Obbligo del rinvio pregiudiziale: una panoramica

Fabio Cacurri 23/01/23
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La violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale – previsto dell’art. 267 del TFUE per gli organi giurisdizionali di “ultima istanza”-  non è espressamente sanzionata da una disciplina positiva sebbene la sua omessa osservanza possa determinare la responsabilità dello Stato interessato,  il ricorso per inadempimento e la procedura di infrazione da parte della Commissione Europea.

Indice

1. Il diritto UE

La “Comunicazione della Commissione Europea sul miglioramento nel controllo dell’applicazione del diritto comunitario” COM(2002)725 ha individuato, tra le infrazioni che mettono a rischio i fondamenti della Comunità di diritto, proprio le infrazioni che ostacolano il ricorso alla Corte di giustizia per ottenere la pronuncia pregiudiziale[1].
La Corte di Giustizia Europea, già con la sentenza 27.3.1963, cause riunite 28, 29, 30/62, “da Costa”,  8891655783 con una pronuncia comunitaria di “merito” in relazione a criteri e principi interpretativi.

2. Casistica

La nota sentenza Corte di Giustizia Europea 6.10.1982, C-283/81 “Srl CILFIT e Lanificio di Gavardo SpA – Ministero della sanità ha enucleato principi ancora oggi fondamentali in esito all’Ordinanza della Corte di Cassazione italiana 27.3.1981 che aveva chiesto “se il terzo comma dell’art . 177 del Trattato, statuendo che quando una questione del genere di quelle elencate nel primo comma dello stesso articolo è sollevata in un giudizio pendente davanti ad una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte di Giustizia, sancisca un obbligo di rimessione che non consenta al giudice nazionale alcuna delibazione di fondatezza della questione sollevata ovvero subordini, ed in quali limiti, tale obbligo al preventivo riscontro di un ragionevole dubbio interpretativo”.
La sentenza “CILFIT” ha chiarito che  i giudici “di ultima istanza”  «sono tenuti, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essi, ad adempiere il loro obbligo di rinvio, salvo che abbiano constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della  Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi».
La sentenza ha rilevato che l’obbligo – oggi previsto dal 3° comma dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”) ed allora dall’art. 234 TCE-  per le giurisdizioni “di ultima istanza”, viene meno:
a) nel caso in cui la questione sollevata dalle parti sia non pertinente nè rilevante per la decisone del caso;
b) nel caso in cui la questione sollevata sia materialmente identica ad altra già decisa in via giurisprudenziale o, comunque, sia stata oggetto di esame da parte di una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia Europea che abbia risolto il punto di diritto in questioni analoghe, ma non identiche;
c) nel caso di interpretazione chiara, da valutare esclusivamente a cura del  giudice nazionale, il quale,  prima di giungere a conclusione, deve “maturare il convincimento” che la stessa evidenza si imponga anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia.
Invero, la sentenza ha evidenziato che “la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria responsabilità”[2].
Comunque, l’interpretazione della norma comporta anche il raffronto delle varie versioni linguistiche, nonché delle nozioni giuridiche adottate dai vari Stati membri, oltre che la valutazione in ordine alla collocazione ed all’interpretazione sistematica nel contesto di emanazione.
La sentenza “Cilfit” conclude: “Tenuto conto di tutte queste considerazioni, la questione proposta dalla Corte Suprema di Cassazione va cosi risolta: l’art.  177, 3° comma, va interpretato nel senso che una giurisdizione le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno e’ tenuta, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essa, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi; la configurabilità di tale eventualità va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza all’interno della Comunità.” [3]
Conseguentemente, il contenuto e la portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale per il giudice “di ultima istanza”, previsti dal T.F.U.E., vengono ad essere adeguatamente delineati dalle precisazioni giurisprudenziali.
Le conclusioni ed i criteri enucleati dalla suddetta sentenza “Cilfit” rappresentano ancora oggi un punto fermo nel diritto comunitario poiché delineano il contenuto dell’obbligo del rinvio pregiudiziale, come, peraltro, viene ribadito anche nel Parere 2/13 [4] della Corte di Giustizia Europea, che ne ha evidenziato il rilievo  nella “rete strutturata di principi, di norme e di rapporti giuridici mutualmente interdipendenti, che vincolano, in modo reciproco, l’Unione stessa e i suoi Stati membri, nonché, tra di loro, gli Stati membri”.
Al riguardo, giova evidenziare che i criteri enunciati dalla suddetta sentenza “CILIFT” sono stati sanciti dall’art. 99 del Regolamento di Procedura della Corte di Giustizia Europea, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 29.9.2012  L 265/1 e successivamente modificato con l’introduzione dell’art. 159 bis, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del  6.12.2019  L 316/103 .

