Operazioni inesistenti: nullo l’avviso di accertamento se la società cessionaria non era a conoscenza della frode fiscale posta in essere dalla società cedente

Commissione Tributaria Regionale – Campania, Sentenza 07 febbraio 2019, n.1114

 

Annullati totalmente sei avvisi di accertamento per via dell’assenza di prova idonea a dimostrare la consapevolezza della società cessionaria della asserita frode fiscale posta in essere dalla società cedente che aveva fatturato le operazioni in contestazione.

Il caso

A seguito di verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Benevento notificava a una società di consulenza immobiliare e ai suoi soci sei avvisi di accertamento.

Più nel dettaglio, la vicenda trae origine da un’attività investigativa posta in essere dall’Ufficio che, dopo aver riscontrato che la società aveva intrattenuto rapporti commerciali con una ditta di elettronica, contestava che da parte della società immobiliare erano state contabilizzate e dichiarate delle fatture emesse per operazioni inesistenti. In buona sostanza, a quest’ultima, si contestava un’indebita detrazione di costi riferiti ad operazioni inesistenti.

Avverso i suddetti avvisi di accertamento, la società contribuente e i soci, difesi dall’Avv. Maurizio Villani, depositavano tempestivi ricorsi dinnanzi alla competente Commissione tributaria di Benevento, eccependo:

  • la nullità degli avvisi di accertamento per difetto di sottoscrizione e di motivazione;
  • l’assoluta illegittimità del modus operandi dell’Ufficio;
  • la violazione dei principi costituzionali di affidamento e buona fede nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente, così come disposto dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del Contribuente (Legge n. 212 del 2000);
  • l’onere della prova e la validità delle presunzioni;
  • nel merito, l’effettiva esistenza delle operazioni commerciali oggetto di contestazione (provata mediante il depositato di copie delle fatture ricevute dalla ditta elettronica e dimostrata attraverso copie degli avvenuti pagamenti di tali fatture mediante mezzi tracciati);
  • in subordine, la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’Iva a fronte di operazioni realmente poste in essere e intercorse tra i soggetti che figurano quale emittente e percettore della fattura.

L’Agenzia delle Entrate, costituitasi in giudizio, confermava la validità degli accertamenti e chiedeva l’integrale rigetto dei ricorsi.

Chiamata a pronunciarsi, l’adita CTP di Benevento, con sentenza n. 227/2/2013, mentre accoglieva parzialmente alcuni ricorsi dei ricorrenti, rilevando nel merito che solo una piccola parte dei costi era stata legittimamente detratta, ne accoglieva totalmente altri per difetto di sottoscrizione. 

Ebbene, avverso la sentenza di primo grado, proponevano appello sia i contribuenti, che l’Agenzia delle Entrate.

Nello specifico, la società e soci, reiterando integralmente tutte le eccezioni formulate in primo grado, insistevano nel sostenere l’illegittimità dell’accertamento societario stante l’inidoneità delle prove fornite dall’Ufficio a dimostrare l’inesistenza delle operazioni in contestazione.

Parimenti l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Benevento, impugnava parzialmente la sentenza di primo grado per quanto di ragione, sottolineando come le fatture oggetto di contestazione fossero relative ad operazioni soggettivamente inesistenti e, come tali, indeducibili, per non avere il contribuente (committente/cessionario) altresì dimostrato la propria buona fede nei rapporti intercorsi con il soggetto cedente.

Ebbene, con sentenza n. 10968/15, la CTR di Napoli, in riforma dell’impugnata pronuncia, rigettava totalmente l’appello proposto dai contribuenti e accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio, in particolare affermando che avendo condotto delle indagini sulla figura del titolare della ditta elettronica fornitrice di servizi ed essendo quest’ultimo risultato nullatenente e privo di una struttura organizzativa idonea per la fornitura dei servizi fatturati “(…) Di fronte ad elementi più che attendibili sulla inesistenza delle operazioni fatturate, sarebbe stato onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione e del costo, altrimenti indeducibili (Cassazione 2847/2008) non essendo sufficiente, a tale scopo, la dimostrazione della regolarità meramente formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cassazione, sentenze 15228/2001, 1950/2007, 12802/2011)”. Ancora in tal senso, i giudici della Commissione Regionale ritenevano che la contribuente non aveva comprovato la propria buona fede nei rapporti intercorsi con la ditta fornitrice (risultata priva di struttura organizzativa idonea) e che l’Ufficio aveva contestato tanto l’inesistenza soggettiva, quanto quella oggettiva delle operazioni commerciali in contestazione.

