Obbligo di comunicazione dell’indirizzo PEC ai fini della notificazione telematica

Redazione 11/06/20
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di Alessio Antonelli*

* Senior Associate dello Studio “Lipani Catricalà & Partners”

Sommario

1. Introduzione

2. Riferimenti normativi

3. La Pubblica Amministrazione quale soggetto obbligato a comunicare la PEC presso cui ricevere comunicazioni e notifiche

4. La recente pronuncia sul tema del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria n. 585/2020

5. Conclusioni

1. Introduzione

La Legge 14 settembre 2011, n. 148 aveva sommariamente disposto che l’Avvocato potesse notificare in proprio gli atti, senza avvalersi dell’ufficiale giudiziario, anche attraverso la PEC ma, come spesso accade quando il Legislatore apporta modifiche a normative esistenti, tale disposizione era carente delle modalità e dei requisiti che tale notifica doveva contenere per cui l’utilizzo di tale strumento, pur se formalmente previsto, nella pratica poneva dubbi e rischi sul fatto che lo stesso fosse a tutti gli effetti esperibile.

La legge 24 dicembre 2012, n. 228 ha apportato ulteriori e significative modifiche alla Legge 21 gennaio 1994, n. 53 descrivendo nei minimi particolari i requisiti ed il procedimento da seguire per procedere alle notifiche con la PEC, subordinando tuttavia l’entrata in vigore delle stesse a seguito della pubblicazione di un Decreto Ministeriale che avrebbe apportato le modifiche all’art. 18 del Decreto Ministeriale 21 febbraio 2011, n. 44 con il quale erano state emanate le nuove regole tecniche del processo telematico.

Il 3 aprile 2013 veniva emanato il Decreto Ministeriale n. 48/2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 maggio 2013.

Tuttavia, come vedremo, il Legislatore non aveva fatto i conti con un problema ancora oggi di grande attualità: era sì stata introdotta la possibilità per gli Avvocati di procedere in proprio alla notifica degli atti tramite PEC, ma non era stato prevista la possibilità che i destinatari di dette notifiche (non Avvocati, ma Pubbliche Amministrazioni) omettessero di comunicare le proprie PEC ai fini dell’inserimento delle stesse nei pubblici elenchi.

2. Riferimenti normativi

L’articolo 3 bis della Legge 21 gennaio 1994, n. 53 prevede che l’Avvocato possa procedere alla notifica in proprio tramite la posta elettronica certificata a condizione che l’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario della notifica medesima risulti da pubblici elenchi.

La medesima norma stabilisce, altresì, che anche l’indirizzo di posta elettronica certificata del mittente risulti da pubblici elenchi.

Ma quali sono i pubblici elenchi previsti dalla legge attraverso i quali l’Avvocato può verificare, prima di procedere alla notifica in proprio, se l’indirizzo PEC del destinatario è, in effetti, in essi presente?

Occorre fare riferimento all’art. 16 ter della Legge 17 dicembre 2012, n. 221[1] di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, così come a sua volta modificato dall’art. 45 bis, comma 2, del Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito con la Legge 11 agosto 2014 n. 114 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 agosto 2014 ed in vigore dal 19 agosto 2014.

Dalla lettura della citata disposizione si evince che, ad oggi, i pubblici elenchi richiamati dall’art. 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53 sono i seguenti:

1) IL DOMICILIO DIGITALE DEL CITTADINO

(previsto dall’art. 4 Legge 17 dicembre 2012, n. 221 di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179).

Tale elenco non è ancora stato istituito ma è ragionevole pensare che includerà tutti gli indirizzi PEC comunicati dai cittadini alla Pubblica Amministrazione.

Tali indirizzi, poi, dovrebbero essere inseriti nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e resi disponibili per la consultazione.

Anche l’ANPR, istituita dall’art. 2 del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 che ha disposto l’accorpamento in un’unica anagrafe del sistema anagrafico precedentemente strutturato in quattro partizioni (Indice nazionale delle anagrafi-INA, anagrafe comunale, AIRE centrale e AIRE comunale), non è ancora di fatto entrata a regime non essendo ancora stati adottati i decreti attuativi previsti dai commi 4 e 6 del citato art. 2 del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179.

2) REGISTRO PP.AA.

Registro contenente gli indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle Amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art 16, comma 12, del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 – consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.

Detto registro non è liberamente consultabile, essendo necessaria l’identificazione c.d. “forte” tramite token crittografico (esempio: smart card, chiavetta USB) contenente un certificato di autenticazione.