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3. Orientamenti recenti

La successiva sentenza  della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea  6.10. 2021- causa C-561/2019, Consorzio Italian Management afferma importanti principi in materia di obbligo di rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E..
La vicenda processuale, nella quale la sentenza comunitaria si inserisce, è segnata dalla Ordinanza Consiglio di Stato 22.3.2017 n. 1297[5], che ha disposto un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea, sia di interpretazione sia di validità, ai sensi dell’art. 267 TFUE, in accoglimento della domanda formulata dai ricorrenti, i quali avevano domandato al Consiglio di Stato di rimettere alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE il quesito se fosse “conforme al diritto europeo primario ed alla Direttiva n. 17/2004 l’interpretazione del diritto interno che escluda la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, specie in quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la stessa Direttiva”.
Sulla causa è intervenuta la (prima) sentenza della Corte di Giustizia Europea 19.4.2018, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi SpA c. Rete Ferroviaria Italiana, C-152/17, EU:C:2018:264, che ha affermato, in estrema sintesi, che il diritto dell’Unione Europea non osta all’interpretazione fornita dal diritto interno in materia di appalti.
Il Consiglio di Stato, alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia, ha rigettato gli appelli, ma la parte ricorrente ha chiesto la revocazione della sentenza di rigetto, invocando l’errata applicazione dei principi espressi dalla CGUE ed assumendo che la sentenza della Corte di Giustizia avesse non adeguatamente tenuto conto di alcune peculiarità del caso di specie – al punto che sarebbe “di fatto inutilizzabile per la definizione della vicenda”- ha domandato la rimessione alla Corte di Giustizia di cinque “ulteriori” questioni [6].
Il Consiglio di Stato, dopo aver ritenuto alcune  di queste questioni palesemente infondate – in quanto già risolte dalla suddetta sentenza della Corte di Giustizia del 19.4. 2018 C-152/17- e le restanti  due questioni qualificabili come  “nuove”, con Ordinanza Sezione IV 15.7.2019 n. 4949, ha disposto un secondo rinvio pregiudiziale limitatamente a tali due questioni nuove, richiamando la normativa e giurisprudenza UE in tema di obbligo di rinvio in capo al giudice “di ultima istanza”, per sottoporre alla Corte di Giustizia un preliminare quesito in ordine all’effettiva portata dell’art. 267  TFUE.
In particolare, il Consiglio di Stato ha evidenziato che l’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale non possa essere disgiunta da un regime di “preclusioni processuali”, poiché una proposizione “a catena” di questioni potrebbe determinare il rischio di “abuso del processo” e potrebbe persino rendere evanescente il diritto alla tutela giurisdizionale, anche in violazione del principio di celere definizione del processo[7].
Tale quesito, vertente in relazione alla delimitazione  dell’obbligo di rinvio previsto dall’art. 267 del T.F.U.E. è stato l’oggetto delle conclusioni presentate il 15.4.2021 dall’Avvocato Generale Michal Bobek della Corte di Giustizia Europea, il quale, senza entrare nel merito delle due questioni nuove[8], ha individuato alcuni elementi di criticità, evidenziando l’opportunità di delimitare alcuni criteri elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e, in particolare, dalla sentenza “Cilfit” del 1982.
Invero, conformemente alla richiesta della Corte di Giustizia Europea, le conclusioni dell’Avvocato Generale Bobek [9] sono state incentrate esclusivamente sulle domande di pronuncia pregiudiziale relativa alla prima questione posta dal Consiglio di Stato, precisando che il giudice nazionale “di ultima istanza” – come qualsiasi altro giudice nazionale- oltre allo strumento del rinvio pregiudiziale ha sempre la possibilità di chiedere assistenza alla Corte per interpretare il diritto dell’Unione, qualora lo dovesse ritenere necessario per risolvere una determinata controversia.
Quanto al “nucleo” dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, ha proposto alla Corte di constatare che i giudici nazionali “di ultima istanza” dovrebbero essere tenuti ad effettuare un rinvio pregiudiziale soltanto alla ricorrenza –cumulativa- delle seguenti tre condizioni:
