Nullità formali o sostanziali del procedimento esecutivo immobiliare: preminenza della tutela dell’aggiudicatario, anche provvisorio, e stabilità processuale della vendita forzata

Redazione 06/03/19
Scarica PDF Stampa

di Maria Rosaria Manselli*

* Avvocato

Sommario

1. Introduzione

2. Il sistema normativo

3. Coordinamento del sistema delle opposizioni con l’art. 2929 c.c.: l’esigenza della stabilità della vendita forzata rispetto all’interesse alla legalità formale e sostanziale del procedimento – orientamenti dottrinali

4. Casistica giurisprudenziale: preminenza della tutela del terzo e della stabilità della vendita

5. Conclusioni

1. Introduzione

La vendita forzata, in virtù della sua natura e del suo inserimento “in un procedimento giurisdizionale che coinvolge un terzo a questo estraneo”, si caratterizza per un regime di stabilità maggiore rispetto a quello previsto per la comune vendita negoziale. Nel processo espropriativo non è solo necessario contemperare le contrapposte esigenze di creditore e debitore, interessati l’uno a conseguire la realizzazione del proprio credito e l’altro ad ottenere il massimo ricavato dall’alienazione del compendio pignorato, ma è imprescindibile soprattutto salvaguardare gli interessi dei terzi aggiudicatari che abbiano acquistato il bene espropriato, non prendendo parte agli atti anteriori alla vendita. Essa, quindi, si differenzia dal contratto di compravendita, in cui esiste un onere della parte acquirente di verificare, secondo l’ordinaria diligenza, la congruità dell’affare, l’identificazione del bene, il suo reale valore, per poter consapevolmente scegliere se concludere il contratto o meno. Qui invece, il potenziale acquirente si affida all’ufficio giudiziario che sovrintende alla vendita, ed ha ragione di attendersi che esso svolga tutti i controlli necessari per la validità del procedimento, non potendosi l’acquirente ritenere onerato di ripercorrere e controllare, in prima persona, l’attività svolta dall’ufficio per poter essere tutelato in caso che esistano delle nullità procedimentali[1]. Il presente contributo, quindi, prende le mosse da tali principi per affrontare, da un punto di vista dottrinale e giurisprudenziale, alcune incongruità cui si va incontro nel bilanciamento tra l’affidamento e la tutela del terzo e la salvaguardia della ritualità, nella forma e nella sostanza, del processo esecutivo.

1 La Corte ha più volte avuto modo di sottolineare la non assimilabilità della vendita forzata alla vendita volontaria; per tutte, v. Cass. n. 7659 del 2001 che evidenziava che la vendita forzata, attuando un trasferimento coattivo che prescinde dalla volontà del debitore proprietario del bene, non è equiparabile alla vendita volontaria, onde deve ritenersi il carattere eccezionale delle norme codicistiche che, per taluni aspetti, quanto alla disciplina, equiparano i due tipi di vendita.

2. Il sistema normativo

Il legislatore ha, come si diceva, certamente perseguito l’obiettivo di rafforzare la posizione del terzo, svincolando il suo atto di acquisto da quelle vicende del processo alle quali egli è estraneo, vicende che possono riguardare tanto l’an che il quomodo dell’esecuzione. Pertanto, con la previsione dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c.[2], rubricato significativamente “Intangibilità nei confronti dei terzi degli effetti degli atti esecutivi compiuti”, si riconosce un meccanismo processuale di tutela per i terzi che intendono acquistare nell’ambito della vendita giudiziaria. Il legislatore del 2005, in particolare, con la previsione di tale norma, ha compiuto “un nuovo bilanciamento degli interessi, il quale tutela i terzi che sono venuti in contatto con la procedura esecutiva, conferendo loro posizioni giuridiche soggettive meritevoli di protezione”. Tutto ciò ha comportato significative ricadute di carattere pratico e sistematico, seppur in perfetta armonia con un sistema ispirato all’intangibilità della vendita forzata in una logica di protezione dell’aggiudicatario. D’altra parte l’art. 2929 c.c., che mira ad assicurare il massimo grado di certezza alla vicenda traslativa, e a tutelare la posizione del terzo aggiudicatario di buona fede “ponendolo al riparo dall’eventuale accertamento successivo di nullità” concernenti gli atti della procedura esecutiva, è in perfetta coerenza con tale meccanismo[3]. Il nuovo art. 187 bis disp. att. c.p.c., fa esplicito riferimento, inoltre, alla fattispecie dell’aggiudicazione provvisoria che il codice di rito non aveva in precedenza conosciuto, ed a quella dell’assegnazione, statuendo come tali atti rimangano indifferenti finanche alla estinzione del processo esecutivo. Gli atti processuali compiuti, pertanto, mantengono la loro efficacia e l’aggiudicatario, così come l’assegnatario, non perde il diritto ad ottenere il trasferimento del bene: in questo caso, la somma ricavata dalla liquidazione del compendio pignorato è restituita al debitore esecutato. L’intento che ha animato la riforma del 2005, è stato quello di favorire la posizione dell’aggiudicatario al fine di incentivarne la partecipazione alla fase liquidativa dell’espropriazione forzata, migliorando di conseguenza le garanzie di riuscita satisfattiva dell’espropriazione stessa.

