Note in materia di trust liquidatorio

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La fase di liquidazione di una società di capitali risulta essere un momento estremamente delicato nella realtà operativa di un organismo societario.

In particolare, sono diversi gli elementi che possono portare la società a ritenere opportuno che la conclusione del procedimento di liquidazione sia la più rapida possibile. Basti pensare, tra gli altri, ai rilevanti costi fissi, ad esempio per adempiere alle pratiche di ordinaria amministrazione, che la società in liquidazione deve sostenere.

Una delle possibili soluzioni che nel tempo hanno trovato applicazione per far fronte alle diverse esigenze del caso è il c.d. trust liquidatorio.

Sul punto, si ritiene significativo richiamare una recente pronuncia del Tribunale di Milano, la quale, con un deciso arresto in materia, ha ritenuto improprio il ricorso a tale strumento.

Ed infatti, il Tribunale di Milano ha stabilito il principio secondo cui l’iscrizione della cancellazione della società, ottenuta in seguito al deposito di un bilancio finale di liquidazione che riporti tutte le poste contabili a zero, in seguito al conferimento dell’intero patrimonio a un trust liquidatorio, debba essere a sua volta cancellata in base all’art. 2191 c.c. (Tribunale di Milano del 22 novembre 2013 in www.giurisprudenzadelleimprese.it). Tale orientamento evidenzia, in particolare, che l’azzeramento formale dell’attivo e del passivo non è sufficiente a ottenere l’iscrizione del (deposito del) bilancio finale (G. VANZELLI, Conservatore del Registro delle Imprese di Milano, L’iscrizione nel registro delle imprese del deposito del bilancio finale di liquidazione, Milano, 28 dicembre 2015).

Per la particolare rilevanza, si riporta di seguito un breve stralcio della pronuncia del Tribunale in commento: il procedimento di liquidazione e di cancellazione dal registro delle imprese di una società di capitali deve svolgersi secondo i seguenti passaggi, «il compimento del procedimento liquidatorio, consistente nella realizzazione dell’attivo patrimoniale della società a fini del soddisfacimento dei creditori di questa e dell’eventuale restituzione per equivalente ai soci -postergati ex lege ai creditori – dei conferimenti da essi eseguiti; la susseguente redazione, sottoposizione ai soci e deposito nel registro delle imprese, di un bilancio finale di liquidazione che documenti le attività svolte e indichi la parte eventualmente spettante a ciascun socio o azione nella divisione dell’attivo (ai fini della loro limitata responsabilità nei confronti dei creditori insoddisfatti ex art. 2495 cpv. cod. civ.); l’approvazione espressa o tacita del bilancio finale di liquidazione stesso, e la finale richiesta di cancellazione della società dal registro ad opera dei liquidatori […] la cancellazione con il suo effetto estintivo è [infatti] la conclusione di una fattispecie a formazione progressiva la quale, per realizzarsi, non può prescindere da alcuno dei suoi elementi costitutivi come delineati nel tipo legale sopra indicato [il liquidatore della DPI, invece] ha depositato e sottoposto ai soci un bilancio finale di liquidazione nel quale ha dato espressamente atto: 1. che l’intero attivo patrimoniale era stato affidato ad un trustee mediante apposito negozio di trust, 2. che nessuna sua posta era stata a quella data liquidata, 3. e che nessun creditore era stato sempre a quella data soddisfatto, 4. costituendo tale futura liquidazione dell’attivo ed estinzione del passivo per l’appunto lo scopo del trust liquidatorio posto in essere e della segregazione mediante tale strumento negoziale dell’intero ed intatto patrimonio della DPI; che con ciò stesso pare al Collegio evidente, nonostante la dichiarata volontà del liquidatore e dei soci (con l’avallo dei sindaci) di assolvere per tale via all’obbligo di ottemperare al procedimento liquidatorio e di considerare pertanto quello approvato il 25/7/2008 quale bilancio finale della liquidazione stessa, che di tale procedimento e documento contabile quelli redatti e posti in essere dal liquidatore e dai soci hanno avuto il mero nomen iuris ma non il contenuto legale tipico, realizzandosi così in realtà la dilazione a data futura ed incerta della liquidazione in senso proprio, la quale pertanto a detta data doveva ritenersi non solo non compiuta ma neppure iniziata».

Per comprendere fino in fondo le motivazioni che hanno portato il giudice di merito a tracciare tale conclusione, è di centrale importanza specificare quale sia la ratio sottesa al procedimento di liquidazione ed alla successiva cancellazione della società dal competente registro delle imprese.