1)la causa solleva una questione generale di interpretazione del diritto dell’Unione;
2)il diritto dell’Unione può essere ragionevolmente interpretato in più modi possibili;
3)l’interpretazione del diritto dell’Unione non può essere dedotta dalla giurisprudenza esistente della Corte né da una singola sentenza della Corte, formulata in modo sufficientemente chiaro.
Pertanto, la mancanza di una sola di queste condizioni esimerebbe il giudice nazionale dall’obbligo di rinvio pregiudiziale.
Inoltre, il giudice di “ultima istanza” dovrebbe essere tenuto a fornire un’adeguata motivazione circa l’insussistenza di uno dei tre requisiti e, nel caso in cui decidesse di effettuare il rinvio pregiudiziale nonostante l’esistenza di una giurisprudenza pertinente, dovrebbe indicare espressamente le ragioni del proprio disaccordo e, preferibilmente, spiegare quale dovrebbe essere, a suo avviso, l’approccio corretto .
In estrema sintesi, l’Avvocato Generale ha precisato che la necessità di superare i criteri della sentenza “Cilift” si giustificherebbe tenendo conto che la mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, 3° comma, TFUE può determinare la responsabilità dello Stato interessato, la proposizione di un ricorso per inadempimento, una procedura di infrazione da parte della Commissione di Europea, oltre che oltre di esso oltre che il rischio di inflazione del contenzioso presso la Corte di Giustizia Europea.
La sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6.10.2021, in causa C-561/2019, Consorzio Italian Management non ha accolto pienamente le conclusioni dell’Avvocato Generale e, anzi, al punto 33, ha richiamato i consolidati criteri della sentenza “Cilfit” del 1982, pur precisando che l’obbligo del rinvio non sussiste in presenza di una giurisprudenza della CGUE riguardante non solo un caso identico, ma anche una o più pronunce relative a situazioni analoghe a quella oggetto del giudizio nazionale ed al punto 39 ha ricordato che il giudice “di ultima istanza” “può altresì astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit, 283/81, , punti 16 e 21, nonché del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito, C-160/14, punto 38)”.
La sentenza comunitaria ribadisce che l’assenza di dubbi sulla corretta interpretazione del diritto UE deve avere connotazioni rigorosamente oggettive ed afferma che il giudice nazionale dovrebbe verificare anche la posizione degli altri interpreti della medesima normativa nei vari  Stati dell’Unione Europea, alla luce delle plurime versioni linguistiche delle norme comunitarie, richiamando l’attenzione sulla opportunità di allargare il dialogo orizzontale tra le Corti Nazionali, al fine di evitare divergenze interpretative in seno ai diversi ordinamenti.
Al punto 44, la sentenza precisa: “Se un giudice nazionale di ultima istanza non può certamente essere tenuto a effettuare, a tal riguardo, un esame di ciascuna delle versioni linguistiche della disposizione dell’Unione di cui trattasi, ciò non toglie che esso deve tener conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate”.[6]
L’onere del giudice nazionale risulta, comunque, delimitato dalla Corte di Giustizia Europea, che, infatti, ha precisato che il confronto con le posizioni degli altri ordinamenti non impone laboriose istruttorie o lunghe indagini, ma solo di valutare dati effettivamente disponibili e di tener conto delle divergenze tra le versioni di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze siano esposte dalle parti e comprovate, verificando anche se possano essere richiamate nozioni autonome regolate dal diritto UE nonché i criteri ermeneutici propri del diritto comunitario.
Soltanto all’esito di tali verifiche, il giudice potrà affermare che non sussistono elementi rilevanti per rimettere una questione sull’interpretazione corretta del diritto dell’Unione e potrà astenersi dal sottoporre alla Corte di Giustizia una questione di interpretazione del diritto UE.
Nella parte finale, la sentenza accenna ad una ulteriore responsabilizzazione, in ordine al ruolo di raccordo con la Corte di giustizia, del giudice nazionale “di ultima istanza”, che ha l’onere di esternare le motivazioni che lo hanno indotto a non sollevare il rinvio pregiudiziale.
