OGGETTO Istanza di interpello – XZ s.r.l. Operazioni di vendita documentate con scontrino fiscale – “Clausola 30 giorni per ripensarci”. Recupero dell’IVA assolta sulle vendite venute meno a seguito del recesso del cliente e restituzione totale del prezzo di vendita ai sensi dell’articolo 12 del DM 23 marzo 1983

Redazione 21/08/13
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Risoluzione 219 del 05.12.03
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TESTO Con istanza d’interpello, presentata in data 1 agosto 2003, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.212, la XZ s.r.l. (di seguito XZ) ha esposto il seguente quesito volto a conoscere l’esatta applicazione dell’articolo 12 del DM 23 marzo 1983. QUESITO Tra le condizioni generali di vendita offerte dalla societa’ XZ alla propria clientela e’ prevista anche la clausola “30 giorni per ripensarci”, in forza della quale la clientela ha diritto a restituire, entro trenta giorni, la merce acquistata (tranne alcune limitate eccezioni), ed a ricevere in contropartita un “buono-acquisto” per merce di pari valore, oppure il rimborso integrale del prezzo pagato. In materia di imposta sul valore aggiunto la restituzione della merce da parte del cliente produce effetti diversi a seconda che l’operazione originaria di compravendita sia stata documentata con l’emissione di fattura ovvero di scontrino fiscale. In particolare, se l’acquisto originario del bene e’ documentato da fattura, la societa’ istante emette una nota di variazione ai sensi dell’articolo 26, secondo comma, del dPR n. 633 del 1972, sia se viene rimborsato integralmente il corrispettivo del bene restituito, sia se viene rilasciato un “buono-acquisto” spendibile per un prodotto sostitutivo. In tale ultima circostanza, al momento dell’utilizzo del “buono-acquisto”, XZ emette fattura per il totale corrispettivo della cessione della nuova merce. Il problema si pone nel caso in cui l’acquisto originario e’ documentato mediante l’emissione di scontrino fiscale in quanto, se il cliente esige il rimborso del prezzo, la societa’ rimane incisa dall’imposta assolta sul bene restituito. Allo stato attuale, infatti, non e’ prevista la possibilita’ di mettere in atto alcun tipo di variazione rilevante ai fini IVA. Tra l’altro il bene restituito viene reinserito nel circuito di vendita con la conseguenza che al momento della cessione viene nuovamente assoggettato ad imposizione. Tanto premesso, la societa’ chiede di conoscere in che modo possa recuperare l’IVA assolta relativamente ad una operazione documentata con scontrino fiscale, nell’ipotesi in cui il cliente receda dal contratto e, restituendo il bene, chieda il rimborso integrale del prezzo. SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE La societa’ istante ritiene che, nel caso sopra prospettato, si origini un diritto di reintegrazione dell’IVA assolta sulle operazioni successivamente rettificate, difficilmente contestabile da parte dell’Amministrazione. L’esercizio del diritto di recesso, cosi’ come previsto dal contratto ed accettato dalle parti, comporta la risoluzione con effetto retroattivo del contratto di vendita stipulato, con la conseguenza che viene meno ai fini IVA, ex tunc, l’operazione imponibile, dando luogo ad un obbligo restitutorio da parte dell’Amministrazione dell’imposta originariamente assolta dal venditore. Pertanto, la societa’, nell’ipotesi di un cliente che si avvale della clausola “30 giorni per ripensarci” e che chiede il rimborso di un prezzo d’acquisto documentato originariamente con scontrino fiscale, chiede di porre in essere la procedura di seguito illustrata. All’atto del ritiro del bene e dello scontrino fiscale la societa’ intende: – aprire una “pratica di reso” (con attribuzione di un numero di identificazione), contenente tutti i dati ed i documenti relativi all’originaria operazione e alla sua risoluzione; – riprendere in carico il bene restituito nella contabilita’ di magazzino (civilistica e fiscale), con una scrittura contenente la causale e l’indicazione del numero identificativo della pratica di reso; – emettere uno scontrino fiscale “negativo” (o equivalente), contenente i dati richiesti dall’articolo 12 del DM 23 marzo 1983, la causale “rimborso per restituzione vendita” (o equivalente) e, inoltre, il numero identificativo della pratica di reso; – registrare lo scontrino fiscale “negativo” (o equivalente) nel registro dei corrispettivi di cui all’articolo 22 del dPR n. 633 del 1972, in diminuzione dei corrispettivi del giorno (soggetti alla medesima aliquota del bene restituito) su cui calcolare l’IVA a debito; – restituire al cliente il prezzo pagato, oppure nel caso di cambio merce, consegnare un “buono-acquisto” (contenente