Opposizione a d.i. in materia condominiale: autonomia del procedimento rispetto all’impugnativa della deliberazione assembleare

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I) Com’è noto, il giudizio di opposizione ad ingiunzione – anche in materia condominiale –, concerne la sussistenza dei requisiti di concedibilità del relativo decreto, e non può, pena lo stravolgimento di esso, trasformarsi – sempre nel caso di decreto concesso in favore del Condominio contro un condomino moroso – nel procedimento ex art. 1137 c.c. di accertamento della validità delle delibere assembleari.

Non infrequente, infatti, in sede di opposizione da parte del detto condomino moroso, la domanda riconvenzionale azionata da questi volta all’impugnazione della delibera assembleare approvante il rendiconto posta a base del decreto.

Ebbene, come autorevolmente affermato dalla S.C., in materia condominiale ove l’attore – opponente ad ingiunzione concessa ex art. 63 d. att. c.c. voglia eliminare dal mondo giuridico la delibera posta a base dell’ingiunzione, ha l’onere di proporre un’impugnazione separata ed autonoma della delibera medesima:

Cass. 8 agosto 2000 n. 10427: «L’amministratore del condominio può promuovere il procedimento monitorio per la riscossione degli oneri condominiali, e l’eventuale opposizione da parte del condomino ingiunto potrà riguardare la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione, ovvero il verbale della delibera assembleare, ma non può estendersi alla nullità o annullabilità della delibera avente ad oggetto l’approvazione delle spese condominiali, che dovranno invece essere fatte valere in via separata con l’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c.».

Si rammenti, inoltre, che la giurisprudenza è costante nell’affermare l’inesistenza di un qualsivoglia nesso processuale di continenza, pregiudizialità necessaria et similia tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e quello d’impugnazione della deliberazione posta a base del ricorso monitorio – tale da giustificare la possibilità di una domanda riconvenzionale come quella in esame –, e ciò in quanto:

«L’esclusione del nesso di pregiudizialità necessaria (quindi, un legame tra il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo e d’impugnazione a delibera assembleare, n.d.r.), si spiega considerando che il diritto del condomino alla percezione delle quote di spese erogate per il godimento delle cose e dei servizi comuni non nasce con la delibera assembleare d’approvazione del riparto delle spese stesse, ma è inerente all’effettuata gestione dei detti beni e servizi comuni, allo stesso modo che il fondamento dell’obbligo degli ingiunti di pagare i contributi non si fonda sulla delibera, ma è inerente alla titolarità del diritto reale sull’immobile» (cfr. la fondamentale Cass., sez. un., 27 febbraio 2007, che ha composto un precedente contrasto; conff., Cass. 7 ottobre 2005, n. 19519, idd., 26 gennaio 2000, n. 857, 17 maggio 1997, n. 4309, 7 luglio 1988, n. 4467, 21 maggio 1964, n. 1251).

Consegue dagli insegnamenti appena citati, che il condomino moroso, se volesse realmente tutelarsi avverso la delibera de qua, dovrebbe attivarsi in ordine ad un’autonoma impugnazione ex art. 1137 c.c. innanzi all’autorità giudiziaria – in ipotesi accompagnata dalla richiesta di sospensione della stessa ex art. 1137, comma 2, c.c. –, iniziativa che gli garantirebbe una difesa più incisiva delle sue ragioni.

E di una impugnativa siffatta, si ricordi, sarà luogo a farsi sempre qualora risultino soddisfatte le due condizioni del citato art. 1137 c.c., vale a dire l’assenza di esso condomino e/o il suo dissenso in ordine al deliberato. In ipotesi, l’aver il condomino presenziato alla riunione e l’avervi prestato acquiescenza mediante il voto favorevole, è elemento di per sé solo sufficiente a negargli comunque legittimazione all’impugnativa.

Diversamente ragionando, i requisiti dell’assenza e del dissenso del condomino che solo se esistenti lo legittimano all’impugnativa ex art. 1137, ult. co., c.c., potrebbero essere sempre vanificati da un sempre in agguato «pregiudizio» del titolare, invocabile ad usum delphini, che in subiecta materia resta nell’ ‘irrilevante giuridico’, con la sola precisazione di cui subito si dirà.

In giurisprudenza, sul punto, Cass. 9 ottobre 1997, n. 9787: «Costituisce prova scritta idonea ad ottenere decreto ingiuntivo (art. 63 disp. att. c.c. e 633 c.p.c.) per il pagamento delle spese condominiali, il verbale dell’assemblea che approva il rendiconto, perchè la relativa delibera vincola anche gli assenti ed i dissenzienti finché non dichiarata nulla o annullata dal giudice dell’impugnazione, se non decaduti (art. 1137 c.c.)».

Quindi, la presenza ed il voto favorevole del condomino alla deliberazione gli negano in radice la legittimazione all’impugnazione della delibera.

Tornando alla questione del «pregiudizio» per l’ingiunto, che lo legittimerebbe all’impugnativa anche in assenza dei requisiti dell’assenza e/o del dissenso, esso avrà giuridica rilevanza solamente innanzi a delibere assembleari che si arroghino il potere di introdurre, in modo artato, criteri derogatori a quelli fissati dal codice civile in tema di ripartizione di spese condominiali.

A riprova, si legga Cass. 3 maggio 1993 n. 5125: «È nulla, e non meramente annullabile, anche se presa all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’art. 1126 c.c., senza che i condomini abbiano manifestato la espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso, con la conseguenza che la detta nullità può essere fatta valere anche dal condomino che abbia partecipato all’assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purché alleghi e dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio . . .».

II) In conclusione, valga la pena di rammentare che la giurisprudenza è univoca nell’affermare che le deliberazioni dell’assemblea dei condomini:

a) se approvano un piano di riparto, hanno carattere dichiarativo, non già costitutivo, del diritto di credito dei condomini ed assurgono a vero e proprio titolo di credito del condominio;

b) hanno quale unico rimedio impugnatorio il procedimento ex art. 1137 c.c., e nessun altro.

In proposito, leggasi Cass., sez. un., n. 4421/2007, cit.:

«La delibera di approvazione del riparto delle spese non è costitutiva del diritto di credito del condomino ma solo dichiarativa di esso»; «le deliberazioni condominiali sono soggette ad impugnativa ai sensi del secondo comma dell’art. 1137 c.c. e tuttavia, per espressa previsione della medesima norma, restano non di meno vincolanti per i singoli condomini, nonostante l’esperita impugnazione, salvo il giudice di questa ne disponga la sospensione dell’efficacia esecutiva, tale delibera costituendo, infatti, ex lege titolo di credito in favore del condominio e, di per sé, prova idonea, ai fini di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c., dell’esistenza di tale credito, sì da legittimare non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio d’opposizione che quest’ultimo proponga contro tale decreto» (conf., ex multis, Cass. 18 febbraio 2003, n. 2387).

 

 

Giorgio Vanacore

Avvocato in Napoli

Vanacore Giorgio

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