2 Introdotto dall’art. 2 comma 4 novies del decreto legge 14 marzo 2005, n.35, convertito, con modifiche, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80

3 L’art. 2929 c.c. è stato ricostruito come una disposizione volta a dirimere “il conflitto di interessi” tra il debitore, che ha subito un danno patrimoniale in conseguenza del compimento di un atto esecutivo formalmente viziato, e l’aggiudicatario, risolvendolo sempre a favore di quest’ultimo, salvo il caso in cui l’anzidetto vizio formale sia il frutto della collusione tra l’acquirente ed il creditore procedente.

3. Coordinamento del sistema delle opposizioni con l’art. 2929 c.c.: l’esigenza della stabilità della vendita forzata rispetto all’interesse alla legalità formale e sostanziale del procedimento – orientamenti dottrinali

L’armonia che si produce analizzando la ratio sottesa all’art. 2929 c.c., e confermata dalla previsione procedurale di cui all’art. 187 bis disp att c.p.c., diventa, però, apparente nelle ipotesi pratiche di sussistenza, accertate, di nullità formali e sostanziali che intaccano il processo esecutivo.

Difatti, la norma di diritto sostanziale sembrerebbe produrre uno “sbarramento” esterno alla proponibilità delle opposizioni, che non potrebbero mai essere utilmente proposte se la vendita sia già intervenuta, producendo una ingiusta obliterazione dei diritti del debitore esecutato.

Occorre precisare, innanzitutto, che deve intendersi per “vendita” non già l’ordinanza di aggiudicazione, ma l’intero sub-procedimento che ha inizio con l’emissione dell’ordinanza di vendita. In tale ultimo momento processuale va correttamente collocato il termine di “sbarramento” previsto dalla citata normativa. È da notare che dottrina e giurisprudenza si sono a lungo divise circa l’applicabilità dell’art. 2929 del codice civile alle sole nullità per vizi “formali”, denunziabili attraverso l’opposizione agli atti esecutivi, ovvero anche a quelle per vizi “sostanziali”, che attengono – ad esempio – alla impignorabilità del bene od allo stesso diritto del creditore procedente ad agire esecutivamente nei confronti del debitore approdando a soluzioni talvolta antitetiche.

La previsione di stabilità della vendita forzata, contenuta nell’art. 2929 c.c., costituisce, secondo una diffusa opinione, una “preclusione”[4] alla possibilità di far valere le irregolarità relative agli atti processuali una volta compiuta la vendita stessa. Tale concezione si è basata sulla valenza prettamente processuale attribuita alla disposizione in esame che comporta il richiamo alla nozione di immutabilità propria dei provvedimenti giurisdizionali cognitivi passati in giudicato. Dallo stesso tenore testuale dell’art. 2929 c.c. si può desumere, tuttavia, come l’intangibilità dell’atto traslativo operi, però, prevalentemente, a favore di colui che si sia reso acquirente. L’inammissibilità della concezione processuale della disposizione in esame ha indotto la dottrina a propendere per una lettura in chiave sostanziale dell’art. 2929 c.c., ponendo al centro della previsione di stabilità l’effetto acquisitivo e non il provvedimento di vendita. La regola di inopponibilità, sancita dall’art. 2929 c.c., è stata ricollegata, pertanto, da altro pensiero, ad un più ampio “principio di affidamento”[5] dell’aggiudicatario: il legislatore, in tal modo, ha voluto attribuire preminente rilievo alla tutela del terzo acquirente facendola prevalere su ogni altra esigenza di protezione di posizioni giuridiche soggettive in potenziale conflitto. La disposizione in esame non derogherebbe, quindi, alla disciplina processuale delle nullità formali: i soggetti della procedura espropriativa potranno esperire l’opposizione agli atti esecutivi, ma l’accertamento dei vizi inficianti gli atti processuali antecedenti la vendita non comporterà tout court il travolgimento dell’acquisto dell’aggiudicatario. In definitiva l’art. 2929 c.c. “non priva di effettività la garanzia di legittimità dell’espropriazione”.

