Per il perfezionamento della fattispecie risarcitoria da illecito extracontrattuale, si può affermare che anche nei confronti della pubblica amministrazione, il giudice amministrativo deve applicare, ex art. 2043 cod. civ, gli stessi parametri, oggettivi

Lazzini Sonia 15/11/07
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Esclusa – alla stregua circa la na-tura aquiliana dell’illecito consistito nell’emanazione di un provvedi-mento amministrativo illegittimo (nella specie: aggiudicazione di gara d’appalto) – ogni presunzione, assoluta o relativa, di colpa in capo all’Amministrazione, ed abbandonata perciò anche la teoria della cul-pa in re ipsa (ripropositiva, sotto mentite vesti, di una presunzione quasi assoluta della colpa), la migliore giurisprudenza, ha ormai chiarito che – in assenza di alcuna specifica norma di deroga, in proposito, al diritto comune – all’Amministrazione deve essere riservato un trattamento né deteriore, né privilegiato, rispetto a quello previsto dal diritto civile: in caso di annullamento di un atto amministrativo, l’elemento soggettivo della colpa sussiste ogni qualvolta vi sia stata violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante da parte dell’Amministra-zione.
 
 
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana con la decisione numero 153 del 18 aprile 2006 ci insegna che:
 
< Sicché il giudice amministrativo, in questa materia, deve opera-re con uno armamentario concettuale non dissimile da quello proprio del giudice civile, sebbene nelle specificità sia sostanziali (natura e regole operative dell’Amministrazione possono incidere sulla configu-razione dell’elemento soggettivo dell’illecito civile) sia processuali (tra cui, in particolare, la modalità di liquidazione del danno ex art. 35, comma 2, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80) tipiche del giudizio am-ministrativo.>
 
ma non solo
 
< Orbene, la fattispecie aquiliana si struttura, secondo la preva-lente dottrina civilistica, sui cinque elementi costitutivi dell’antigiuridicità, del danno, del nesso causale, dell’imputabilità e della colpe-volezza.
 
L’accertamento della sussistenza del primo di essi è insito nell’annullamento giurisdizionale del provvedimento illegittimo; il secondo deve essere accertato e liquidato, secondo i consueti criteri civilistici, in base al rapporto virtuale intercorrente tra il patrimonio giuridico del soggetto leso quale sarebbe stato in assenza dell’atto ille-cito e quale invece è per effetto di esso; il terzo è, in sostanza, un giu-dizio di relazione (attuato col c.d. processo di eliminazione mentale dell’atto illecito) tra il primo ed il secondo; il quarto si risolve nella verifica dell’assenza di cause di giustificazione legalmente tipizzate (ex artt. 2044 e ss. cod. civ.); infine, il quinto è quello che, in relazione all’accertamento della risarcibilità in concreto del danno da atto am-ministrativo illegittimo, ha dato luogo – forse per la novità della mate-ria, sempre tenuta in sordina fino all’emanazione del D.Lgs. n. 80 del 1998 ed al reviremant giurisprudenziale di Cass., S.U., 22 luglio 1999, n. 500 – ai maggiori contrasti giurisprudenziali amministrativi.>
 
Non devono però essere trascurati i seguenti principi:
 
< Come sempre accade quando si debba dare la prova di un ele-mento soggettivo della fattispecie, tuttavia, “il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della colpa dell’ammini-strazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice ele-menti indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità del-la violazione (qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto), il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento. Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’ammi-nistrazione l’allegazione degli elementi (pure indiziari) ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, apprez-zarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione”.
 
Tra i “caratteri che devono possedere gli elementi addotti a propria discolpa dalla pubblica amministrazione, a fronte della pro-duzione degli indizi a suo carico, perché la situazione allegata integri gli estremi dell’errore scusabile e consenta, perciò, di escludere la colpa dell’apparato amministrativo”, sono stati esemplificativamente individuati il grado di chiarezza e precisione della normativa violata, la presenza di una giurisprudenza consolidata, o al contrario oscillan-te, sulla normativa applicata dall’amministrazione in sede di emana-zione dell’atto annullato, la novità della questione esaminata e la comprensibilità della portata precettiva della disposizione violata.
 
