizioni applicate e che il Collegio condivide. 
 
Priva di pregio, invero, si rivela l’argomentazione svolta nell’atto di appello, secondo cui la clausola del bando dovrebbe considerarsi equivoca, in quanto menzionante, con espressione ellittica, un unico certificato “del casellario giudiziario e dei carichi pendenti”. Può osservarsi che la locuzione riproduce alla lettera il testo normativo offerto dall’art. 75, comma 2, del d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, del quale comunemente non si dubita che intenda riferirsi a due certificati, diversi nel contenuto e quindi nella finalità.
 
Possono citarsi al riguardo gli artt. 2, 3 e 6 del d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti”, dove si enuncia la disciplina dei due distinti istituti del casellario giudiziale e del casellario dei carichi pendenti.
 
Tanto premesso, occorre affrontare la censura di maggior peso esposta dall’appellante, che è diretta contro la disposizione del bando che ha richiesto, a pena di esclusione, la produzione del certificato dei carichi pendenti, o di una dichiarazione sostituiva in merito. Si assume che la disposizione sarebbe illegittima perché, da un lato il d.lgs. n. 157 del 1995, che concerne specificamente le procedure di affidamento di appalti servizi, non prevede, tra le cause di esclusione, la pendenza di procedimenti penali, e quindi la clausola contestata sarebbe, perché inutile; da altro lato, l’art. 75 del d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, Regolamento di attuazione della legge sui lavori pubblici, che prevede la richiesta di certificato dei carichi pendenti, non sarebbe applicabile alla fattispecie, in quanto estranea ai lavori pubblici.
 
La Sezione osserva che ai fini della soluzione della controversia in esame occorre stabilire se in una gara pubblica per l’affidamento di un servizio pubblico l’Amministrazione appaltante possa pretendere, in capo alle imprese partecipanti, requisiti superiori e diversi rispetto a quelli fissati direttamente dalla legge. Il problema è stato oggetto di recenti decisioni e risolto in senso affermativo (Sez. IV, 13 aprile 2005 n. 1698; 22 ottobre 2004 n. 6972, 22 ottobre 2004 n. 6972).
 
 Deve, al riguardo, innanzitutto rilevarsi che, secondo quanto si desume dalla lettura del comma 2, dell’articolo 17 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, l’iscrizione di un concorrente in uno degli elenchi di prestatori di servizi costituisce per l’amministrazione aggiudicatrice “presunzione di idoneità alla prestazione di servizi corrispondente alla classificazione del concorrente, limitatamente a quanto previsto dagli articoli 12, comma 1, lettere a), b), c) ed f); 13, comma 1, lettere b) e c), 14, comma 1, lettera b), e 15 del presente decreto”.
 
Detta presunzione, invero, riguardo solo alcuni fatti e stati dell’impresa iscritta: 1) non trovarsi in stato di fallimento, di amministrazione controllata, di concordato preventivo, o in qualsiasi altra situazione equivalente secondo la legislazione dello Stato in cui sono stabiliti, ovvero non avere in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, oppure non versare in uno stato di sospensione dell’attività commerciale (articolo 12, comma 1, lett. a); 2) non aver subito una condanna passata in giudicato ovvero una sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per qualsiasi reato che incide sulla moralità professionale o per delitti finanziari (articolo 12, comma 1, lett. b); 3) non avere commesso nell’esercizio della propria attività professionale un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova addotto dall’amministrazione aggiudicatrice (articolo 12, comma 1, lett. c); 4) non essersi resa gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire informazioni che possono essere richieste ai sensi del presente articolo o degli articolo da 13 a 17 (articolo 12, comma 1, lett. f); 5) possesso della capacità economica, non dovendo darsi alcuna prova di essa in relazione alle lettere b) [bilanci o estratti dei bilanci dell’impresa] e c) [dichiarazione concernente il fatturato globale di impresa e l’importo relativo ai servizi identici a quello oggetto della gara, realizzato negli ultimi tre esercizi] del comma 1, dell’articolo 13; 6) possesso della capacità tecnica, non dovendo fornirsi alcuna prova in relazione alla lettera b), del comma 1, dell’articolo 14 (titoli di studio e professionali dei prestatori di servizi e/o dirigenti dell’impresa concorrente e, in particolare, dei soggetti concretamente responsabili della prestazione di servizi); 7) iscrizione nei registri professionali.
 
