Ordinatorietà del termine ex art. 588 c.p.c. (Nota a Tribunale di Varese, Sez. II civ., ordinanza 13 luglio 2019)

Redazione 09/12/19
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di Emanuele Caimi

Sommario

La vicenda

Considerazioni sull’ordinatorietà del termine partendo dal”diritto di compera”, sull’alea dell’offerta e sull’ugual trattamento da attuarsi

Tribunale di Varese, Sez. II civ., ordinanza 13 luglio 2019, Giudice dell’esecuzione Dott.ssa Flaminia D’Angelo

Un creditore, esasperato dall’utilizzo distorto degli strumenti processuali da parte di un prossimo congiunto del debitore esecutato, avanzava istanza ex artt. 588 e 590 bis c.p.c..

Il deposito della richiesta d’assegnazione avveniva il nono giorno libero anteriore alla data dell’esperimento d’asta.

All’asta, per il tramite di una srls con capitale 1 euro, partecipava la figlia del debitore esecutato (dichiarata peraltro decaduta per ben tre volte nella medesima procedura), che avanzava una offerta inferiore al prezzo base ma conforme alla soglia minima di cui all’art. 571 comma 2 c.p.c..

Il delegato ravvisava l’inammissibilità dell’istanza d’assegnazione e rimetteva la questione al Giudice dell’esecuzione.

Il Tribunale di Varese, nel provvedimento in commento, dopo aver dato atto della presenza di un orientamento di merito in punto “perentorietà” del termine di cui all’art. 588 c.p.c.[1], richiamava invece la diversa conclusione cui è giunta – sia pure nella formulazione ante riforma ma con ragionamento tutt’altro che superato – la Suprema Corte di Cassazione, espressasi per l’ordinatorietà[2]dalla lettura della norma, risulta chiaramente che il legislatore non ha previsto espressamente tale termine a pena di decadenza con la conseguenza che, in una lettura combinata con l’art. 152 co. 2 c.p.c., il termine non può essere considerato “perentorio” ove la legge non lo dichiari espressamente”.

Il Giudice dell’Esecuzione escludeva altresì che vi potesse essere un pregiudizio per il partecipante all’asta: “alcun vulnus subisce chi partecipa ad una gara in cui è stata presentata un’istanza di assegnazione in quanto ogni potenziale offerente dovrebbe essere ben conscio di sopportare un’alea ex lege prevista – e consistente nella possibilità per il creditore… di proporre istanza di assegnazione – con la conseguenza che, ove intenda porsi al riparo da un’eventuale istanza di assegnazione, deve formulare un’offerta di acquisto per un importo almeno pari al prezzo base altrimenti rischia di vedersi postergato, ove sia l’unico offerente, al creditore”.

Le conclusioni del giudicante paiono coerenti, condivisibili e soprattutto ragionevoli, tenuto conto della lettera della norma e della funzione dell’istituto.

1 Così Tribunale di Palermo 18 gennaio 2019: “al termine per il deposito dell’istanza di assegnazione va attribuita natura perentoria, in quanto l’anticipazione del deposito svolge la funzione di rendere edotta la platea degli offerenti sulla possibilità di presentare una offerta minima ovvero di formulare un’offerta pari o superiore al prezzo base in ragione della ‘venuta proposizione dell’istanza di assegnazione’”, in ilprocessocivile.it, 11 giugno 2019 con nota di Farina, La perentorietà del termine per la proposizione dell’istanza di assegnazione.

2 Cass. III Sez. Civ. 18 aprile 2011, n. 8857, “nel procedimento esecutivo, il termine di dieci giorni per presentare istanza di assegnazione di cui all’art. 588 c.p.c., ha natura non perentoria, ma ordinatoria, sicché il giudice dell’esecuzione non può discrezionalmente decretare l’estinzione della procedura esecutiva con provvedimento anticipatorio che prefiguri tale estinzione quale conseguenza del decorso della decade dell’udienza infruttuosa di incanto, in assenza di fissazione di nuova udienza e perciò al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge”, in Mass. Giust. Civ. 2011, 4, 623.

La gestione di un fenomeno giuridico dinamico, qual è il processo ed anche il procedimento espropriativo, impone la considerazione della dimensione del tempo. Il susseguirsi di atti, caratterizzati da alcuni contenuti normativamente definiti, contiene in sé il termine entro cui compierli ed il legislatore interviene nel rispetto della ragionevolezza[3] alla disciplina del fenomeno.