Orbene, avverso la pronuncia de qua, la società di consulenza immobiliare proponeva ricorso in Cassazione contestando la nullità e censurabilità della sentenza d’appello ed eccependo in particolare:

  • la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., denunciando che la CTR era incorsa nel vizio di ultrapetizione per aver erroneamente considerato le operazioni commerciali in contestazione oggettivamente inesistenti, laddove, invece, l’Ufficio, nei sui precedenti atti difensivi, aveva sempre ristretto la contestazione al campo delle operazioni soggettivamente inesistenti. Di fatto, i giudici di secondo grado si erano del tutto sostituiti all’Ufficio, ritenendo, che le suddette operazioni non fossero mai state poste in essere, e riformando così il decisum di primo grado che, viceversa, aveva riconosciuto l’esistenza delle operazioni ritenendole, tuttavia, sovrafatturate;
  • la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 c.c., 112 c.p.c. nonché dell’articolo 7 del D. Lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., denunciando che la CTR aveva erroneamente considerato sufficientemente motivato e comprovato l’atto impositivo e sopperendo alle carenze di prove fornite dall’Ufficio;
  • la rideterminazione delle sanzioni e rinvio.

Ebbene, la Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13265 del 25/05/2017, nel ritenere che i Giudici di secondo grado erano incorsi nel vizio di ultrapetizione, accoglieva il primo ed il terzo motivo di ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava a diversa sezione della CTR della Campania per un nuovo esame.

Soluzione giuridica: Commissione Tributaria Regionale – Campania, sentenza n. 1114/2019

In seguito all’ordinanza della Cassazione n. 13265/ 2017, i contribuenti proponevano regolare e tempestivo atto di riassunzione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, chiedendo il riesame della controversia sulla base dei principi stabiliti dalla Cassazione con la suddetta ordinanza, sia in riferimento al fatto che la contestazione sollevata dall’Ufficio nei propri atti difensivi riguardasse solo operazioni soggettivamente inesistenti (e non anche oggettivamente inesistenti), sia in riferimento alla rideterminazione delle sanzioni in caso di accoglimento solo parziale delle motivazioni di parte. Peraltro, la società insisteva nel sostenere di avere dimostrato la veridicità delle operazioni in contestazione fatturate dalla ditta elettronica, l’avvenuto pagamento delle stesse mediante pagamenti tracciati e la regolare contabilizzazione di tali fatture, con la conseguente deducibilità dei costi sostenuti.

Ancora, la società si soffermava sul fatto che nonostante l’avvenuto deposito di copiosa documentazione contabile (assegni e fatture) idonea a dimostrare la veridicità delle operazioni commerciali in contestazione, l’Agenzia delle Entrate non aveva prodotto nessuna concreta prova in relazione a una eventuale conoscibilità da parte della contribuente di partecipare a una falsa fatturazione compiuta dalla ditta elettronica (ritenuto soggetto nullatenente e con una struttura commerciale inidonea) e che, di conseguenza, non poteva essere negata la sua buona fede nei rapporti intercorsi con la ditta fornitrice, sostenendo quindi la piena detraibilità anche dell’iva versata sugli acquisti medesimi.

Con proprie controdeduzioni, la resistente Agenzia si costituiva in giudizio, sostenendo che la contestazione riguardava anche operazioni oggettivamente inesistenti e che, a “prescindere dalla sottile discriminazione tra operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti”, era stata dimostrata l’insussistenza dei costi recuperati a tassazione e relativi alle prestazioni di servizio fatturate dalla ditta elettronica.