In particolare, la Corte di Giustizia Europea ha precisato: “..allorché un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno ritenga, per il fatto di trovarsi in presenza di una delle tre situazioni menzionate al punto 33 della presente sentenza, di essere esonerato dall’obbligo di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte, previsto dall’articolo 267, terzo comma, TFUE, la motivazione della sua decisione deve far emergere o che la questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante ai fini della soluzione della controversia, o che l’interpretazione della disposizione considerata del diritto dell’Unione è fondata sulla giurisprudenza della Corte, o, in mancanza di tale giurisprudenza, che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice nazionale di ultima istanza con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.”
La sentenza CGUE 6.10.2021- causa C-561/2019 conclusivamente afferma : “L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. La configurabilità di siffatta eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione. Tale giudice non può essere esonerato da detto obbligo per il solo motivo che ha già adito la Corte in via pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento nazionale. Tuttavia, esso può astenersi dal sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte per motivi d’irricevibilità inerenti al procedimento dinanzi a detto giudice, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività”.
Pertanto, l’obbligo di motivazione non è soggetto a parametri rigidi e predeterminati, ma è direttamente proporzionato al grado di complessità della questione di diritto dell’Unione sollevata nel giudizio.
Il Consiglio di Stato, con Ordinanza Sez. IV 6.4.2022 n.2545,  evidenzia che i principi elaborati dalla precitata sentenza C.G.U.E 6.10.2021 – causa C-561/19 potrebbero non aver fornito una risposta esaustiva sulle questioni vertenti sull’obbligo di rinvio pregiudiziale in capo al giudice “di ultima istanza”, ai sensi dell’art. 267 TFUE e pone, fra l’altro, quesiti di natura processuale ulteriori rispetto a quelli già sollevati con la propria precedente sentenza non definitiva 14.9.2021 n. 6290.
In particolare, evidenzia la difficoltà, per il Giudice nazionale, di “dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare alle pertinenti disposizioni si affermi soggettivamente, con evidenza, anche presso i giudici nazionali degli altri Stati membri e presso la stessa Corte di giustizia” e di provare “ in maniera circostanziata che la medesima evidenza si imponga anche presso i giudici degli altri Stati membri e la Corte (in questo senso si condivide l’orientamento espresso dal medesimo Consiglio di Stato, successivamente alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, cfr. sez. VI, n. 2066 del 2022, §§ da 28 a 32)” poiché egli “deve far emergere o che la questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante ai fini della soluzione della controversia, o che l’interpretazione della disposizione considerata del diritto dell’Unione è fondata sulla giurisprudenza della Corte, o, in mancanza di tale giurisprudenza, che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice nazionale di ultima istanza con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi” (punto 51).
L’Ordinanza evidenzia le criticità connesse con un’interpretazione strettamente letterale del 3° comma dell’art. 267 TFUE, in assenza di alcun raccordo con il sistema delle “preclusioni processuali” del diritto interno, con il conseguente rischio di incentivare forme di “abuso del processo” come la “lite temeraria” e  comportamenti strumentali a ritardare la conclusione del processo, anche in sede  penale, rilevando che “la proposizione di questioni pregiudiziali in momento successivo a quello “consolidato” dalla proposizione dell’impugnazione, si scontra con un sistema di preclusioni immanente al processo, secondo la disciplina nazionale del medesimo, poiché la proposizione del quesito successiva a tale momento viene ad alterare il thema decidendum che si consolida per il tramite dei motivi di impugnazione (soggetti a termine decadenziale) e di quanto eccepito ed opposto dalle parti evocate in giudizio“.