Occorre dunque chiedersi se il termine previsto dall’art. 588 c.p.c. sia da considerarsi, nel silenzio della norma, perentorio ovvero ordinatorio[4].

L’art. 152, comma 2°, c.p.c. contiene una sorta di presunzione di ordinatorietà del termine[5], rispettosa del ruolo del legislatore a cui compete – espressamente o meno – stabilirne l’eventuale perentorietà. Certamente non si tratta di presunzione assoluta, dal momento che la perentorietà può emergere dalla funzione ovvero dallo scopo perseguito da un dato istituto[6].

Per la soluzione della nostra questione, non si può ignorare la diversa formulazione letterale dell’art. 588 c.p.c. rispetto a quella dell’art. 571 comma 2 c.p.c.

In quest’ultima norma il legislatore si è premurato di chiarire espressamente l’inefficacia dell’offerta pervenuta oltre il termine stabilito dall’art. 569 c.p.c., come si desume dall’incipit del comma in questione: “non è efficace”. Mentre una analoga previsione che non si rinviene nell’art. 588 c.p.c.

Non si comprende la ragione per la quale il creditore istante l’assegnazione del bene debba farlo con anticipo superiore a quello del terzo, che può invece presentare la domanda di partecipazione alla gara di norma sino al giorno precedente l’asta.

Ciò in un processo caratterizzato comunque dalla peculiare struttura e funzione perseguita[7]: la miglior realizzazione al miglior prezzo possibile di un dato bene per la soddisfazione del ceto creditorio.

Finalità certamente assicurata dall’assegnazione del bene, ad un valore che non potrà che esser pari al prezzo base dell’asta, non essendovi una specifica previsione di legge che consenta offerte a prezzo inferiore e non potendosi applicare analogicamente il dettato dell’art. 571, comma 2 c.p.c..

Ne consegue che, più che la questione attinente le conseguenze del mancato rispetto di un termine ordinatario[8] che, peraltro, può essere prorogato d’ufficio ed anche implicitamente[9] dal medesimo Giudice incontrando, quale unico limite, la preclusione logica al compimento di un atto differente[10], appare dirimente l’art. 572, comma 2 c.p.c.

Dal punto di vista sostanziale si può ragionevolmente affermare, infatti, che esista un “diritto di compera” soltanto se l’offerta sia superiore al valore dell’immobile stabilito nell’ordinanza, pari per lo meno al prezzo base dell’asta (art. 572 comma 2 c.p.c.). Solo in questo caso l’offerta sarà “senz’altro accolta” dal Giudice competente.

Qualora, come nel caso in esame, l’offerta del terzo sia invece inferiore al prezzo base – quand’anche nel limite di cui all’art. 571 comma 2 c.p.c. – non sorge alcun “diritto di compera” in capo all’offerente e “il giudice può far luogo alla vendita quando ritiene che non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore” (art. 572 comma 2 c.p.c.).

Correttamente quindi il Tribunale di Varese ha escluso la natura perentoria del termine di cui all’art. 588 c.p.c., sia per l’assenza di indici espliciti nel testo della norma sia per la funzione che l’assegnazione in ultima analisi assolve: dal punto di vista prettamente economico si risolve nel miglior realizzo del cespite pignorato e quindi in una migliore soddisfazione dei creditori e, per quanto possibile, dello stesso debitore che avrà diritto all’eventuale sopravanzo.

D’altro canto è innegabile che chi partecipa ad un’asta offrendo una somma inferiore al prezzo base ai sensi dell’art. 571 comma 2 c.p.c., accetta il rischio che vi possa essere un’istanza d’assegnazione (quindi al prezzo base) che vanifichi la sua offerta. E ciò è del tutto coerente con la finalità del processo esecutivo.

Affermare la perentorietà del termine di cui all’art. 588 c.p.c. condurrebbe all’introduzione di una ingiustificata in quanto irrazionale disparità di trattamento tra il terzo ed il creditore procedente od intervenuto. Per quale ragione il creditore dovrebbe “scoprire” le carte con largo anticipo?

Non pare, invero, vi sia una ragione logicamente accettabile.