E’ possibile consultare l’elenco tramite l’area riservata del Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia.

3) REGISTRO IMPRESE

(previsto dall’articolo 16, comma 6, del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2).

E’ possibile consultare liberamente tale elenco.

4) INDICE NAZIONALE DELLA POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA (INIPEC)

(previsto dall’art. 6-bis del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82).

Altro elenco liberamente consultabile.

La problematica se INIPEC fosse o meno un pubblico elenco valido ai fini delle notifiche a mezzo PEC è (o almeno, sembra essere) stata risolta dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza 15 novembre 2019, n. 29749[2].

5) ReGIndE

Il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), gestito dal Ministero della Giustizia, contiene i dati identificativi nonché l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dei soggetti abilitati esterni, ovverossia:

1) appartenenti ad un ente pubblico

2) professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge

3) ausiliari del Giudice non appartenenti ad un ordine di categoria o che appartengono ad ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato l’albo al Ministero della giustizia (questo non si applica per gli avvocati, il cui specifico ruolo di difensore implica che l’invio dell’albo deve essere sempre fatto dall’Ordine di appartenenza o dall’ente che si difende).

Tale registro non è liberamente consultabile, essendo necessaria l’identificazione c.d. “forte” tramite token crittografico (esempio: smart card, chiavetta USB) contenente un certificato di autenticazione.

È possibile consultare il ReGIndE sia tramite funzionalità disponibili nei Punti di Accesso (PDA) privati sia tramite l’area riservata del Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia.

[1] L’art. 16 ter, rubricato Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni, stabilisce che “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia“.

[2] Secondo detta pronuncia, l’affermazione generica della inattendibilità dell’elenco INI-PEC non è suscettibile di mettere in discussione il principio, enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 23620/2018 per cui, in materia di notificazione al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dall’art. 16 sexies del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221, come modificato dal Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito sempre con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014 n. 114, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6 bis del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGindE, di cui al Decreto Ministeriale 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia.

3. La Pubblica Amministrazione quale soggetto obbligato a comunicare la PEC presso cui ricevere comunicazioni e notifiche

I primi soggetti ad essere stati obbligati alla registrazione di un indirizzo PEC sono le Pubbliche Amministrazioni le quali, a far data dal 29 novembre 2008, hanno l’obbligo di utilizzare una propria PEC per gestire i servizi al cittadino.

Per il tramite della Posta Elettronica Certificata, infatti, è possibile inviare e ricevere messaggi di testo con annessi allegati e firma digitale.

In questo modo ogni cittadino può dialogare con la Pubblica Amministrazione senza doversi recare agli sportelli e senza dover produrre copie di documenti in forma cartacea.

I risvolti economico-sociali sono evidenti: sotto l’aspetto ambientale, si riduce la quantità di carta impiegata con un p>

Ogni Pubblica Amministrazione, in applicazione degli artt. 6 e 47, comma 3 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (c.d. “Codice dell’Amministrazione Digitale“), dopo essersi dotata di una casella PEC e averne istituita una per ogni registro di protocollo, deve darne comunicazione all’Agenzia per l’Italia Digitale (“AgID“), ai sensi dell’art. 16 Legge 28 gennaio 2009 n. 2.

L’indirizzo PEC andrà poi pubblicato nella pagina iniziale del sito web istituzionale della Pubblica Amministrazione così da permettere a ogni cittadino di potersi rivolgere al competente ufficio di interesse.

Grazie all’Indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi (iPA), è possibile conoscere gli indirizzi di posta elettronica delle Pubbliche Amministrazioni attraverso vari criteri di ricerca (categoria, social network).

I suindicati principi, oltre a essere obbligatori sono anche sanzionabili nel caso in cui non vengano applicati.

Il mancato assolvimento degli adempimenti relativi alla PEC, ai sensi del Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, conosciuto anche come “Riforma Brunetta” operante in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, comporta delle conseguenze sotto il profilo del raggiungimento dei risultati per i dirigenti degli uffici preposti.

Avuto riguardo al tema delle notificazioni a mezzo PEC, la norma di riferimento è l’art. 16, comma 12, Decreto Legge 18 ottobre 2012, 179[3], convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221, a norma del quale le Pubbliche Amministrazioni avrebbero dovuto comunicare al Ministero della Giustizia – entro il 30 novembre 2014 – l’indirizzo di posta elettronica certificata presso cui ricevere comunicazioni e notificazioni.