Solo in ordine a tali fatti e stati è fatto divieto all’Amministrazione di contestarli ovvero di chiedere prova del loro effettivo possesso, secondo la puntuale disposizione contenuta nel terzo comma del già citato articolo 17 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157.
 
E’ agevole rilevare che i requisiti di cui è in tal modo presunto il possesso si atteggiano a requisiti minimi di partecipazione ad una gara, essendo stabiliti in modo astratto dalla legge, indipendentemente dal valore di una concreta procedura concorsuale, dalle qualità morali dalle capacità tecniche, organizzative e finanziarie di cui l’aggiudicatario deve essere effettivamente in possesso per poter espletare in modo completo ed esauriente il servizio oggetto di appalto; del resto, diversamente opinando, la normativa in esame sarebbe irragionevole nella misura in cui pretenderebbe di disciplinare in maniera standard, fissa, identica ed immutabile, situazioni (ovverosia gare di appalto) diverse tra di loro, quanto a valore economico e a difficoltà tecnico – organizzative.
 
 Ad avviso della Sezione, pertanto, sulla base della lettura sistematica del secondo e del terzo comma dell’articolo 17 del decreto legislativo 17 marzo 1995 non può dubitarsi che l’Amministrazione aggiudicatrice abbia il potere discrezionale di fissare requisiti di partecipazione ad una singola gara, anche molto rigorosi e superiori a quelli previsti dalla legge, e che possa pertanto pretendere l’attestazione di requisiti di capacità diversi ed ulteriori dalla semplice iscrizione nell’elenco (C.d.S., sez. V 1 giugno 2001, n. 2973;, 31 dicembre 2003, n. 9305; sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5442). Le previsioni indicate nelle accennate disposizioni normative si limitano a stabilire una semplice presunzione di possesso dei requisiti minimi per la partecipazione alla gara, che pertanto ben possono essere derogati (o meglio incrementati, sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo) dall’amministrazione in relazione alle peculiari caratteristiche del servizio da appaltare.
 
Detto potere discrezionale, lungi dall’essere espressione di mero arbitrio dell’Amministrazione aggiudicatrice, costituisce in realtà precipua attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, predicati dall’articolo 97 della Costituzione, e si sostanzia quindi nel potere – dovere assegnato all’amministrazione di apprestare (proprio attraverso la specifica individuazione degli specifici requisiti di ammissione e di partecipazione ad una gara) gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell’interesse pubblico concreto, oggetto dell’appalto da affidare.
 
In tal senso la scelta di fissare specifici e più stringenti requisiti di ammissione e/o di partecipazione ad una gara pubblica (rispetto a quelli minimi stabiliti dalla legge e/o a quelli presuntivamente risultanti dalla certificazione di iscrizione in un elenco ufficiale di prestatore di servizi) ai fini della dimostrazione del possesso dell’adeguata (rispetto alla specifica gara in questione) moralità professionale, o capacità economico – finanziaria è ampiamente discrezionale, impinge nel merito dell’azione amministrativa e si sottrae, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che essa non sia ictu oculi manifestamente irragionevole, irrazionale, arbitraria, sproporzionata, illogica e contraddittoria. E tale non può ritenersi la determinazione con la quale l’Amministrazione intende conoscere l’eventuale esistenza a carico dei responsabili dell’impresa che concorre all’appalto di una delle situazioni descritte dall’art. 6 del d.P.R. n. 313 del 2002 citato sopra.
 
In conclusione l’appello deve essere respinto.
 
Le spese vanno poste a carico della parte soccombente nella misura indicata in dispositivo.
 
 
 
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta    l’appello in epigrafe;
 
condanna l’appellante a pagamento in favore del Comune di Fasano delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000=;
 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 ottobre 2005 c
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 15 MARZO 2006

Lazzini Sonia

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