La liquidazione può correttamente intendersi come il procedimento volto a trasformare in denaro gli asset di una società o comunque a provvedere ad una loro certa assegnazione ai soci.

Alla liquidazione, necessario presupposto, segue la cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2495 c.c.).

La procedura di liquidazione, e la successiva cancellazione della società dal competente registro delle imprese, sono dunque i momenti ultimi nei quali la società, da un lato, con la redazione del bilancio finale di liquidazione, definisce compiutamente i propri debiti e crediti, dall’altro, con la cancellazione dal registro delle imprese, perde la propria capacità e legittimazione sostanziale e processuale indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo (Cassazione Sezioni Unite. n. 4060 del 22 febbraio 2010).

In particolare, la liquidazione dovrebbe portare alla completa definizione dei rapporti attivi e passivi della società in modo tale che questi siano certi. La procedura di liquidazione non parrebbe dirsi completata qualora, invece, tale definizione sia rinviata ad una data futura ed incerta.

Se non viene correttamente completata la procedura di liquidazione, paiono dunque porsi non pochi ostacoli alla definizione di un compiuto bilancio di liquidazione ed alla successiva cancellazione della società dal competente registro delle imprese.

Ebbene, il Tribunale di Milano pare aver fatto rigorosa applicazione dei principi enunciati considerando il trust liquidatorio come elusivo della normativa in materia ed inidoneo a permettere il deposito di un bilancio di liquidazione il quale non darebbe atto, in realtà, dell’avvenuta liquidazione degli asset di una società ma, piuttosto, si limiterebbe a disporre che la liquidazione degli stessi sia di fatto meramente rinviata.

Nella medesima ottica, volta al rigoroso rispetto delle norme e delle procedure in tema di liquidazione, in particolare a seguito della modifica apportata all’articolo 2495 c.c. dalla normativa di riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), può essere letta la pronuncia della Corte di Cassazione n. 6743 del 2 aprile 2015, la quale ha di recente confermato quanto già statuito dalle Sezioni Unite n. 6070 del 12 marzo 2013 ribadendo che: «i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo».

Alla società titolare di una mera pretesa, si pensi ad esempio ad un credito risarcitorio contestato, viene dunque lasciata una netta scelta: (i) completare la procedura di liquidazione della pretesa e caratterizzare la stessa con elementi di certezza, oppure (ii) interrompere la procedura di liquidazione della pretesa con la conseguenza per cui, in tale secondo caso, la stessa deve intendersi rinunciata a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo e senza che possa essere individuato alcun soggetto in grado di succedere alla società in merito.

Con puntuale riferimento al trust liquidatorio, peraltro, si ritiene inoltre significativo richiamare un recente arresto della giurisprudenza di legittimità nel quale è stato rilevato che, in presenza di un preesistente stato di insolvenza, il trust non deve considerarsi riconoscibile nell’ordinamento italiano: «l’ordinamento italiano non può accordare tutela al trust se la causa concreta sia quella di segregare tutti i beni dell’impresa a scapito di forme pubblicistiche quale il fallimento. In tali casi, ai sensi dell’art. 15 della convenzione Aja del 1° luglio 1985, il trust liquidatorio non può essere riconosciuto nell’ordinamento italiano e, anzi, il conflitto con la disciplina inderogabile concorsuale ne determina la inesistenza giuridica nel diritto interno» (Cassazione n. 10105 del 9 maggio 2014).

Nella medesima pronuncia, peraltro, paiono tuttavia intravedersi alcune possibili aperture, a differenza del citato orientamento del Tribunale di Milano, volte a riconoscere la legittimità di un trust liquidatorio per le società in bonis.

In considerazione di quanto sopra, pare dunque potersi affermare che il rispetto della formale procedura di liquidazione non possa essere oggetto di ampie deroghe ad opera delle parti e comunque, le stesse, qualora poste in essere, dovrebbero essere considerate con estrema prudenza, con l’ulteriore precisazione per cui la normativa vigente in materia deve essere sempre letta in un’ottica di natura sostanziale e non meramente formale.

In definitiva, sebbene la pronuncia del Tribunale di Milano in commento porti alla restrizione delle opzioni operative che si prospettano ad una società in liquidazione, la stessa, dall’altro lato, è indubbio presenti tangibili vantaggi dal punto di vista della certezza dei rapporti apparendo incline a favorire la completa definizione degli elementi attivi e passivi che fanno capo ad un determinato organismo societario ed anche, conseguentemente, a garantire massimamente la posizione dei soggetti terzi che hanno intrattenuto rapporti con la società.

Botti Alessandro

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