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Andrea Sirotti Gaudenzi | Maggioli Editore 2021

  1. [1]

    La “Comunicazione della Commissione Europea sul miglioramento nel controllo dell’applicazione del diritto comunitario”, COM(2002)725 precisa  al Punto:  “c) Adire le giurisdizioni nazionali:
    “Qualsiasi cittadino ha la possibilità di adire le giurisdizioni nazionali, chiamate a giudicare in prima istanza in base al diritto comunitario. Questa opportunità potrebbe essere valorizzata maggiormente dalle istituzioni europee e dagli stessi Stati membri, in applicazione del principio di leale cooperazione”.

  2. [2]

    Punto 16 della motivazione della sentenza C.G.C.E. 6.10.1982 C-283/81 Srl Cilfit e a. –  Ministero della Sanità.

  3. [3]

    Punto 21 della motivazione della sentenza C.G.C.E. 6.10.1982 C-283/81, Srl Cilfit e a. –  Ministero della Sanità

  4. [4]

    Parere 2/13 (Accession of the European Union to the ECHR) del 18.12.2014 (Digital Reports) ECLI:EU:C:2014:2454, par. 167.

  5. [5]

    La causa davanti al Consiglio di Stato verteva su un provvedimento dell’AGCM, con il quale era stata accertata un’intesa restrittiva della concorrenza, sulla base di una ritenuta erronea applicazione dei principi espressi dalla CGUE.

  6. [6]

    I ricorrenti hanno sostenuto che la sentenza della Corte di giustizia non avrebbe preso posizione “sul carattere strumentale o meno del servizio di pulizia al servizio di trasporto qualificato come speciale ai sensi del diritto europeo e statale” e che non avrebbe tenuto conto che il rapporto contrattuale si sarebbe svolto senza alcuna proroga. Inoltre hanno evidenziato un “mutamento del quadro normativo europeo e statale”, tale da rendere possibile, se non addirittura auspicabile, la revisione dei prezzi.

  7. [7]

    In particolare, l’Ordinanza Cons. Stato Sez. IV 15.7. 2019 n. 4949 ha domandato se: “ai sensi dell’art. 267 TFUE, il Giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, anche nei casi in cui tale questione gli venga proposta da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea” .

  8. [8]

    Conclusioni dell’Avvocato generale Michal Bobek, presentate il 15.4.2021, in causa C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi c. Rete Ferroviaria Italiana SpA., tratte dal Comunicato Stampa della Corte di Giustizia Europea n. 65 del 15.4.2021.

  9. [9]

    Le conclusioni dell’Avvocato Generale non vincolano la Corte di Giustizia, il cui compito consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato.

  10. [10]

    Marco Lipari: “L’obbligo di rinvio pregiudiziale alla CGUE, dopo la sentenza 6 ottobre 2021, c-561/2019: i criteri cilfit e le preclusioni processuali”– “CILFIT revisited or CILFIT again? Riflessioni a margine della sentenza Consorzio Italian Management, C-561/19, Milano 19 novembre 2021”, pubblicato sulla rivista on line “GIUSTAMM”

Fabio Cacurri

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