[3] Tale norma stabilisce che: “Al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, comunicano al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, entro il 30 novembre 2014 l’indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile solo dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati“.

4. La recente pronuncia sul tema del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria n. 585/2020

La Camera Amministrativa Distrettuale degli Avvocati delle Province di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia ha proposto ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici ai sensi del Decreto Legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, al fine di ottenere che un’Azienda Ospedaliera di Catanzaro ponesse in essere gli adempimenti necessari, ai sensi dell’art. 16, comma 12, Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221, per la pubblicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni.

Del ricorso è stata data notizia sul sito istituzionale dell’Amministrazione convenuta e la sua pendenza è stata comunicata al Ministro per la Pubblica Amministrazione e al Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione.

Rimasta inerte l’Azienda Ospedaliera di Catanzaro, il ricorso è stato mandato in decisione in data 8 aprile 2020.

In Calabria – a quanto si apprende dal comunicato con cui la Camera Amministrativa Distrettuale degli Avvocati delle Province di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia ha dato notizia della propria vittoria dinnanzi al TAR Calabria – sarebbero pochi gli Enti pubblici che si sono adeguati alla citata normativa, entrata in vigore già 6 anni fa, che è finalizzata a rendere più celeri i procedimenti amministrativi ed i giudizi dinanzi agli organi giurisdizionali.

Il tema, peraltro, era divenuto ancor più saliente nel recente periodo di “quarantena”, in quanto il mancato utilizzo di PEC valide da parte delle Pubbliche Amministrazioni impedisce, di fatto, di operare in regime di “smart working” costringendo gli Avvocati a recarsi presso gli uffici postali per la notifica di atti giudiziari.

La normativa a cui fa riferimento il comunicato stampa è il già citato art. 16, comma 12, Decreto Legge 18 ottobre 2012, 179, convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221, secondo cui “al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, comunicano al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, entro il 30 novembre 2014 l’indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile solo dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati“.

Il Collegio, a fronte del ricorso proposto e dell’accertata assenza del valido indirizzo PEC dell’Azienda Ospedaliera intimata, non ha potuto far altro che dare conto del disposto normativo (che fissava nel 30 novembre 2014 il termine per porre in essere l’adempimento) considerando che “(…) all’amministrazione la legge non lascia alcun margine di discrezionalità e che la comunicazione richiede l’utilizzo di minime risorse amministrative, è evidente che l’Azienda Ospedaliera Mater Domini di Catanzaro è ingiustificatamente inadempiente all’obbligo testé illustrato“.

È di indubbio interesse il capo della pronuncia in cui il Collegio ha ricordato come l’art. 1 del Decreto Legislativo 20 dicembre 2009, n. 198 stabilisca che i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni pubbliche se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento.

Il ricorso può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori lesi.

Premessa, questa, alla quale segue la considerazione che gli Avvocati – in quanto legittimati a consultare l’elenco degli indirizzi PEC per espletare le attività – sono portatori di interessi giuridicamente rilevanti e che l’associazione ricorrente dimostrava di essere preposta alla tutela degli interessi degli Avvocati amministrativi del distretto che comprende l’amministrazione intimata.

Il ricorso è stato dunque accolto e, di conseguenza, l’Amministrazione intimata è stata condannata a provvedere, entro 15 giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza, agli adempimenti necessari, ai sensi dell’art. 16, comma 12, Decreto Legge 18 ottobre 2012, 179, convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221, per la pubblicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni.

5. Conclusioni

Quanti di noi Avvocati si sono trovati a dover effettuare una notifica telematica nei confronti di una Pubblica Amministrazione?

E quante volte, consultati i Pubblici Elenchi, abbiamo constatato con nostro somme stupore che la Pubblica Amministrazione destinataria della nostra notifica non ha provveduto a comunicare il proprio indirizzo PEC presso cui ricevere comunicazioni e notificazioni?

Purtroppo, molte volte.

L’auspicio è che il TAR Calabria, con la pronuncia n. 585/2020 del 15 aprile scorso, abbia finalmente tracciato una linea netta cui si atterranno in futuro tutti i Giudici di merito, siano essi TAR o Tribunali Ordinari, con eventuali condanne esemplari nei confronti di tutte quelle Amministrazioni che, ad oggi, dopo ben 6 anni dalla scadenza del relativo obbligo previsto ex lege, non hanno ancora provveduto a comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata.

Redazione

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