In pratica, però, la condivisibile conclusione è che si può “am-mettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vinco-lante”.
 
Mentre – in assenza di ogni disposizione normativa che genera-lizzi per l’amministrazione la talora asserita irrilevanza della mera colpa lieve ai fini risarcitori – soltanto “a fronte … di una situazione connotata da apprezzabili profili di complessità, può, in particolare, ritenersi giustificata, in analogia con la disciplina della responsabili-tà del prestatore d’opera intellettuale [art. 2236 cod. civ.], un’attenuazione di quella dell’amministrazione che la circoscriva alle sole ipotesi di colpa grave”.>
 
A cura di *************
 
 
           
REPUBBLICA ITALIANA   N. 153/06 Reg.Dec.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO      N.    899   ********
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione sicilia-na, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente            ANNO 2003
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 899/2003, proposto da
ALFA ********,
titolare dell’omonima impresa di costruzioni, rappresentato e difeso dall’avv. ***************** ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Catania n. 42/B, presso lo studio dell’avv. ****************;
c o n t r o
il COMUNE DI ROCCAVALDINA, in persona del Sindaco pro tem-pore, rappresentato e difeso dagli avv.ti ****************** e ******-le ******* ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Villafranca n. 44, presso lo studio dell’avv. ************;
e nei confronti di
G.GIORGIO non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (sez. I), n. 436 del 4 marzo 2003.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio degli avv.ti ************ e ********** per il Comune di Roccavaldina;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatore, alla pubblica udienza del 15 dicembre 2005, il Consi-gliere ********************;
Udito, altresì, l’avv. *********, su delega dell’avv. B. Calpona, per l’appellante;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Viene in decisione l’appello avverso la sentenza indicata in epigrafe che ha accolto il ricorso dell’odierno appellante per l’annul-lamento degli atti di gara relativi all’appalto per i lavori di consolida-mento dela versante a ridosso della frazione di San Salvatore nel Co-mune di Roccavaldina, per l’effetto annullando l’aggiudicazione di detta gara in favore della ditta controinteressata, al contempo però re-spingendo la domanda risarcitoria contestualmente avanzata dal ricor-rente.
Tale capo reiettivo della sentenza è stato gravato in questa sede.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
D I R I T T O
1. – La sentenza di primo grado ha respinto la domanda risarci-toria, sebbene il controinteressato avesse, nelle more del giudizio, svolto oltre il 90% del lavoro, avendo ritenuto insussistente il necessa-rio elemento soggettivo per il perfezionamento della fattispecie aqui-liana.
Ad avviso del T.A.R. catanese, “facendo applicazione dei prin-cipi relativi alla condanna delle amministrazioni per lesione di inte-resse legittimo, nel caso di specie non emerge alcun comportamento negligente, o alcun profilo di colpa grave in capo alla stazione appal-tante”.
Respinta l’istanza cautelare in prime cure, l’Amministrazione ha consegnato i lavori alla ditta controinteressata, in ossequio a “ca-noni di efficienza e di celerità dell’azione amministrativa”. “Invero il Comune, nel caso di specie, avrebbe potuto optare tra due comporta-menti, parimenti legittimi: attendere la decisione in grado di appello sull’ordinanza cautelare emessa da questo TAR, o procedere all’inizio dei lavori”.
“Il Comune, usando del proprio potere discrezionale, e valu-tando prioritario il completamento di opere pubbliche ritenute urgen-ti, ha privilegiato la rapida conclusione dei lavori alla maggiore cer-tezza della legittimità del proprio comportamento derivante dalla pronuncia in sede cautelare da parte del giudice di appello”.
“L’avere optato per la prima delle possibilità non può conside-rarsi un comportamento colpevole o contra ius”.
