Ogni lasciata è persa: oltre la prima udienza non è più rilevabile il mancato esperimento della mediazione (Brevi note su Cassazione civile, 13.12.2019, n. 32797)

Redazione 10/02/20
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di Francesca Cuomo Ulloa

Sommario

I. La sentenza della Cassazione e quella (cassata) della Corte D’Appello

II. La prima udienza è il limite invalicabile

III. Il regime di improcedibilità

I. La sentenza della Cassazione e quella (cassata) della Corte D’Appello

Il 2019 si conclude con un nuovo intervento della Cassazione[1] che, dopo aver chiarito, con le sentenze nn. 8473 e 18068 del 2019[2] le modalità per assolvere la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1 bis d. lgs. 28/2010, opportunamente conferma anche il regime per eccepirne il mancato soddisfacimento.

L’intervento della Cassazione era stato sollecitato dalla parte (conduttrice di un contratto di locazione) che, a seguito del rigetto in primo grado della domanda di risarcimento del danno formulata ai sensi dell’art. 3, commi 3 e 5 legge n. 431/1998 aveva proposto appello, all’esito del quale la Corte territoriale di Ancona, con sentenza del 22 agosto 2017 aveva dichiarato l’improcedibilità dell’intero giudizio per non avere la conduttrice stessa a suo tempo soddisfatto la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1 bis del d.lgs. 28/2010. Aveva infatti rilevato il giudice dell’appello – sollevando d’ufficio la questione, non rilevata né eccepita nel precedente grado di giudizio – come parte attrice non avesse partecipato personalmente al primo incontro di mediazione al quale aveva preso parte unicamente il suo avvocato, senza poi ulteriormente coltivare il tentativo. Sul presupposto che tale modalità di partecipazione non fosse idonea a soddisfare l’obbligo previsto dal richiamato art. 5, comma 1 bis e che erroneamente il giudice di primo grado non avesse rilevato l’irritualità dell’incombente, la Corte territoriale aveva quindi dichiarato la nullità dell’intero giudizio ritenendo di non poter altrimenti rimediare al vizio rilevato, né di poter procedere al riesame nel merito, non potendo nemmeno rimettere la causa al primo giudice affinché fosse quest’ultimo ad ordinare la rinnovazione del tentativo di mediazione.

In accoglimento del ricorso proposto dalla parte soccombente sulla base di tre diversi motivi tutti inerenti alla pretesa violazione dell’art. 5, comma 1 bis d. lgs. 28/2010[3], la Suprema Corte cassa quella sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione affinché la controversia venga decisa nel merito. La Cassazione, in effetti, non ritorna più sulla questione della (necessaria) partecipazione personale al tentativo (questione già affrontata nelle pronunce sopra ricordate per la cui soluzione sarebbe stata necessaria la verifica della sussistenza o meno di una procura sostanziale in capo al difensore che aveva sostituito la parte all’incontro di mediazione[4]), ritenendo assorbente la diversa e preliminare questione relativa alla tardività dell’eccezione di improcedibilità. Secondo la Corte, infatti, l’eccezione che non sia stata sollevata dalla parte o rilevata d’ufficio dal giudice entro la prima udienza del giudizio di primo grado, deve ritenersi preclusa e non può pertanto più impedire la pronuncia della decisione di merito.

Viene così disattesa l’interpretazione della Corte d’Appello, secondo cui il mancato apprezzamento della improcedibilità ad opera del giudice di primo grado avrebbe determinato una nullità del procedimento rilevabile d’ufficio dal giudice d’appello ed affermato il diverso principio – già peraltro accolto in altre due precedenti pronunce (con le quali la Cassazione aveva rigettato ricorsi volti ad ottenere, sulla scorta di una eccezione tardivamente formulata, la declaratoria di improcedibilità[5]) per cui l’omesso o intempestivo rilievo dell’eccezione di improcedibilità entro la prima udienza del giudizio di primo grado determina il suo definitivo superamento, in tal senso dovendosi leggere l’indicazione temporale contenuta nell’art. 5, comma 1 bis del d. lgs. 28/2010; ciò che dovrebbe valere, anche se la Corte non lo dice espressamente, sia per l’ipotesi, oggetto della pronuncia in cui il tentativo si sia svolto “irritualmente” sia per quella in cui il tentativo sia stato invece del tutto omesso: non potendo in ogni caso l’improcedibilità essere eccepita o rilevata d’ufficio dopo la chiusura della prima udienza.