Il rimedio dell’opposizione agli atti potrà essere esperito e svolgersi nonostante l’effetto acquisitivo si sia già verificato in capo all’aggiudicatario, al fine di consentire all’opponente il recupero del ricavato della vendita. Da ultimo e come inciso di chiusura si evidenzia che , in sede di proposizione dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. è possibile l’allegazione della collusione dell’acquirente con il creditore procedente per ottenere, nel caso in cui il rimedio venga accolto, anche la caducazione dell’acquisto dell’aggiudicatario.

La vischiosità di tali concezioni dottrinali, processualistica o di tutela dell’affidamento del terzo, la si rinviene, però, in tutta la sua contraddizione, nel caso in cui le nullità siano, invece, di carattere sostanziale e, quindi, tutelabili con il rimedio di cui all’art. 615 cpc.

Si ponga l’ipotesi in cui, “nella vigenza del regime di sospensione solo per gravi motivi” ai sensi dell’art. 624, primo comma, c.p.c., chiesta e denegata, il trasferimento coattivo si realizzi anteriormente alla conclusione del giudizio instaurato ex art. 615 c.p.c. con cui si contesta il “diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata” o la pignorabilità dei beni espropriati, il problema da risolvere della stabilità della vicenda traslativa a fronte di una esecuzione sostanzialmente ingiusta, diventa allarmante. Il titolo esecutivo rappresenta “la sostanza del diritto a procedere ad esecuzione forzata”[6] e si identifica con la legittimazione del creditore avente diritto ad esercitare gli atti di impulso nei confronti degli organi esecutivi. Il titolo consente di realizzare una mediazione tra l’esigenza di “rendere esclusivamente formale, e pertanto semplificata e rapida, l’attività degli organi”[7] esecutivi e l’esigenza di circoscrivere l’esecuzione nei limiti di ciò che è sostanzialmente lecito. L’opposizione all’esecuzione[8] ex art. 615 c.p.c. è finalizzata ad accertare l’insussistenza della legittimazione del creditore procedente all’aggressione esecutiva. Tale rimedio permette di dare riconoscimento alle esigenze di giustizia del debitore, mediante un processo cognitivo coordinato con quello di esecuzione, e consente di superare quelle “carenze strutturali”[9] che impediscono all’esecutato di esercitare la sua difesa in sede esecutiva. Nel giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. non ha più ragion d’essere l’identificazione tra il titolo esecutivo e la legittimazione del creditore procedente ad ottenere tutela per il tramite degli organi a ciò deputati. Il giudice dell’esecuzione effettuerà, in sede cognitiva, un accertamento di merito in ordine alla qualità creditoria dell’istante. L’insussistenza del diritto di credito, accertata con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., priva l’esecuzione della “necessaria copertura di legittimità”[10] e dimostra come la legittimazione ad agire del soggetto istante sia puramente apparente, svuotando in tal modo di contenuto il titolo esecutivo. L’accertamento negativo, ottenuto in sede cognitiva, rende illegittimi i risultati sostanziali eventualmente realizzatisi mediante il processo esecutivo. La pronuncia di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione finisce, pertanto, col travolgere gli atti processuali compiuti sia anteriormente alla proposizione del rimedio ex art. 615 c.p.c., sia quelli compiuti durante il corso del giudizio di opposizione qualora non sia stato disposto, ai sensi dell’art. 624 c.p.c., il provvedimento sospensivo. Sulla base del sistema così delineato, si è sostenuto che la vendita forzata sia destinata ad essere caducata, qualora sia stata accertata, in sede di opposizione all’esecuzione, l’insussistenza del rapporto obbligatorio vantato dal creditore procedente nei confronti del soggetto sottoposto alla vis esecutiva[11]. Tale interpretazione dottrinale assolutamente minoritaria descrive l’art. 2929 c.c. come una disposizione non suscettibile di essere applicata analogicamente alle ipotesi di nullità sostanziali. Diversamente In tale fattispecie l’attribuzione di certezza all’acquisto del terzo implicherebbe la definitiva privazione contra ius del bene pignorato in pregiudizio del soggetto esecutato. Tale maggior sacrificio imposto al debitore illegittimamente espropriato rappresenterebbe, quindi, un argomento forte che non consentirebbe di estendere analogicamente l’art. 2929 c.c. alla fattispecie in esame. Questa consapevolezza ha indotto altra parte della dottrina a ricercare, quindi, il fondamento della stabilità dell’alienazione coattiva in quelle disposizioni che prevedono l’intangibilità della vendita, sostenendo in particolare l’applicabilità dell’art. 2929 c.c. Si è evidenziato che della norma sostanziale summenzionata non possa essere fornita un’interpretazione restrittiva, in quanto l’art. 2929 c.c. si riferisce genericamente alla categoria delle nullità, non effettuando alcuna distinzione tra le nullità formali che possono essere fatte valere con l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) e le nullità sostanziali che danno luogo all’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)[12].