“In ogni caso nessun dubbio può residuare in ordine alla scu-sabilità dell’errore in cui è incorsa la stazione appaltante nella fatti-specie all’esame del Collegio”.
“Pertanto la domanda risarcitoria non può essere accolta”.
2. – La riferita argomentazione della sentenza non resiste alle censure mosse con l’atto di appello.
Si premette che il Collegio non condivide la tesi dell’appellante – svolta in principalità – per cui quella della pubblica amministrazione sarebbe una “responsabilità da contatto amministrativo, assimilabile … alla responsabilità contrattuale”, con conseguente esonero del cre-ditore, ex art. 1218 cod. civ., dall’onere probatorio circa l’elemento soggettivo dell’illecito.
Invero, assonanze fonetiche a parte, il contatto non è di per sé un contratto: sicché, fino alla conclusione dell’accordo di cui all’art. 1321 cod. civ., il rapporto intersoggettivo resta regolato dalla clausola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. (e seguenti, per quei particolari casi di “contatti sociali” che, in ragione dell’oggettiva pericolosità o per altre considerazioni, il legislatore ha ritenuto meritevoli di specifi-ca disciplina normativa, anche in deroga all’onere della prova dell’elemento soggettivo; e salvo applicazione, nei congrui casi, di ulteriori regole di specie, quali quelle degli artt. 1337 e 1338 cod. civ.) e non, invece, dal principio di responsabilità contrattuale ex art. 1218.
3. – L’appello è comunque fondato nella sua istanza subordina-ta, volta a sostenere che erroneamente, pur se in applicazione dei prin-cipi ex art. 2043 cod. civ., il giudice di primo grado ha ritenuto insus-sistenti gli elementi (e segnatamente quello soggettivo) per il perfe-zionamento della fattispecie risarcitoria da illecito extracontrattuale.
Esclusa – alla stregua di quanto si è testé osservato circa la na-tura aquiliana dell’illecito consistito nell’emanazione di un provvedi-mento amministrativo illegittimo (nella specie: aggiudicazione di gara d’appalto) – ogni presunzione, assoluta o relativa, di colpa in capo all’Amministrazione, ed abbandonata perciò anche la teoria della cul-pa in re ipsa (ripropositiva, sotto mentite vesti, di una presunzione quasi assoluta della colpa), la migliore giurisprudenza, che il Collegio condivide ed a cui si richiama, ha ormai chiarito che – in assenza di alcuna specifica norma di deroga, in proposito, al diritto comune – all’Amministrazione deve essere riservato un trattamento né deteriore, né privilegiato, rispetto a quello previsto dal diritto civile (cfr., sul punto, le perspicue motivazioni di C.d.S., IV, 6 luglio 2004, n. 5012, e 10 agosto 2004, n. 5500, che ben tracciano lo stato giurisprudenziale).
Sicché il giudice amministrativo, in questa materia, deve opera-re con uno armamentario concettuale non dissimile da quello proprio del giudice civile, sebbene nelle specificità sia sostanziali (natura e regole operative dell’Amministrazione possono incidere sulla configu-razione dell’elemento soggettivo dell’illecito civile) sia processuali (tra cui, in particolare, la modalità di liquidazione del danno ex art. 35, comma 2, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80) tipiche del giudizio am-ministrativo.
Orbene, la fattispecie aquiliana si struttura, secondo la preva-lente dottrina civilistica, sui cinque elementi costitutivi dell’antigiu-ridicità, del danno, del nesso causale, dell’imputabilità e della colpe-volezza.
L’accertamento della sussistenza del primo di essi è insito nell’annullamento giurisdizionale del provvedimento illegittimo; il secondo deve essere accertato e liquidato, secondo i consueti criteri civilistici, in base al rapporto virtuale intercorrente tra il patrimonio giuridico del soggetto leso quale sarebbe stato in assenza dell’atto ille-cito e quale invece è per effetto di esso; il terzo è, in sostanza, un giu-dizio di relazione (attuato col c.d. processo di eliminazione mentale dell’atto illecito) tra il primo ed il secondo; il quarto si risolve nella verifica dell’assenza di cause di giustificazione legalmente tipizzate (ex artt. 2044 e ss. cod. civ.); infine, il quinto è quello che, in relazione all’accertamento della risarcibilità in concreto del danno da atto am-ministrativo illegittimo, ha dato luogo – forse per la novità della mate-ria, sempre tenuta in sordina fino all’emanazione del D.Lgs. n. 80 del 1998 ed al reviremant giurisprudenziale di Cass., S.U., 22 luglio 1999, n. 500 – ai maggiori contrasti giurisprudenziali amministrativi.