[1] Si tratta della sentenza della III Sezione della Cass. 13.12.2019, n. 32797.

[2] V. per un commento per lo più critico a queste sentenze: Ruvolo La Cassazione sulla presenza effettiva delle parti in mediazione e sull effettività del tentativo di conciliazione: considerazioni critiche, in Corr. Giur. 2019, 1535; Lucarelli, La sentenza della Corte di Cassazione 8473/2019: un raro esempio di uroboro, in Judicium.it; Orlandi, La Cassazione n. 8473/2019: una rondine che speriamo non faccia primavera , in Questionegiustizia.it; Capozzoli, Mediazione: la Cassazione interviene sulla condizione di procedibilità: un occasione mancata!, in Altalex.it; Giampaolo, La Cassazione ha abrogato la mediazione giurisprudenziale?, in quotidianogiuridico.it; Cocola-Zaccheo, Cassazione n. 8473/2019: la presenza personale delle parti, modi e forme di rappresentanza, conseguenze processuali e sanzioni per la parte che rifiuta di mediare, in La nuovaproceduracivile.it; Spina, Mediazione obbligatoria: quando la condizione di procedibilità è soddisfatta? La soluzione della Cassazione su rappresentanza ed effettività della mediazione, in Lanuovaproceduracivile.it; v. anche Cuomo Ulloa, Primo incontro di mediazione: la Cassazione risolve il conflitto? Breve commento alla sentenza della Corte di Cassazione, 27 marzo 2019, n. 8473, in questa rivista, 2019.

[3] Con i motivi di ricorso, la ricorrente aveva per un verso criticato la decisione di appello nella parte in cui aveva ritenuto non ritualmente soddisfatta la condizione di procedibilità, denunciando per altro verso la violazione dell’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. n. 28 del 2010, per avere il giudice d’appello per la prima volta rilevato il difetto, senza che né il convenuto né il giudice di primo grado avessero sollevato alcuna eccezione sul punto

[4] Come noto, infatti, con le sentenze nn. 8473 e 18068 sopra citate, la Cassazione ha per un verso riconosciuto alla parte la possibilità di farsi rappresentare in mediazione anche dal proprio avvocato, negando però a tal fine l’idoneità del mandato alle liti, occorrendo, ai fini del valido esperimento del tentativo di mediazione che l’avvocato sia munito di procura speciale sostanziale che non può essere autenticata dall’avvocato stesso; per ulteriori riferimenti v. i commenti indicati alla nota 2.

[5] Si tratta di Cass. 13.11. 2018, n. 29017 che con riferimento al procedimento sommario di cognizione ha ritenuto che il rilievo della improcedibilità della domanda per mancato preventivo esperimento del procedimento di mediazione deve essere eccepito o rilevato d’ufficio – a pena di decadenza, non oltre la prima udienza e se il procedimento si è esaurito in un’unica udienza, non oltre la sua celebrazione; v. anche Cass. 13.4. 2017, n. 9557, in Giur. it, 2017, 7, 1579 con nota di Ricci; Cass. 2.2.2017, n. 2703.

II. La prima udienza è il limite invalicabile

La soluzione risulta nel complesso condivisibile, oltre che in linea con le posizioni espresse dalla dottrina maggioritaria[6].