Un approccio sistematico, rispettoso della differenza normativa tra termini perentori ed ordinatori che assicuri uguale trattamento ai partecipanti al processo esecutivo potrebbe indurre ad individuare, quale unico limite per la proposizione dell’istanza d’assegnazione, il rispetto del termine di cui all’art. 569 c.p.c.; ogni altra conclusione propenderebbe per un trattamento ingiustificatamente differente del creditore rispetto al terzo offerente.

3 Si veda Andolina – Vignera, Il modello costituzionale del processo civile italiano, Torino, Giappichelli, 1990, p. 72 per i quali al mancato rispetto della ragionevolezza può sorgere una questione di costituzionalità della norma.

4 Mandrioli, Diritto processuale civile, Torino, Giappichelli, 2011, I, p. 481 – 482: “ai termini perentori si contrappongono i termini ordinatori, che sono quelli la cui non inosservanza non produce decadenza dal potere di compiere l’atto se non a seguito di una valutazione discrezionale del giudice”.

5 Cfr. Cass. II Sez. Civ 19 gennaio 2005 n. 1064 in Mass. Giust. Civ. 2005, 1; in senso conforme Cass. II Sez. Civ. 2 gennaio 1999 n. 808.

6 Cass. Sez. Un. 12 gennaio 2010 n. 262 proprio in tema di termini per il deposito della cauzione, in Giust. Civ., 2010, 3, I, 579. Si veda anche Cass. I. Sez. Civ. 6 giugno 1997 n. 5074 “nulla vieta infatti di indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato, e quindi sia perentorio”, in Giust. Civ. 1997, 930.

7 Durello, L’audizione delle parti e degli interessati: attuazione del principio del contraddittorio nel processo esecutivo?, in Riv. Trim. Dir. Proc., 2011, p. 863 e ss. c.c..

8 Pure sostenuto tra i primi commenti sul punto, cfr. Farina, op. cit.; in giurisprudenza di merito si assiste ad una tendenziale – quanto non giustificata – equiparazione alle conseguenze nel caso di mancato rispetto del termine ordinatorio al termine perentorio, si veda Tribunale di Bari Sez. Lav., 28 gennaio 2019 n. 353, Redazione Giuffrè, 2019; si veda anche Corte d’Appello Catanzaro 14 febbraio 2009, in Foro It., 2009, 5, I, 1509 per la quale il “principio costituzionale della ragionevole durata del processo impone di sanzionare l’inosservanza di qualsiasi termine a carico delle pari con effetti analoghi a quelli della inutile inosservanza di un termine perentorio”. Interpretazione che equiparando “gli effetti” vanificano la natura dei termini e la distinzione prevista dal legislatore. Infatti è stato correttamente osservato che “la non prorogabilità di un termine processuale ordinatorio che sia già stato prorogato o che sia scaduto, non costituisce una qualità che comporti un mutamento di natura del termine medesimo e la sua trasformazione in perentorio”, in questi termini Cass. Sez. Lav., 2 settembre 1995 n. 9288 in Mass. Giust. Civ. 1995, 1600, si veda anche Cass. Sez. Lav. 16 agosto 1993 n. 8711 in Mass. Giust. Civ. 1993, 1290.

9 Cass. III Sez. Civ., 15 aprile 1993 n. 4470 in Mass. Giust. Civ. 1993, 672 che afferma la prorogabilità implicita del termine ordinatorio “può essere prorogato dal giudice dell’esecuzione esplicitamente o implicitamente finché l’incanto non abbia avuto inizio .

10 Si veda Viola, La perentorietà tollerante dei termini ordinatorio processuali, in judicium.it: “diversamente, la tesi della tolleranza logica sembra convincere di più; ciò in quanto: – appare coerente con il dato letterale che esige una diversificazione tra perentorietà ed ordinatorietà… – appare coerente con la volutas legis, emergente anche dai lavori preparatori, tesa essenzialmente a diversificare i due termini … pertanto, se sussiste un dubbio interpretativo, allora bisogna propendere per una ricostruzione più coerente con la ratio che è volta alla diversificazione e non all’equiparazione – è logica perché mira a tollerare il vulnus, ma fino ad un certo punto, allineandosi allo spirito del processo… – contempera bene le esigenze di certezza del diritto, con quelle di elasticità rapportabile al caso concreto”.

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