In relazione a esso, può ormai considerarsi assodato – richia-mando, per un più ampio excursus sulla materia, le succitate decisioni di C.d.S., IV, 5012/2004 e 5500/2004 (da cui sono tratte le seguenti frasi virgolettate) – che, in caso di annullamento di un atto ammini-strativo, l’elemento soggettivo della colpa sussiste ogni qualvolta vi sia stata violazione (in sede di emanazione del provvedimento annul-lato; e non già, come erroneamente postulato dalla sentenza in questa sede appellata, in sede di scelta sulla consegna, o meno, dei lavori nel-le more del processo) di un canone di condotta agevolmente percepibi-le nella sua portata vincolante da parte dell’Amministra-zione.
Come sempre accade quando si debba dare la prova di un ele-mento soggettivo della fattispecie, tuttavia, “il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della colpa dell’ammini-strazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice ele-menti indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità del-la violazione (qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto), il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento. Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’ammi-nistrazione l’allegazione degli elementi (pure indiziari) ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, apprez-zarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione”.
Tra i “caratteri che devono possedere gli elementi addotti a propria discolpa dalla pubblica amministrazione, a fronte della pro-duzione degli indizi a suo carico, perché la situazione allegata integri gli estremi dell’errore scusabile e consenta, perciò, di escludere la colpa dell’apparato amministrativo”, sono stati esemplificativamente individuati il grado di chiarezza e precisione della normativa violata, la presenza di una giurisprudenza consolidata, o al contrario oscillan-te, sulla normativa applicata dall’amministrazione in sede di emana-zione dell’atto annullato, la novità della questione esaminata e la comprensibilità della portata precettiva della disposizione violata.
In pratica, però, la condivisibile conclusione è che si può “am-mettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vinco-lante”.
Mentre – in assenza di ogni disposizione normativa che genera-lizzi per l’amministrazione la talora asserita irrilevanza della mera colpa lieve ai fini risarcitori – soltanto “a fronte … di una situazione connotata da apprezzabili profili di complessità, può, in particolare, ritenersi giustificata, in analogia con la disciplina della responsabili-tà del prestatore d’opera intellettuale [art. 2236 cod. civ.], un’attenuazione di quella dell’amministrazione che la circoscriva alle sole ipotesi di colpa grave”.
È opportuno precisare, inoltre, che le oscillazioni giurispruden-ziali, cui si è fatto riferimento come uno degli elementi che, potendo comportare scusabilità dell’errore dell’amministrazione, elidono po-tenzialmente la colpevolezza di quest’ultima ai fini risarcitori, non sono mai da riferire alle contingenti sorti della specifica istanza caute-lare proposta nel giudizio di annullamento dell’atto causativo di dan-no; nel senso, in particolare, che in nessun caso la concessione o il rigetto di detta istanza cautelare nel primo (o anche nel secondo) grado del giudizio può costituire ex se causa di giustificazione della condotta illegittima dell’amministrazione.