4 L’accertamento delle irregolarità formali è destinato a determinare conseguenze nei riguardi del creditore procedente in qualità di garante della legalità formale del processo. Qualora l’accertamento dell’invalidità sia effettuato nel momento in cui l’effetto acquisitivo sia stato già realizzato, la caducazione degli atti comporta in capo al creditore procedente la restituzione a favore del debitore della somma ricevuta, nonché il risarcimento dei danni. A. BARLETTA, La stabilità della vendita forzata, 2002, Napoli, 256.

5 E. FAZZALARI, Lezioni di diritto processuale civile, vol. II, cit., 85.

6 A. BARLETTA, ivi, 260.

7 A. BARLETTA, ivi, 257.

8 Particolarmente dibattuta è stata la natura dell’opposizione all’esecuzione. Seconda un prima impostazione con l’opposizione ex art. 615 c.p.c. si propone un’azione di mero accertamento negativo, finalizzata ad appurare la sussistenza o meno dei presupposti e delle condizioni per agire in executivis. Tale orientamento afferma come l’accertamento dell’inesistenza del credito comporti tout court l’eliminazione dell’azione esecutiva. Una diversa posizione sostiene, invece, che il rimedio in esame si configuri come un’azione costitutiva. Le due diverse opinioni affermatesi in dottrina divergono sia per quanto attiene al ruolo attribuito al titolo esecutivo nel processo di esecuzione, sia in ordine all’efficacia retroattiva o ex nunc dell’accoglimento dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. sugli atti del procedimento già realizzati. Entrambe le impostazioni dottrinali non forniscono, tuttavia, un’adeguata soluzione alla problematica del coordinamento tra processo esecutivo ed opposizione ex art. 615 c.p.c.

9 A. BARLETTA, op. cit., 263.

10 A. BARLETTA, ivi, 264.

11 Ibidem: l’Autore sostiene come l’accertamento della carenza del diritto di credito sia destinato a prevalere “dall’esterno sulla verifica formale e semplificata in ordine alla sussistenza e l’entità dei propri poteri, già effettuata da parte degli organi dell’esecuzione in relazione al compimento degli atti”.

12 A. BONSIGNORI, Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione: artt. 2919-2929, ivi, 292: l’Autore sostiene come la distinzione tra nullità formali e sostanziali sia, sotto il profilo dell’applicazione dell’art. 2929 c.c., priva di una qualsiasi “giustificazione logica

4. Casistica giurisprudenziale: preminenza della tutela del terzo e della stabilità della vendita

L’orientamento, ormai monolitico, giurisprudenziale non declina, affatto, il concetto di nullità che intaccano il processo esecutivo, in formali e sostanziali, determinando, quindi, una risoluzione statica delle controversie sempre e comunque a favore della stabilità dell’effetto acquisitivo a favore del terzo.