Il dettato normativo pare, infatti, rappresentare un ostacolo insuperabile rispetto alla diversa soluzione accolta dalla Corte d’Appello di Ancona che, per quanto animata dalla condivisibile esigenza di potenziare (o meglio non depotenziare) il regime di obbligatorietà della mediazione voluto dal d. lgs. 28/2010, si pone in insanabile contrasto con quanto previsto dell’art. 5, comma 1 bis. Consentire – attraverso il meccanismo della nullità – che le questioni relative al mancato o irrituale esperimento della mediazione possano essere rilevate anche per la prima volta in sede d’appello rischierebbe, del resto, di stravolgere il meccanismo della condizione di procedibilità ideato dal legislatore del 2010 che – in coerenza con i principi imposti dall’art. 24 della Cost. ed in linea con la aspirazione a favorire la decisione nel merito – ha voluto che le questioni relative alla mediazione (non diversamente da quelle relative alla competenza) restassero confinate entro la prima udienza per essere in quella sede eventualmente sanate; lasciando poi tanto al giudice di primo grado quanto eventualmente a quello di appello l’ulteriore e diverso potere discrezionale di ordinare, ai sensi del secondo comma dell’art. 5, la cd. mediazione delegata, ogni qualvolta valutata la natura della causa e lo stato dell’istruzione, l’avvio di una mediazione tra le parti possa ritenersi proficuo.

La soluzione si lascia del resto particolarmente apprezzare alla luce della evoluzione interpretativa compiuta dalla Corte con riferimento alla questione della rappresentanza in mediazione: il chiarimento in ordine alla necessità della procura sostanziale (e alla insufficienza del mandato alle liti), avrebbe, infatti, potuto scatenare una molteplicità di eccezioni volte a rilevare tardivamente l’irrituale partecipazione all’incontro di mediazione da parte di avvocati privi di procura sostanziale (circostanza che stando all’esperienza pratica era tutt’altro che rara); eccezioni che dovrebbero invece considerarsi definitivamente precluse se non siano state sollevate entro la prima udienza.

La Corte avrebbe peraltro potuto con l’occasione chiarire anche un ulteriore dubbio che era sorto in dottrina con riferimento alla corretta interpretazione della preclusione indicata nella norma in esame[7]: se cioè il riferimento alla prima udienza, entro la quale l’eccezione di improcedibilità può essere sollevata debba intendersi in senso cronologico e dunque limitato alla sola prima udienza celebrata davanti al giudice o se invece l’eccezione possa essere sollevata anche a seguito di rinvio dell’udienza stessa, fino a che il giudice non abbia esaurito tutti gli adempimenti di cui all’art. 183 e concesso i termini ai sensi del comma 6.

Sembra peraltro preferibile ritenere che, non diversamente da quanto si è affermato con riferimento ad altre incombenze riferite alla prima udienza[8], la soluzione preferibile sia la quest’ultima: anche perché ben potrebbe accadere che all’udienza ex art. 183 vengano sollevate eccezioni pregiudiziali anche rispetto alla mediazione che impongono il rinvio della udienza stessa senza consentire il rilievo e trattazione dell’eccezione relativa all’omesso o irrituale esperimento del tentativo di mediazione, che potrà dunque essere ancora sollevata o rilevata nel prosieguo dell’udienza stessa.

Mentre l’eccezione che non sia stata rilevata entro la fine dell’udienza non potrebbe essere più sollevata con le memorie ex art. 183, comma VI né rilevata dal giudice per la prima volta nell’ordinanza istruttoria.

[6] Cfr. Dalfino, La mediazione civile e commerciale, Torino 2016, p. 280

[7] V. ancora Dalfino, op. cit., p. 280; e Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Torino, 2011, p. 115.