L’orientamento giurisprudenziale va infatti sempre saldamente riferito al complessivo stato della giurisprudenza formatasi, o in corso di formazione, sulla materia; mentre l’unico caso in cui è certo che vada esclusa la colpevolezza dell’amministrazione – in relazione alle sorti dello specifico processo – è quello in cui quest’ultima si sia do-vuta conformare a una pronuncia di primo grado (cautelare o di meri-to) di segno opposto a quello dell’atto amministrativo impugnato, la cui validità sia però stata riconosciuta dall’esito finale del giudizio.
Nel caso di specie – nessun rilievo dovendo, come detto, attri-buirsi al diniego di sospensiva in primo grado – non si ravvisa alcun indice fattuale che, alla stregua di una corretta applicazione dei sopra esposti principi, induca a ravvisare i presupposti per l’esenzione da colpa dell’amministrazione, a fronte del comprovato fatto (ormai ac-certato con l’autorità del giudicato, non essendo stata impugnata la relativa statuizione) dell’illegittimità dell’aggiudicazione ad altra ditta, in luogo di quella appellante: sicché l’amministrazione resta assogget-tata inevitabilmente al giudizio di colpevolezza nella rilevata violazio-ne dell’art. 30 della legge n. 109 del 1994, che ha portato all’annul-lamento degli atti impugnati in prime cure.
Rileva esattamente l’appellante che l’errata applicazione, nel corso della procedura di gara, del citato art. 30 rivela negligenza e im-perizia del Comune nella gestione della procedura selettiva, integranti il presupposto soggettivo di imputazione dell’illecito civile colposo, in assenza di oggettiva incertezza sul contenuto di detta disposizione e di significative incertezze giurisprudenziali sulla relativa interpretazione.
In effetti, come si è già avuto modo di accennare, il giudizio di colpevolezza deve riferirsi in via esclusiva al fatto antigiuridico, cioè al compimento dell’illegittimità (per violazione di legge, eccesso di potere o, con più articolate ricadute risarcitorie, incompetenza) che ha portato all’annullamento del provvedimento causativo del danno.
Mentre sarebbe del tutto improprio riferirlo, come erroneamen-te affermato dalla sentenza in questa sede appellata, alle scelte operate dall’amministrazione in ordine alla consegna o meno dei lavori, nelle more del processo, alla ditta nei cui confronti sussisteva un’aggiudica-zione provvisoriamente efficace.
Il fatto che sia senz’altro vero – come si legge nella sentenza gravata – che “il Comune … avrebbe potuto optare tra due compor-tamenti, parimenti legittimi: attendere la decisione in grado di appello sull’ordinanza cautelare emessa da questo TAR, o procedere all’inizio dei lavori” e che “usando del proprio potere discrezionale, e valutan-do prioritario il completamento di opere pubbliche ritenute urgenti, ha privilegiato la rapida conclusione dei lavori alla maggiore certez-za della legittimità del proprio comportamento derivante dalla pro-nuncia in sede cautelare da parte del giudice di appello”, non può peraltro implicare un’irresponsabilità della scelta compiuta.
Con quest’ultima – senz’altro discrezionale, nel senso che po-stula una valutazione tra diverse alternative comportamentali, ma che implica altresì una valutazione, in certo senso prognostica, sull’esito del giudizio in corso – l’amministrazione deve comunque assumersi un rischio, tra il ritardo dei lavori e quello di esporsi al risarcimento.
Quel che è certo, però, è che il rischio non può essere traslato dal soggetto pubblico, che compie tale scelta, al privato che abbia ra-gione.
Come sempre avviene nel processo, le scelte comportamentali che ciascuna parte, in assenza di provvedimenti cautelari del giudice, è senz’altro libera di fare, non possono in alcun caso essere dalla stessa parte invocate come ragioni di esenzione dalla responsabilità, una vol-ta risultata soccombente all’esito del processo; le parti, insomma, nei limiti di quanto non pregiudicato dal giudice, restano libere di agire secondo quanto ritenuto opportuno, ma comunque a proprio rischio – in relazione all’esito finale del processo – e non certo a rischio altrui.
In questo, il processo amministrativo non si discosta affatto da quello civile: i cui tempi, anche se lunghi, non devono mai ridondare (come ricorda una tra le più autorevoli dottrine processualcivilistiche) in danno della parte che ha ragione.