La gestazione sulla reale portata normativa dell’art. 2929 c.c., ovvero l’interpretazione da dare all’ampiezza della tutela di cui gode l’aggiudicatario in caso di nullità del processo esecutivo e ai suoi limiti, è stata, però, delicata e contrastata. Secondo Cass. 13 novembre 2012 n. 19761 “il terzo che vanti un diritto reale sul bene immobile oggetto di esecuzione forzata può non solo proporre l’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. durante il giudizio di esecuzione, ma può anche, dopo la vendita e l’aggiudicazione, rivendicare il bene nei confronti dell’aggiudicatario“. Nello specifico la Suprema Corte ha stabilito che l’opposizione di terzo di cui all’art. 619 cod. proc. civ. è normalmente volta a sottrarre agli sviluppi dell’esecuzione, prima fra tutti la vendita, uno dei beni che ne sono oggetto, mediante un accertamento, tendenzialmente incidentale e non idoneo al giudicato, della sussistenza del diritto reale sul bene stesso, vantato dall’opponente, terzo estraneo alla procedura esecutiva (richiama anche Cass. 15 dicembre 1980, n. 6497; Cass. 25 maggio 1978, n. 2639). L’opposizione medesima si converte in opposizione sul prezzo, se proposta dopo la vendita, ma pur sempre, a termini dell’art. 620 cod. proc. civ., finchè vi sia un prezzo da distribuire, sia pure al momento della proposizione dell’opposizione (e non rilevando la successiva estinzione della procedura esecutiva: Cass. 8 febbraio 2008, n. 3136). Secondo la Suprema Corte, però, “tale complessivo istituto si attaglia alla perfezione soltanto ai beni mobili – ove non pure, a tutto concedere, ai crediti – in considerazione della disciplina sulla loro circolazione e sulla piena validità di un loro acquisto mediante trasferimento del possesso in buona fede, anche alla stregua della previsione dell’art. 2920 cod. civ.; al contrario, ove i beni staggiti siano immobili ed il terzo vanti su di essi diritti reali, i conflitti tra costui ed i soggetti coinvolti nell’espropriazione non possono essere regolati che dal complessivo sistema generale di pubblicità previsto dall’art. 2643 cod. civ., e segg., a tal fine deputato istituzionalmente“. Pertanto, in caso di opposizione di terzo relativa a beni immobili: a) se proposta tempestivamente rispetto alla vendita, potrà, pienamente essere sussunta entro il paradigma dell’art. 619 cod. proc. civ., e segg., e conseguire anche gli effetti di sospenderla e, successivamente e per il caso di accoglimento, di sottrarre definitivamente il bene alla procedura esecutiva; b) se proposta successivamente al tempo utile per impedire la vendita, altro scopo non potrebbe avere l’opponente che porre nel nulla gli atti di disposizione del bene immobile rivendicato e quindi in modo del tutto legittimo (conforme all’esigenza di tutelare proprio diritto) l’opponente medesimo potrà conseguire l’effetto – ben più ampio rispetto a quello di fare valere i suoi diritti sul prezzo ricavato, normalmente ultima ratio nella procedura mobiliare dopo la vendita o l’assegnazione – di rivendicare, nei confronti proprio dei soggetti della procedura, il proprio diritto reale immobiliare, con vanificazione della disposizione del bene operata nel corso della procedura esecutiva; e potrà scegliere di farlo invocando un accertamento non meramente incidentale[13]. Di contro con altro autorevole intervento, la Suprema Corte, precisamente con sentenza n. 7991/2010, dispone che: l’articolo 2929 c.c. prevede che eventuali nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non hanno effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente (ed aggiunge che gli altri creditori non sono in ogni caso tenuti a restituire quanto, hanno percepito in virtù dell’esecuzione). Ciò comporta che il debitore debba attivarsi per far valere eventuali nullità procedimentali precedenti alla vendita oltre che nel rispetto dei termini fissati dall’art. 617 c.p.c., in ogni caso prima che la vendita stessa abbia luogo, in quanto a vendita intervenuta, a salvaguardia della certezza dei rapporti e per incoraggiare il ricorso allo strumento della esecuzione forzata come mezzo di chiusura per consentire al creditore il recupero del suo credito, nel conflitto di interessi tra l’interesse del debitore alla regolarità della procedura o di un altro soggetto a che alla procedura non sia illegittimamente assoggettato un bene che in tutto o in parte non è dell’esecutato, e dall’altra parte, l’interesse dell’aggiudicatario alla stabilità del suo acquisto, e del creditore a portare definitivamente a termine l’operazione di recupero forzoso del credito, il legislatore ha ritenuto di far prevalere gli interessi dell’aggiudicatario e del creditore. Il principio sotteso a questa scelta è quello, richiamato anche dalla corte d’appello, della tutela del terzo di buona fede, e della tutela dell’affidamento incolpevole, che si somma e converge in questo caso con la miglior tutela della garanzia patrimoniale del creditore e con la tutela della certezza dei rapporti giuridici. Questa norma quindi costituisce uno sbarramento esterno alla proponibilità delle opposizioni agli atti esecutivi exart. 617 c.p.c., che non possono mai utilmente essere proposte se la vendita sia già intervenuta, ed anche rispetto alle altre opposizioni, nel senso che ove proposte quando la vendita sia già intervenuta non possono spiegare se accolte effetto recuperatorio del bene nel patrimonio dell’opponente[14]. Da ultimo le Sezioni Unite con la sentenza n. 21110 del 2012, dovendo, preliminarmente, stabilire se l’inesistenza del titolo esecutivo, accertata all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione, travolgesse o meno l’acquisto dell’immobile pignorato compiuto dal terzo di buona fede nel corso della procedura espropriativa, ha affermato che, anche nel caso estremo che un bene sia stato venduto all’asta, pur in mancanza di un valido titolo esecutivo in capo al creditore, l’acquisto dell’aggiudicatario, per la tutela offerta dall’art. 2929 c.c., vada tenuto fermo. Ne consegue che il panorama giurisprudenziale sinteticamente delineato consente di affermare che in materia di vendita forzata, l’acquisto compiuto dall’aggiudicatario rimane fermo anche in presenza di nullità del procedimento esecutivo, precedenti alla vendita, ma fatte valere successivamente dal debitore esecutato o dal terzo che assume essere stato pregiudicato dall’esecuzione, salvo il caso di collusione tra aggiudicatario e creditore, che presuppone non la semplice mancanza di diligenza dell’acquirente nell’eseguire i controlli precedenti all’acquisto, ma la consapevolezza della nullità e un accordo in danno all’esecutato tra acquirente e creditore”. Chiaramente il debitore esecutato potrà far proprio sempre in questi casi il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo[15].