[8] Più in generale sulla polifunzionalità dell’udienza disciplinata dall’art. 183, v. le considerazioni svolte, già all’indomani della sua nuova disciplina da Consolo, Ultimissime dal “fronte legislativo” del 2005: la nuova trattazione delle cause civili, in Corr. Giur., 2006, p. 153

III. Il regime di improcedibilità

Il principio affermato della Cassazione riguarda soltanto l’ipotesi in cui l’eccezione non sia stata sollevata o rilevata entro la prima udienza. Diversamente, nel caso in cui la parte convenuta abbia tempestivamente sollevato l’eccezione (lamentando l’omesso o irrituale esperimento del tentativo), ma questa sia stata disattesa dal giudice (che ad esempio abbia ritenuto la materia del contendere estranea a quelle indicate nell’art. 5, comma 1 bis o ritualmente svolto il tentativo), la questione potrà evidentemente essere riproposta anche in sede di appello. Mi pare tuttavia che, anche alla luce delle indicazioni fornite dalla Cassazione, il vizio non potrebbe comunque comportare la dichiarazione di improcedibilità del giudizio: qualora cioè la Corte d’Appello si convinca della fondatezza dell’eccezione, la conseguenza non dovrebbe comunque essere la dichiarazione di improcedibilità, né potrebbe essere la rimessione al primo giudice (non essendo l’ipotesi contemplata tra quelle indicate nell’art. 354)[9]; più coerente con il sistema essendo la soluzione per cui, accolta l’eccezione il giudice d’appello, ai sensi dell’art. 354 comma 4, potrà disporre il tentativo di mediazione, fissando alle parti un termine per provvedere.

Altra e diversa questione che pure non è stata affrontata dalla cassazione riguarda, infine, il meccanismo di sanatoria previsto dalla norma, il modo cioè attraverso il quale la parte interessata alla prosecuzione del giudizio, può “rimediare” all’originaria omissione del tentativo ovvero al suo eventuale irrituale svolgimento, qualora la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata dalla controparte o rilevata dal giudice; a questo riguardo l’art. 5, comma 1 bis si limita a stabilire che il giudice debba rinviare la prima udienza (senza dunque che si verifichi la sospensione del giudizio[10]), fissando alle parti il termine per procedere al tentativo di mediazione; ciò che potrebbe accadere dopo, tuttavia, la norma non lo dice, potendosi ipotizzare diverse evoluzioni della vicenda processuale: potrà, infatti, innanzitutto accadere che la parte interessata a soddisfare la condizione di procedibilità promuova il tentativo nel termine assegnato, e che questo conduca alla conciliazione della lite: nel qual caso – in assenza di indicazioni normative – è da ritenere che le parti, soddisfatte della mediazione, possano semplicemente abbandonare il giudizio exart. 309 c.p.c. o invece comparire alla successiva udienza chiedendo al giudice di dichiarare la cessazione della materia del contendere.

Potrà poi accadere che il tentativo di mediazione venga esperito, senza che però le parti trovino un accordo: nel qual caso il processo potrà regolarmente proseguire[11] con l’assegnazione dei termini exart. 183, comma VI, c.p.c.; ma potrebbe anche accadere che il tentativo non venga promosso nel termine assegnato o che – se anche promosso – lo stesso si svolga irritualmente (perché ad esempio all’incontro con il mediatore abbiano partecipato solo gli avvocati non muniti di procura sostanziale). In questo caso si deve ritenere che il meccanismo di sanatoria configurato dalla norma non abbia raggiunto il suo scopo e che pertanto la condizione di procedibilità non sia stata soddisfatta. Di conseguenza, il processo non potrà ulteriormente proseguire ed il giudice – ancorché la norma non lo dica espressamente – dovrà anche d’ufficio dichiarare l’improcedibilità, chiudendo il giudizio con una sentenza di rito.