4. – Per quanto concerne i criteri di concreta liquidazione del danno risarcibile, è nella specie agevole pervenire a una soluzione de-finitiva.
È incontroverso tra le parti (punto VI dell’esposizione in fatto dell’appellante, non contestata dall’amministrazione) che, al momento in cui i lavori furono sospesi in esecuzione dell’odinanza cautelare d’appello, il relativo avanzamento fosse giunto al 92%.
Risulta altresì che la base d’asta fosse di £ 573 MLN, e che il ribasso su di essa offerto dall’odierna appellante, cui sarebbe spettata l’aggiudicazione alla stregua del capo non appellato della sentenza di primo grado, sia stato di – 0,16002%.
Applicando, in difetto di specifica prova in contrario offerta dalle parti interessate, il noto criterio equitativo di quantificazione del lucro cessante nella misura del 10%, il danno da risarcire risulta pari a: £ 573.000.000 (base d’asta) – 0,16002% (ribasso) x 92% (percen-tuale del lavoro su cui calcolare il risarcimento) x 10% (lucro cessan-te) = (€ 295.929,80 – € 473,55) x 9,2% = € 295.456,25 x 9,2 % = € 27.181,97.
Trattandosi di risultato cui si è pervenuti facendo uso di para-metri equitativi ex artt. 2056 e 1226 cod. civ., il Collegio non ritiene di maggiorare detto importo né di interessi né di rivalutazione moneta-ria, equitativamente stimandolo idoneo a ristorare integralmente il danno subito dall’appellante ai valori odierni; dalla pubblicazione di questa decisione, la somma sarà ovviamente produttiva di interessi legali.
5. – Non spetta, invece, alcun risarcimento per le spese soppor-tate per partecipare alla gara (richieste dalla parte nella misura forfeta-ria di € 3.000), perché il concesso risarcimento dell’interesse positivo (cioè quello che l’impresa avrebbe tratto dall’aggiudicazione della gara in suo favore) esclude in radice la risarcibilità dell’interesse nega-tivo (cioè delle spese sopportate per la partecipazione alla gara), che è invece tipico della diversa ipotesi, non ricorrente nel caso di specie, della responsabilità precontrattuale (in cui l’interesse da ristorare è quello, appunto negativo, a non essere coinvolti in attività inutili).
6. – Il secodo motivo di appello censura la compensazione delle spese operata dal giudice di primo grado.
Il Collegio, tuttavia, non lo ritiene fondato, perché – nonostante la fondatezza dell’originaria domanda che consegue al quasi integrale accoglimento del presente gravame – dovendo provvedere in questa sede ad un nuovo regolamento delle spese di lite relativamente al dop-pio grado del giudizio (come è proprio di ogni decisione di accogli-mento di gravame) stima equo disporne la compensazione integrale, in ragione delle notevoli oscillazioni giurisprudenziali che ancora si ri-scontrano in tema di tutela risarcitoria davanti al giudice amministra-tivo.
In conclusione, l’appello va accolto nei sensi e limiti di cui in motivazione, con conseguente condanna dell’Amministrazione al ri-sarcimento del danno nella misura indicata in dispositivo e con com-pensazione delle spese dell’intero giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione sicilia-na, in sede giurisdizionale, accoglie l’appello nei sensi e limiti di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, con-danna il Comune di Roccavaldina a risarcire all’appellante i danni ca-gionatigli, che liquida nella complessiva misura di € 27.181,97.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità am-ministrativa.
Così deciso in Palermo il 15 dicembre 2005, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizio-nale, in camera di consiglio con l’intervento dei signori: *****************, Presidente, ********************, ********************, estensore, ****************, ****************, Componenti.
F.to: *****************, Presidente
F.to: ********************, Estensore
F.to: *********************, **********
Depositata in segreteria
il 18 aprile 2006
 

Lazzini Sonia

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