13 Così conclude la Suprema Corte con la sentenza da ultimo citata: “pienamente ammissibile è l’azione, quand’anche qualificata opposizione ai sensi dell’art. 619 cod. proc. civ., che il terzo estraneo alla procedura esecutiva immobiliare abbia dispiegato, anche in tempo successivo all’aggiudicazione od al decreto di trasferimento, per fare prevalere il proprio diritto reale immobiliare nei confronti del debitore originario, del creditore procedente e degli eventuali aggiudicatari del bene oggetto del suo diritto: atteggiandosi tale azione, benchè non più idonea ad incidere utilmente sul corso della procedura esecutiva, come rivendicazione, con efficacia di giudicato, del bene immobile pignorato ed aggiudicato nei confronti del debitore o degli eventuali aggiudicatari”.

14 Va dichiarata inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi con cui il debitore denunzi un vizio formale verificatosi prima della vendita, qualora sia proposta dopo che la vendita è già stata compiuta, atteso che la disposizione di cui all’art. 2929 cod. civ. dispone che la nullità degli alti esecutivi che hanno preceduto la vendita non ha effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di loro collusione con il creditore procedente, dando, quindi, la predetta norma risalto solo a tale collusione, che presuppone una dolosa preordinazione della condotta dell’acquirente in danno dell’esecutato, e a nulla rilevando, invece, il difetto di diligenza del terzo acquirente”. La scelta legislativa di privilegiare una categoria di soggetti a discapito di un’altra in conseguenza della maggior meritevolezza degli interessi dei quali essi sono normalmente portatori e della coincidenza con essi degli interessi generali ritenuti prevalenti (in particolare, l’interesse a non scoraggiare la fruizione delle vendite in sede esecutiva, per la loro funzione di garanzia recuperatoria dei crediti), non è indiscriminata ma incontra a sua volta un limite, anch’esso normativamente previsto, che è , all’interno dell’art. 2929 c.c., quello della collusione tra l’aggiudicatario e il creditore procedente. E’ questo il punto in cui l’interpretazione della norma data dalla corte d’appello è errata. Essa infatti ha ignorato che l’unico limite alla tutela dell’aggiudicatario è costituito dalla collusione con il creditore procedente per porre invece un non previsto e ben più gravoso onere di diligenza a carico della parte aggiudicataria, introducendo un arbitrario parallelismo tra vendita volontaria e vendita forzosa. Essa in primo luogo svaluta il dato testuale che pur in questo caso è chiarissimo, in quanto l’espressione “collusione con il creditore procedente” presuppone una intesa con il creditore procedente, in danno del debitore, ovvero una dolosa preordinazione della condotta dell’acquirente in danno all’esecutato ed anche una consapevolezza della esistenza di una nullità, in capo sia all’acquirente che al creditore. Solo a fronte di un comportamento non semplicemente mancante di diligenza, e neppure solo contrario a buona fede ma doloso e in accordo con il creditore, viene meno il fondamento della tutela privilegiata accordata all’aggiudicatario dall’art. 2929 c.c.

