Notizie giornalistiche in tema di inquinamento: la prova del danno da patema d’animo

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Quando viene dedotto il danno da turbamento psichico (paterna d’animo per il proprio stato di salute) le dichiarazioni del medico di famiglia, il quale riferisce che la paziente aveva manifestato il timore di potersi ammalare a causa dell’acqua dell’acquedotto, inquinata secondo notizie giornalistiche e mediatiche, rappresentano prove del tutto generiche e non univoche nel senso di un concreto apprezzabile turbamento psichico. Lo ha stabilito la III Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sentenza n. 5758/2022).

La richiesta del danno da patema d’animo per news giornalistiche

Una donna convenne in giudizio innanzi al Giudice di Pace un’Azienda in house chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale, nella misura di Euro 5000,00 o di giustizia, per il patema d’animo determinato dalle notizie giornalistiche o tratte da portali web, diffuse nel 2007, relative all’inquinamento delle falde acquifere di un sito chimico industriale e, quindi, dei pozzi dai quali proveniva l’acqua fornita alle utenze dei residenti nel suo Comune.

La prova del danno da turbamento psichico

Il giudice adito accolse la domanda, condannando la società convenuta al pagamento della somma di Euro 5.000,00. In seguito, il Tribunale accolse l’appello, rigettando la domanda. Per il giudice di seconde cure mancava la prova del dedotto danno da turbamento psichico (paterna d’animo per il proprio stato di salute) in quanto le dichiarazioni del medico di famiglia (l’attrice infatti aveva più volte manifestato il timore di potersi ammalare a causa dell’acqua dell’acquedotto, inquinata secondo notizie giornalistiche e mediatiche, e “si rivolgeva al medico ogni volta che sul corpo vi erano eruzioni cutanee, arrossamenti, ghiandole gonfie o dolori intestinali, dimostrando una grande preoccupazione per la sua salute a causa dell’acqua inquinata”) erano del tutto generiche e non univoche, nel senso di un concreto apprezzabile turbamento psichico e, inoltre, l’appellata aveva omesso di produrre un’indagine specialistica stragiudiziale.

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Il ricorso in sede di legittimità

La donna ricorre alla Corte di Cassazione, denunciando il mancato ricorso del giudice di merito alla prova presuntiva.

La mancanza della prova

Nel rigettare le doglianze formulate dalla donna, il collegio ha evidenziato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della immunità da vizio motivazionale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le risultanze del processo, quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando in tal modo liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. In secondo luogo. la circostanza che avrebbe dovuto essere oggetto di presunzione semplice, secondo la ricorrente, risultava già valutata dal giudice di merito, per averla reputata acquisita al processo sulla base della testimonianza del medico di famiglia, ed è stata ritenuta dal medesimo giudice di merito, sulla base di un giudizio di fatto insindacabile nella presente sede di legittimità, inidonea a fondare la prova del danno evento allegato con l’originaria domanda giudiziale.

 

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Sentenza collegata

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Avv. Biarella Laura

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