il numero identificativo della pratica), con sottoscrizione in entrambi i casi da parte del cliente stesso di una ricevuta (conservata nella pratica); – conservare la singola pratica di reso fino alla scadenza dei termini previsti per gli accertamenti in materia di imposte dirette ed IVA. Nell’ipotesi di consegna di un “buono-acquisto”, al momento dell’acquisto di un bene in sostituzione la societa’ provvede a: – ritirare il “buono-acquisto” alla cassa (come forma di pagamento del prezzo) per conservarlo agli atti; – emettere un normale scontrino di vendita per documentare l’acquisto sostitutivo, nel quale registrare il prezzo pieno di vendita (senza alcuna riduzione del totale dovuto a titolo di “rimborso per restituzioni di vendita” e, quindi, senza alcuna riduzione dell’imponibile IVA), con conseguente integrale assoggettamento ad IVA della nuova operazione, con aliquota sua propria. La societa’ ritiene che la procedura sopra illustrata sia sufficientemente esaustiva per non generare rischi di evasione d’imposta e, allo stesso tempo, idonea ad essere utilizzata sia nel caso in cui il cliente opti per il rimborso del prezzo del bene restituito, sia nel caso in cui sia consegnato un “buono-acquisto”. PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE L’articolo 11, parte C, numero 1, della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE (c.d. VI Direttiva CEE), dispone che “In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o di riduzione di prezzo dopo che l’operazione e’ stata effettuata, la base imponibile viene debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri”. La direttiva, quindi, rimette ai singoli Stati membri il compito di fissare le condizioni per operare la riduzione della base imponibile in presenza di recesso da una operazione. Il diritto a recuperare l’imposta e’ stato recepito nell’articolo 26, comma secondo, del dPR n. 633 del 1972, ove e’ stato disposto che “se una operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullita’, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili…., il cedente del bene o il prestatore del servizio ha diritto a portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25”. Condizione per poter effettuare la riduzione dell’imponibile e’, quindi, che sia stata emessa fattura e che l’operazione si riferisca ad un negozio giuridico esistente e destinato a produrre effetto tra le parti (cfr risoluzione 4 novembre 1981, n. 370859). I documenti utilizzati per operare la riduzione devono necessariamente correlarsi ai documenti originari e devono documentare: – le generalita’ di entrambi i soggetti coinvolti nell’operazione; – la qualita’ e quantita’ del bene ceduto ovvero il tipo di prestazione resa; – l’ammontare dell’imponibile, dell’imposta e l’aliquota applicata. Pertanto, e’ evidente che nel caso di operazione documentata da scontrino fiscale non e’ possibile ricorrere alle disposizioni di cui all’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972 (cfr nota dell’Ispettorato Compartimentale Tasse e Imposte Indirette sugli affari del 27 marzo 1990; risoluzione 24 ottobre 1990, n. 571646; circolare 17 aprile 2000, n. 77; risoluzione 8 agosto 2000, n. 130). Cio’ in quanto i dati contenuti nella fattura e nella nota di variazione non sono presenti nello scontrino fiscale che, per sua natura e’ destinato a documentare tutte quelle operazioni compiute da soggetti che svolgono attivita’ di commercio al minuto e assimilate, ovvero da quei soggetti che operano in locali aperti al pubblico e che prestano servizi al pubblico con carattere di uniformita’, frequenza e di importo limitato tali da rendere onerosa l’emissione della fattura. La differenza tra operazioni di spesa documentate con scontrino o ricevuta fiscale rispetto a quelle certificate con fattura e’ data, altresi’, dal fatto che, generalmente, le prime costituiscono un costo indeducibile ai fini dei redditi, e la relativa imposta risulta indetraibile ai fini IVA. Per potersi realizzare la deducibilita’ dei costi occorre, infatti, che i menzionati documenti siano integrati con le generalita’ dell’acquirente e con gli elementi attinenti la natura, la qualita’ e la quantita’ dell’operazione (c.d. scontrino parlante o ricevuta fiscale integrata con le generalita’ del cliente). Nel caso prospettato dalla societa’ istante occorre, quindi, fare riferimento alle disposizioni contenute nell’articolo 12 del decreto ministeriale 23 marzo 1983 (cosi’ come sostituito dall’articolo 8 del decreto ministeriale 30 marzo 1992), che, nel dettare le caratteristiche dello scontrino fiscale, prevede tra l’altro che “lo scontrino fiscale deve contenere… omissis… 3.3. eventuali rimborsi per restituzioni di vendite o imballaggi cauzionati”. Al