Ebbene, sulla base delle suddette argomentazioni, i Giudici della 27˚ sezione della Commissione Tributaria Regionale – Campania, il 07 febbraio 2019, con la sentenza n. 1114, accoglievano la tesi della ricorrente e annullavano totalmente i sei avvisi di accertamento impugnati sulla scorta del fatto che:

  • l’Ufficio, nei suoi precedenti atti difensivi, aveva sempre ristretto la contestazione al campo delle sole operazioni soggettivamente inesistenti e, dunque, << (…) non si può condividere la tesi esposta dalla resistente Agenzia, secondo la quale sarebbe ininfluente la discriminazione formale tra operazioni oggettivamente inesistenti o soggettivamente inesistenti >>;
  • << (…) non risulta, nel caso di specie, che l’ufficio accertatore abbia mai concretamente contestato alla contribuente una qualsiasi consapevole connivenza con la ditta fornitrice atta a far ritenere che la contribuente medesima fosse stato in qualche modo consapevole di partecipare ad una frode fiscale ai fini dell’IVA.>>

Invero, a parere del Collegio, la contribuente aveva depositato agli atti le copie delle fatture ricevute dalla ditta elettronica e dalle quali si poteva rilevare la data di emissione, la natura delle prestazioni ricevute e l’indicazione delle modalità di pagamento, dimostrando inoltre l’avvenuto pagamento di tali fatture mediante mezzi tracciati.

Evidenziavano ancora i giudici che, la contribuente aveva dimostrato, mediante deposito di stralcio delle scritture contabili, di avere correttamente contabilizzato tali fatture e di avere, inoltre, correttamente contabilizzato le fatture attive emesse in relazione ai ricavi conseguiti anche in seguito all’avvenuta informatizzazione dei propri archivi mediante le prestazioni ricevute dalla ditta fornitrice.

In sostanza, alla luce di tanto, emergeva come:

  • da un lato, la società contribuente avesse realmente e correttamente posto in essere le operazioni de quibus;
  • dall’altro, come non potesse essere al corrente della eventuale natura fraudolenta delle operazioni compiute dalla società cedente, risultata nullatenente e priva di struttura organizzativa idonea a eseguire le prestazioni fatturate.

Sul punto, il Collegio riteneva condivisibile :<< l’orientamento generale secondo il quale l’imprenditore commerciale non può rispondere della eventuale natura fraudolenta delle operazioni, occorrendo la dimostrazione della piena conoscenza e della partecipazione alla frode fiscale o dell’accordo simulatorio>> con la società cedente.

Nel caso in esame la pretesa impositiva trovava il suo fondamento sostanzialmente sul fatto che la ditta fornitrice era risultata essere evasore totale delle imposte e dell’IVA, ma tale circostanza (evidentemente negativa) non poteva da sola comportare conseguenze negative per la società appellante, avendo dovuto e potuto l’Agenzia delle Entrate agire nei confronti del titolare della ditta elettronica.

A sostegno delle proprie argomentazioni, i giudici di secondo grado rilevavano, inoltre, come la Suprema Corte avesse più volte, e con un orientamento del tutto uniforme, chiarito che << (…) in caso di apparente regolarità delle fatture, la mera contestazione dell’amministrazione finanziaria non è affatto sufficiente ad invertire l’onere della prova, essendo invece necessario che essa dimostri sia la frode del cedente, sia la connivenza del cessionario >> (cfr. Cass. Sent. 05-12-2014, n. 25778) e che << In tema di IVA, qualora l’Amministrazione contesti a un operatore il diritto alla detrazione d’imposta in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni. >> (ctr. Cass, Sent. 20-12-2012, n. 23560).

In definitiva, gli avvisi di accertamento impugnati sono stati annullati perché, a parere della Commissione Tributaria Regionale Campania, l’Ufficio ha sovrapposto e alternato la ratio delle operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti e perché non ha concretamente provato l’eventuale connivenza o consapevolezza della società concessionaria alla asserita frode fiscale posta in essere dal soggetto cedente, non essendo emerse risultanze che potessero autorizzare l’Ufficio a ritenere che la contribuente sapesse o che avrebbe dovuto sapere di partecipare a una eventuale frode fiscale con evasione d’imposta.

Osservazioni

In conclusione, occorre rilevare che con la sentenza n. 1114/2019, i giudici tributari campani hanno annullato totalmente sei avvisi di accertamento e ritenuto, che:

  • non si può condividere la tesi secondo la quale sarebbe ininfluente la discriminazione formale tra operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, perché al contrario è di rilevante importanza ed è ben nota l’evoluzione giurisprudenziale di legittimità venutasi a creare in argomento;
  • spetta all’Amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione dei costi e in detrazione l’Iva pagata su fatture emesse per cd. operazioni soggettivamente inesistenti, provare che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapesse o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente avesse, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode.

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