Ordinanze decisorie giudizio ordinario cognizione: novità

Adele Saito 06/06/23
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Le nuove ordinanze decisorie del giudizio ordinario di cognizione
La legge 206/2021 ha delegato il Governo ad intervenire sul processo civile, tra cui le ordinanze decisorie del giudizio ordinario di cognizione
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Volume consigliato per l’approfondimento: Formulario commentato del processo civile dopo la Riforma Cartabia

Indice

1. Il d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022: principi ispiratori


Analogamente alla parallela riforma del processo penale (l. n. 134 del 2021), la legge delega presenta un duplice contenuto: da una parte delega il Governo alla riforma del processo civile, dettando specifici principi e criteri direttivi, dall’altra modifica direttamente alcune disposizioni sostanziali e processuali relative ai procedimenti in materia di diritto di famiglia, esecuzione forzata e accertamento dello stato di cittadinanza. I principali obiettivi perseguiti sono quelli della semplificazione, della speditezza e della razionalizzazione del processo.
La legge di Bilancio 2023 (l. 29 dicembre 2022 n. 197) ha anticipato l’entrata in vigore della gran parte delle nuove norme dal 30 giugno (data prevista dal succitato decreto legislativo) al 28 febbraio 2023.  Fanno eccezione alcune norme speciali e alcune decadenze di termini di contenuto tecnico.

2. Il nuovo rito ordinario di cognizione: cenni


Tra le novità introdotte dalla Riforma saranno oggetto di analisi- seppur per cenni- quelle relative al nuovo procedimento ordinario di cognizione con riferimento al quale gli obiettivi generali della riforma vengono declinati nell’intenzione di assicurare la semplicità, la concentrazione, la ragionevole durata del processo nelle fasi in cui esso si sviluppa e nei differenti gradi di cui compone.
Queste le principali modifiche.
La Riforma ha attribuito alla prima udienza un ruolo centrale nello svolgimento del processo prevedendo una inversione rispetto all’attuale scansione dei tempi processuali: le memorie scritte, con le quali le parti definiscono la loro attività assertiva ed avanzano le istanze istruttorie, non vengono più depositate successivamente all’udienza di prima comparizione, con termini a decorrere da essa, ma, al contrario, devono essere depositate prima dell’udienza di prima comparizione, entro termini da calcolarsi a ritroso da essa.
La prima udienza cessa di essere il momento del primo contatto tra il giudice e le parti, finalizzato al compimento di tutte le verifiche preliminari ed alla assegnazione dei termini per la definizione del thema decidendum e del thema probandum, e diventa il momento in cui il giudice già si trova nelle condizioni per valutare se necessiti un’attività istruttoria, ovvero se la causa sia già matura per la decisione. Alla luce di tale nuovo ruolo attribuito all’udienza di prima comparizione, è stato previsto che lo svolgimento delle verifiche preliminari da parte del giudice avvenga in una fase antecedente alla predetta udienza ed alla decorrenza dei termini per le memorie scritte delle parti.
L’attore è chiamato a replicare subito alle difese del convenuto, con domande ed eccezioni. Entrambe le parti potranno articolare i mezzi di prova. Le parti sono tenute a comparire personalmente all’udienza di comparizione per il tentativo di conciliazione. La mancata comparizione personale senza giustificati motivi sarà valutabile dal giudice. Il giudice all’esito dell’udienza deve provvedere sulle richieste istruttorie, predisponendo il calendario del processo e disponendo che l’udienza per l’assunzione delle prove sia fissata entro 90 giorni. All’udienza di trattazione il giudice può anche decidere che il processo debba proseguire nelle forme del rito semplificato sentite le parti e se ricorrono i presupposti richiesti dalla legge.
Sono stati modificati il contenuto e l’oggetto dell’atto di citazione e della comparsa di risposta che adesso dovranno contenere la descrizione dei fatti e degli elementi di diritto in modo chiaro e specifico, nonché l’esposizione sempre chiara e precisa della posizione difensiva sui fatti posti a fondamento dell’azione.
L’atto di citazione dovrà contenere alcune importanti clausole e menzioni, tra cui l’indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell’assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento e l’indicazione che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall’articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
È stato introdotto l’onere, a pena di decadenza, per l’attore di indicare sin dall’atto di citazione i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione. Dal canto suo, il convenuto dovrà proporre nella comparsa le sue difese, prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda in modo chiaro e specifico; anche lui dovrà indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione.
Inoltre tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di centoventi giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero; il convenuto dovrà costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell’udienza indicata.
Nei quindici giorni successivi alla scadenza del termine per la costituzione del convenuto, il giudice è tenuto a compiere tutte le verifiche d’ufficio funzionali ad assicurare la regolarità del contraddittorio, quali, in particolare, la verifica della sua rituale instaurazione e della sua integrità qualora si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario; della chiamata in causa di terzi; della nullità degli atti introduttivi; di difetti di rappresentanza, assistenza o autorizzazione; della sussistenza di condizioni di procedibilità della domanda; della sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato ovvero di ulteriori questioni rilevabili d’ufficio da indicare alle parti, di cui ritiene opportuna la trattazione.
All’esito di tali verifiche, qualora il giudice debba effettuare rilievi ed assumere provvedimenti in ordine a tali profili, gli stessi sono poi trattati dalle parti nelle memorie integrative.
Qualora vengano assunti provvedimenti, il giudice, se necessario, fissa una nuova udienza di comparizione delle parti, rispetto alla quale decorreranno nuovi termini.
La scansione dell’iter giudiziale è stata semplificata.
Sono state soppresse l’udienza per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio e quella di precisazione delle conclusioni, sostituita dallo scambio di note scritte.
Sono stati introdotti l’obbligo del giudice di predisporre il calendario del processo alla prima udienza e la previsione di un termine non superiore a novanta giorni dalla prima udienza per l’udienza per l’assunzione delle prove.
Il decreto legislativo ha poi inteso realizzare la semplificazione dei procedimenti attraverso il rafforzamento di un modello processuale già esistente, il procedimento sommario di cognizione (articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile) denominato ora procedimento semplificato di cognizione e reso obbligatorio per ogni controversia, anche di competenza del tribunale in composizione collegiale, quando i fatti di causa non siano controversi oppure quando la domanda sia fondata su prova documentale o di pronta soluzione o comunque richieda un’attività istruttoria non complessa.