riguardo, con risoluzione del 5 ottobre 2001, n. 154, la scrivente ha chiarito la procedura da seguire nel caso in cui si intende consentire al cliente di sostituire un bene, il cui acquisto e’ stato documentato con scontrino fiscale, con un altro prodotto di uguale o maggior valore, ovvero di sostituirlo con un “buono-acquisto” da spendere in un momento successivo alla restituzione del bene. In entrambi i casi la scrivente ha consentito di sottrarre il prezzo della merce sostituita (documentata o meno con il “buono-acquisto”) dal corrispettivo indicato nello scontrino fiscale emesso per certificare l’acquisto di un nuovo prodotto, annotando detto importo alla voce “rimborsi per restituzione merce venduta”. Ne consegue che il recupero dell’imposta avviene solo al momento dell’effettuazione di una nuova operazione, mediante la riduzione del corrispettivo ad essa relativo. L’annotazione sullo scontrino fiscale puo’ essere eseguita senza alcuna distinzione in base all’imposta, se il cedente registra i corrispettivi seguendo il cosiddetto metodo della “ventilazione” dei corrispettivi (articolo 24, terzo comma, del dPR n. 633 del 1972), atteso che la liquidazione dell’imposta e’ effettuata sulla base della composizione degli acquisti, distinti per aliquote. Di converso, nel caso in cui l’annotazione dei corrispettivi sia eseguita distintamente per aliquote, occorre che l’aliquota relativa al corrispettivo del bene reso sia la medesima di quella relativa al bene acquistato in sostituzione. Per ottemperare a tale adempimento e’ necessario che sul “buono-acquisto” siano indicati sia l’importo da rimborsare sia l’aliquota applicata sul bene restituito. Lo scontrino emesso per l’acquisto della merce oggetto di restituzione, anche in copia fotostatica, ed il “buono-acquisto” utilizzato dal cliente, devono essere conservati a garanzia di eventuali successivi controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria. In alternativa alla procedura sopra illustrata, qualora sia stato consegnato al cliente un “buono-acquisto” da spendere nei futuri acquisti, la scrivente ritiene che all’atto della cessione del nuovo prodotto la societa’ istante abbia facolta’ di emettere due scontrini, il primo “negativo”, di importo pari al “buono-acquisto”, per rettificare il corrispettivo del bene reso, il secondo di importo pari al corrispettivo globale del nuovo bene, per certificarne l’acquisto. La risoluzione n. 154/E del 2001 non contempla, invece, il caso in cui al momento della restituzione del bene il cliente esige il rimborso del prezzo in denaro. Il tal caso la somma rimborsata potrebbe non essere mai spesa per nuovi acquisti. In merito si ritiene che, da quanto evidenziato nell’istanza di interpello, la procedura proposta da XZ offra idonee garanzie in merito alla certezza dell’operazione di reso, atteso che e’ dato individuare tutti quegli elementi che servono a correlare la restituzione del bene ai documenti probanti l’acquisto originario, quali: . le generalita’ del soggetto acquirente; . l’ammontare del prezzo rimborsato, distinto in imponibile ed imposta; . i dati di riferimento del documento certificativo dell’operazione originaria; . il numero di identificazione attribuito alla pratica di reso, che deve essere riportato su ogni documento emesso per certificare il rimborso. A cio’ si aggiunga il supporto offerto dalle scritture ausiliarie di magazzino che consentono, se correttamente tenute, di conoscere la movimentazione fisica del bene reinserito nel circuito di vendita. Ne consegue che sono garantite, seppure in un momento successivo rispetto all’esecuzione dell’operazione originaria, le informazioni di solito desumibili dal contenuto della fattura. Alle condizioni sopra illustrate, la scrivente ritiene che non esistano ostacoli per l’attuazione della procedura di rettifica dell’imposta proposta dall’istante, mediante l’emissione di uno scontrino compilato solo alla voce “rimborsi per restituzione merce venduta” e, quindi, con un “totale dovuto” di segno “negativo”, da annotare nel registro dei corrispettivi in diminuzione dell’imposta dovuta sugli incassi del giorno. Occorre, in ogni caso che sullo scontrino sia indicato il numero identificativo della “pratica di reso”, e che dell’operazione di rettifica resti traccia anche nello scontrino di chiusura giornaliero, relativo al giorno in cui e’ operato il rimborso, in modo da consentire il controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria. In conclusione, il ricorso all’emissione dello scontrino “negativo” all’atto dell’operazione di reso dell’acquisto originario e’ ammesso solo nell’ipotesi di rimborso integrale del prezzo di acquisto.

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