Più incerta risulta infine l’ipotesi in cui il tentativo sia stato avviato ma tardivamente, dopo cioè la scadenza del termine di quindici giorni assegnato dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis e non abbia poi avuto esito positivo (laddove le parti avessero trovato un accordo, la questione sarebbe evidentemente superata): talvolta, infatti, si è ritenuto che l’inutile scadenza del termine comporti l’improcedibilità della domanda, a prescindere dal fatto che il tentativo sia stato successivamente avviato: pur in assenza di una espressa qualificazione del termine come perentorio, tale rigorosa conclusione è stata desunta dalla stessa previsione della improcedibilità che conseguirebbe ex lege alla scadenza del termine, senza che sia possibile procedere ad un’ulteriore sanatoria[12]; per contro, altra parte della giurisprudenza, sul presupposto della natura ordinatoria del termine, ha ritenuto irrilevante la sua scadenza, giudicando soddisfatta la condizione anche in caso di avvio tardivo della mediazione; la soluzione preferibile e maggiormente coerente con l’impianto complessivo della disciplina in esame parrebbe tuttavia quella da ultimo individuata dalla Corte d’Appello di Milano secondo cui, posto che la condizione di procedibilità si considera avverata solo dopo che si sia tenuto il primo incontro davanti al mediatore, la domanda deve essere dichiarata improcedibile solo se il suo mancato effettivo esperimento dipenda dalla colpevole inerzia della parte che abbia presentato la domanda di mediazione ben oltre il termine all’uopo dato dal Giudice in modo tale da non consentire nemmeno la celebrazione del primo incontro. Condivisibile è del resto l’ulteriore considerazione svolta dalla Corte per cui la qualificazione del termine in questione non è decisiva: la dichiarazione d’improcedibilità non postula, infatti, la natura perentoria del termine concesso dal giudice, bensì l’effettivo mancato esperimento della mediazione alla data dell’udienza fissata dal giudice per consentire l’avveramento della condizione di procedibilità, dovendosi ritenere necessario e sufficiente per l’avveramento della condizione stessa, che (almeno) il primo incontro dinanzi al mediatore sia avvenuto entro l’udienza di rinvio[13].

[9] Dalfino, op. cit., p. 282; v. anche Cuomo Ulloa, La nuova mediazione civile, Torino ,2013, p 155. Dal che dovrebbe anche discendere l’ulteriore conseguenza per cui l’appello con il quale si facesse valere unicamente il vizio relativo al mancato accoglimento della “eccezione di mediazione”, senza denunciare l’ingiustizia della decisione dovrebbe considerarsi inammissibile per carenza di interesse (cfr. Cass. 20.8.2018, n. 20799).

[10] Sull’opportunità di tale soluzione che evidentemente esclude anche la necessità di successiva riassunzione v. Minelli, sub art. 5, in Bove (a cura di), La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Padova, 2011, 147 e segg.; Balena, Mediazione obbligatoria e processo, in Giusto Proc. Civ., 2011, 338 e segg.; Lupoi, Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile, in www.judicium.it., 2012, 19 e segg.; Cuomo Ulloa, La nuova mediazione, cit. p. 116 e segg. Per l’ulteriore precisazione per cui il rilievo della mancata instaurazione del procedimento di mediazione determina un mero rinvio dell’udienza, per cui restano validi gli atti compiuti e ferme le preclusioni maturate nel procedimento fino a quel momento, v. Cass. 13.4.2017, cit.

[11] All’udienza rinviata per consentire lo svolgimento della mediazione non sarà ovviamente più possibile compiere le attività per le quali sia maturata una preclusione. Nell’udienza di rinvio sarà invece consentita ad entrambe le parti l’attività di precisazione e modificazione di domande, eccezioni e conclusioni già formulate; così come sarà possibile replicare a domande ed eccezioni nuove o modificate, proporre le eccezioni a queste consequenziali ed indicare i mezzi di prova ed i documenti ad esse relativi.

[12] V. ad es. Giudice di Pace di Nocera inferiore 22.1.2018 in Aula Civile, con nota Pizzigallo, La mediazione attivata oltre i 15 giorni: no al nuovo termine e improcedibilità della domanda.

[13] Corte d’Appello Milano Sez. I, 4.7.2019 Il caso.it, 2019

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