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3. Le ordinanze ex artt. 183 ter e 183 quater c.p.c.: ratio, disciplina e questioni interpretative


Tra le modifiche che hanno interessato la fase decisoria del giudizio vi è l’introduzione di due nuovi provvedimenti semplificati per la definizione della causa, disciplinati rispettivamente dall’art. 183-ter c.p.c. e dall’art.183 quater c.p.c.
Si tratta dell’ordinanza di accoglimento e dell’ordinanza di rigetto della domanda collocate subito dopo le disposizioni che regolano la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.) ed il passaggio al rito semplificato (art. 183- bis c.p.c), ma prima delle disposizioni che si occupano della conciliazione delle parti (artt. 185 e 185-bis c.p.c.) e di quelle dedicate alle ordinanze anticipatorie di condanna (artt. 186-bis, ter e quater c.p.c.).
Nell’introduzione delle “proposte normative e note illustrative” presentate dalla Commissione ministeriale presieduta dal prof. F.P. Luiso, si legge che per evitare un superfluo ricorso al processo dichiarativo, v’è “l’introduzione di un procedimento sommario non cautelare e senza efficacia di giudicato, al fine di consentire la creazione di un titolo esecutivo anche al di fuori dei casi in cui è utilizzabile il procedimento per ingiunzione.”
Si tratta quindi non di un nuovo procedimento sommario, capace di giungere ad un titolo esecutivo quanto piuttosto di un provvedimento interinale soggetto a reclamo.
Si inseriscono nel solco di quella tendenza alla semplificazione e alla sommarizzazione che connota gli ultimi trent’anni di riforme processuali che trovano la loro genesi nella crisi del processo ordinario di cognizione, non più idoneo per la sua rigidità a rispondere con efficienza e tempestività alle richieste di tutela giurisdizionale.
Queste ordinanze – attesa la loro funzione acceleratoria dei tempi del processo – mirano a sostituirsi alla sentenza e a definire l’intero processo là dove la domanda appaia, rispettivamente, manifestamente fondata o manifestamente infondata.
A differenza di quanto era stato proposto dalla Commissione Luiso, la riforma non ha optato per un procedimento autonomo ma ha inglobato l’istituto all’interno del normale giudizio di cognizione, quale esito alternativo alla sentenza.
L’ambito di applicazione della norma è esplicitamente chiarito dal suo primo comma, ove essa stabilisce che l’ordinanza di accoglimento della domanda può essere pronunciata soltanto dal Tribunale in composizione monocratica o collegiale, quando l’Ufficio giudiziario agisce quale organo di primo grado. Il provvedimento resta, pertanto, escluso quando il Tribunale agisce quale giudice di appello (per impugnazione proposta avverso un provvedimento del giudice di pace).
Le predette ordinanze non possono essere utilizzate ogni qual volta la tutela del diritto dedotto in giudizio richieda la pronuncia di un provvedimento idoneo al giudicato.
L’ordinanza di accoglimento della domanda.
I presupposti per l’emissione dell’ordinanza di accoglimento sono: i) l’istanza di parte; ii) la competenza del tribunale (anche collegiale); iii) la controversia su diritti disponibili; iv) il raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda; v) la manifesta infondatezza delle difese della controparte.
L’ ordinanza, al pari di quella di rigetto, assolve in qualche modo ad una funzione di “filtro” che ricalca quella dei modelli decisori impiegati in appello (art. 350-bis c.p.c.) e in cassazione (art. 380-bis c.p.c.), dove la “manifesta” fondatezza/infondatezza delle ragioni di una delle parti imprime una netta semplificazione all’iter processuale.
Il giudizio nasce “ordinario” e per volontà delle parti diventa sommario.
Sebbene la disposizione sembri ammettere la pronuncia «nel corso del giudizio di primo grado», si può ritenere che l’ordinanza non possa essere adottata né prima della prima udienza, né dopo la rimessione della causa in decisione. “Non prima della prima udienza” perché, oltre alla collocazione numerica della disposizione (dopo l’art. 183), le parti devono necessariamente aver esaurito i poteri di allegazione e prova. “Non oltre la rimessione in decisione” perché da lì in poi cessano gli effetti benefici della definizione anticipata del giudizio, mentre torna a prevalere l’utilità della definizione della controversia con sentenza
L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva, contiene la regolamentazione delle spese di lite, ma non è idonea ad acquistare efficacia di giudicato, né la sua efficacia può essere invocata in altri processi.
E’ reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies e dal reclamo dipende anche la sorte del processo: a) se il reclamo è accolto, il giudizio prosegue dinanzi a un magistrato diverso da quello che ha pronunciato l’ordinanza; b) se il reclamo non è proposto o viene rigettato, l’ordinanza definisce il giudizio e non è altrimenti impugnabile, ma, difettando di efficacia di giudicato, la controparte potrà agire in accertamento negativo.
Non è chiaro se:
– l’istituto possa applicarsi nei riti speciali, ad esempio nel rito del lavoro, nel rito locatizio, nel procedimento semplificato di cognizione ecc.;
– la domanda possa essere accolta parzialmente visto che presupposto dell’ordinanza è la manifesta infondatezza delle difese avversarie;
 – qualora vi siano più cause cumulate dall’attore, i requisiti devono sussistere per tutte;
–  il provvedimento è titolo per iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
L’istituto pone poi ulteriori questioni interpretative e operative.
Innanzitutto, la previsione del passaggio del fascicolo ad altro magistrato in caso di accoglimento del reclamo, oltre ad essere poco razionale per l’esagerato numero di magistrati che la vicenda può coinvolgere, è foriera di difficoltà organizzative negli uffici di piccole dimensioni.
Inoltre, come l’accoglimento dovrebbe essere integrale, anche il reclamo dovrebbe essere rigettato integralmente per poter dar luogo alla definizione del processo.
In tema di spese, non vi è luogo per la loro regolamentazione in caso di rigetto dell’istanza. Neppure vi dovrebbe essere pronuncia sulle spese in caso di accoglimento del reclamo: con tale ordinanza, il collegio dovrebbe annullare l’intera ordinanza reclamata, rimettendo la statuizione sulle spese alla sentenza finale. Viceversa, in caso di rigetto del reclamo, il collegio si pronuncerà sulle spese.
Muovendo dall’inidoneità al giudicato dell’ordinanza di accoglimento, anche ove confermata in sede di reclamo, si pone il problema della contestabilità dei capi sulle spese, dei quali si potrebbe in teoria predicare la stabilità e quindi l’impugnabilità con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
L’ordinanza di rigetto della domanda.
L’art. 183 quater disciplina invece l’ordinanza di rigetto della domanda.
Alcuni presupposti sono comuni all’ordinanza di accoglimento, ossia: i) l’istanza di parte; ii) la competenza del tribunale; iii) la controversia su diritti indisponibili;
Mutano invece gli altri presupposti, che possono ricorrere in via alternativa: a) domanda manifestamente infondata; b) nullità della citazione per omessa o incerta indicazione del petitum (n. 3 dell’art. 163), se «la nullità non è stata sanata»; c) nullità della citazione per mancanza dell’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda (art. 163, n. 4) se non sono state compiute la rinnovazione o l’integrazione della domanda ritualmente disposte dal giudice.
Al pari dell’ordinanza di accoglimento:
– non acquista efficacia di giudicato;
– con essa il giudice regola le spese di lite;
– è reclamabile ex art. 669 terdecies;
– se il reclamo non è proposto o è rigettato, l’ordinanza definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile;
– se il reclamo è accolto il processo prosegue dinanzi a un diverso magistrato.
Circa il tempo della pronuncia dell’ordinanza di rigetto, la legge precisa che l’ordinanza è emessa “nel corso del giudizio di primo, all’esito dell’udienza di cui all’articolo 183”. A differenza di quella di accoglimento, qui si precisa che non può essere pronunciata prima dell’udienza di prima comparizione e prima del tentativo di conciliazione.
Anche questa ordinanza pone diversi problemi interpretativi.
Innanzitutto, se sono omessi o risultano assolutamente incerti il petitum (art. 163, comma 3, n. 3) o la causa petendi (art. 163, comma 3, n. 4), si configurano nullità che ostano alla decisione, se non sanate secondo l’iter previsto dall’art. 164, co. 5.
Poiché tuttavia il co. 5 dell’art. 164 non sanziona espressamente con l’estinzione né la mancata rinnovazione della citazione (a differenza del co. 2, relativo alla mancata rinnovazione per vizi della vocatio in ius) né la mancata integrazione, in caso di mancato rinnovo, sono state proposte diverse soluzioni interpretative:
 a) si determina una fattispecie di estinzione ex art. 307 c.p.c.;
b)  si avrà un rigetto con sentenza in rito, attestante la mera nullità della citazione;
c) la mancata rinnovazione da luogo all’estinzione ex art. 307 (che infatti menziona la sola mancata integrazione) mentre la mancata integrazione (non essendo contemplata come fattispecie estintiva né dall’art. 164 né dall’art. 307) darebbe luogo a una pronuncia con sentenza e alla conseguente regolamentazione delle spese, così compensando la difesa attiva svolta dal convenuto.
La soluzione più coerente con il contesto normativo di riferimento è la soluzione sub b9.
Ed infatti là dove fa riferimento sia alla mancata rinnovazione che alla mancata integrazione della citazione per omissione dei fatti costituenti la causa petendi, dà per assodato che, in queste ipotesi, la controversia dovrebbe essere definita con sentenza, rispetto alla quale la nuova ordinanza ex art. 183 quater si pone in rapporto di alternatività.
Ulteriore problema applicativo è il seguente: se la nullità non è stata sanata perché non è stato rispettato l’ordine di rinnovazione, il quale presuppone la mancata costituzione della parte, non si comprende come possa esservi un’istanza di parte, dato che la parte non ha assunto un ruolo attivo nel processo. La disposizione acquista un senso solo nella remota ipotesi in cui il convenuto si sia costituito spontaneamente dopo che il giudice ha già disposto la rinnovazione della citazione, chiedendo la pronuncia dell’ordinanza ex art. 183 quater per persistente nullità della citazione dovuta a mancato rispetto del termine fissato dal giudice.

4. Conclusioni


Le nuove ordinanze ex artt.183 ter e 183 quater rappresentano uno dei risultati più discussi della Riforma Cartabia, attorno al quale si addensano perplessità e riserve della dottrina.
Tuttavia è indubbiamente da apprezzare l’introduzione di un sistema di tutele graduali che consente di conformare il rito all’oggetto della lite, ottenendo dal sistema la massima efficienza possibile.
Dalla riforma viene fuori un processo civile flessibile, improntato ad un criterio di proporzionalità delle risorse giudiziarie, proprio come auspicava già negli anni ’40 il Maestro Carnelutti “la struttura del processo deve essere in funzione della qualità della lite [..]ogni lite ha la sua facies, la sua statura, il suo peso, e via dicendo. Si tratta di trovare per ciascuna il suo tipo di processo, come si sceglie per ciascuna figura il suo vestito” (Studi di diritto processuale, Padova, Cedam 1939)

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