15 La massima della suddetta sentenza così recita: sopravvenuto accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva non fa venir meno l’acquisto pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente. In tal caso, tuttavia, resta salvo il diritto dell’esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo”. La sentenza delle Sezioni Unite motiva sulla base della esigenza di tutelare la stabilità. dell’acquisto in sede di asta immobiliare, e di non scoraggiare la partecipazione alle aste, la necessità che, nel conflitto tra il proprietario dell’immobile venduto all’asta e l’aggiudicatario, prevalga il diritto dell’aggiudicatario, salvo il caso di sua malafede nel senso di collusione con il creditore e non semplicemente di mancanza di diligenza, ritenendosi che l’aggiudicatario operi in una situazione protetta, in cui legittimamente può presumere che tutti i controlli necessari ai fini della individuazione e della titolarità del bene siano stati fatti esattamente dalla procedura esecutiva. In particolare, a proposito della inesigibilità di una diligenza così stringente comenella sentenza qui impugnata, pretesa dalla corte d’appello in capo all’aggiudicatario, la sentenza n. 21110 del 2012 soggiunge che “sembra francamente eccessivo pretendere da lui (l’aggiudicatario) una diligenza tale da imporgli di indagare sulla sussistenza e validità del titolo esecutivo per il quale si sta procedendo, volta che non sia stata disposta dal giudice la sospensione dell’esecuzione richiesta dall’esecutato o che, magari, nessuna contestazione sia stata neppure ancora sollevata in proposito al momento della vendita”.

5. Conclusioni

La complessiva disamina sin qui svolta consente di affermare che la stabilità della vendita forzata venga, nel nostro ordinamento, garantita non solo a conclusione del perfezionamento della fase liquidativa, ma già dal momento dell’aggiudicazione provvisoria. L’intento del legislatore di assicurare l’intangibilità dell’acquisto effettuato dal terzo, nell’ambito del processo esecutivo, trova, quindi, una conferma decisiva nel combinato disposto degli artt. 2929 c.c. e 187 bis disp. att. c.p.c.

L’alienazione giudiziale comporta un trasferimento per atto tra vivi della proprietà del bene espropriato a favore del terzo acquirente, e gli effetti sostanziali, pertanto, “non sono retrattabili”.

L’ordinamento tutela la posizione sostanziale dell’aggiudicatario sia nell’ipotesi di irregolarità formali inficianti gli atti esecutivi anteriori al provvedimento di vendita sia nell’ipotesi in cui l’alienazione giudiziale abbia avuto luogo nell’ambito di una esecuzione promossa in difetto di un idoneo titolo esecutivo. Il sistema delineato dalle norme sostanziali e processuali consente, pertanto, di evidenziare “l’autonomia”[16] degli effetti della vendita forzata e del diritto acquisito dall’aggiudicatario rispetto alle eventuali vicende processuali che possano incidere sullo svolgimento della procedura esecutiva pregiudicando, in tal modo, la posizione giuridica del terzo.

16 P.FARINA, Caducazione del titolo esecutivo e chiusura anticipata dell’espropriazione: quali effetti nei confronti dei creditori intervenuti e dell’acquirente in vendita forzata?, in Giust.civ. 2010, I, p.2033 ss.; Cass., Sez. III, ord. 20 febbraio 2012, n. 2474, cit., 203607 Cass., S.U., 28 Novembre 2012, n. 21110, in Corr. giur., 2013, 389: nella recente sentenza è stato affermato il seguente principio di diritto: “il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo che sia l’ipotesi di vizi inficianti proprio l’atto di trasferimento e quella in cui ricorra una dimostrata situazione di collusione tra il terzo acquirente e il creditore procedente, in danno dell’esecutato (art. 2929).

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento