Contrasto alla diffusione di materiali terroristici online: le novità

Scarica PDF Stampa

Una prima lettura dei limiti e dei rischio per i diritti costituzionale in relazione alle nuove norme previste per il contrasto alla diffusione di materiali terroristici sulla rete (d. lgs. 107/2023).

Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume: Le riforme della giustizia penale

Indice

1. Premessa

Il D.Lgs. 24 luglio 2023, n. 107 introduce nuove disposizioni per il contrasto alla diffusione on line di “contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica”. Se è vero che lo strumento richiesto per il contrasto ai fenomeni di terrorismo internazionale – specie nella forma della diffusione di materiali di propaganda, ovvero contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica – è di tipo amministrativo, poco si presta la dinamica amministrativa a sostituire la materia penale, con l’intero impianto di garanzie, pesi e contrappesi e controlli che lo stesso implica. L’articolo 2 punto 7) del Regolamento detta una descrizione dei «contenuti terroristici» particolarmente ampia, prevedendo che vi rientri un insieme di «materiali» descrittivamente troppo eterogenei per essere compatibili con il principio di determinatezza e quindi di certezza del diritto. La determinazione della valutazione dei “contenuti” – in un sistema di garanzie costituzionali forti come quella dell’articolo 21 della Costituzione – mal si presta ad una valutazione meramente tecnica di un organo ministeriale (quindi politico) nel combinato con il Pubblico Ministero, che nell’impartire un ordine di rimozione agisce ex ante rispetto ad un giudizio penale corredato da tutte le garanzie di cui alla relativa procedura. Se poi “contiamo” il numero di soggetti che di fatto si sovrappongono nella gestione della norma più che una estensione delle garanzie, si intravede una restrizione delle stesse, attraverso un meccanismo che anche sotto il profilo delle procedure limita la certezza del diritto e la libertà di difesa.

2. Contesto del d.lgs. 107/2023

Il D.Lgs. 24 luglio 2023, n. 107 pubblicato nella G.U. n. 187 dell’8 agosto 2023 introduce nuove disposizioni per il contrasto alla diffusione on line di “contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica”.
Tale intervento normativo introduce un adeguamento dell’ordinamento interno alle disposizioni contenute nel Regolamento (UE) 2021/784 sul contrasto della diffusione di contenuti terroristici on-line.
L’attività di prevenzione e repressione del terrorismo, soprattutto, internazionale sconta difficoltà ed articolazioni simili a quelle già affrontate in materia di contrasto alla criminalità organizzata: la dematerializzazione delle condotte illecite, le amplissime opportunità offerte dalla rete che favoriscono fenomeni di penetrazione e diffusione.
Attraverso la rete, nelle sue molteplici articolazioni (dalle più diffuse e semplici alle più sofisticate come le reti chiuse e crittate) si realizzano scambi di utilità e di informazioni rispetto alle quali le autorità non dispongono sempre di adeguati mezzi tecnologici.
E questo grazie al fatto che le organizzazioni criminali sempre più allargano il raggio delle competenze di cui si servono, oltre i classici colletti bianchi, anche e soprattutto a tecnici informatici e delle telecomunicazioni.
Il decreto in commento trae origine dalla delega di cui all’art. 15 della L. 4 agosto 2022, n. 127 («Legge di delegazione europea 2021») con cui erano stati definiti i principi e i criteri direttivi per l’esercizio dell’attività legislativa di Governo.
Il primo strumento di contrasto è rappresentato dall’emissione degli ordini di rimozione (o.d.r.) in conformità di quanto imposto agli Stati membri dall’articolo 12, paragrafo 1, lettere a) e b), del Regolamento (UE) 2021/784.
La disciplina della materia si può così sintetizzare:
a) l’autorità competente di ogni Stato membro ha facoltà di emettere un ordine di rimozione imponendo ai prestatori di servizi di rimuovere contenuti terroristici o di disabilitare l’accesso a contenuti terroristici in tutti gli Stati membri; per dare modo al prestatore di servizi di hosting di attivarsi tempestivamente prima dell’adozione dell’o.d.r. è previsto che tale autorità dia informazioni sulle procedure e sui termini applicabili almeno 12 ore prima;
b) i prestatori di servizi di hosting rimuovono i contenuti terroristici o disabilitano l’accesso ai contenuti terroristici in tutti gli Stati membri il prima possibile e in ogni caso entro un’ora dal ricevimento dell’ordine di rimozione.
Una volta emesso l’o.d.r. il prestatore di servizi di hosting è tenuto a informare immediatamente l’autorità competente circa la rimozione dei contenuti terroristici o della disabilitazione dell’accesso ai contenuti terroristici in tutti gli Stati membri, indicando, in particolare, la data e l’ora della rimozione o disabilitazione; parimenti procede allorquando «per cause di forza maggiore o di impossibilità di fatto a lui non imputabile, compreso per motivi tecnici o operativi obiettivamente giustificabili» non possa dare esecuzione all’ordine.
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume:

FORMATO CARTACEO

Le Riforme della Giustizia penale

In questa stagione breve ma normativamente intensa sono state adottate diverse novità in materia di diritto e procedura penale. Non si è trattato di una riforma organica, come è stata, ad esempio, la riforma Cartabia, ma di un insieme di interventi che hanno interessato vari ambiti della disciplina penalistica, sia sostanziale, che procedurale.Obiettivo del presente volume è pertanto raccogliere e analizzare in un quadro unitario le diverse novità normative, dal decreto c.d. antirave alla legge per il contrasto della violenza sulle donne, passando in rassegna anche le prime valutazioni formulate dalla dottrina al fine di offrire una guida utile ai professionisti che si trovano ad affrontare le diverse problematiche in un quadro profondamente modificato.Completano la trattazione utili tabelle riepilogative per una più rapida consultazione delle novità.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB), giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2024

3. L’interpretazione sul “contenuto a fine di terrorismo”

Il primo punto critico è l’articolo 3 che specifica che l’o.d.r. possa essere adottato «quando i contenuti terroristici di cui all’articolo 2, punto 7) del regolamento sono riconducibili a un delitto con finalità di terrorismo» con una clausola di doppio rinvio alla normativa regolamentare e alla legge penale nazionale che non è di così agevole applicazione.
Innanzitutto, il citato articolo 2 punto 7) del Regolamento detta una descrizione dei «contenuti terroristici» particolarmente ampia, prevedendo che vi rientrino quei «materiali» che:
a) istigano alla commissione di uno dei reati di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541, se tali materiali, direttamente o indirettamente, ad esempio mediante l’apologia di atti terroristici, incitano a compiere reati di terrorismo, generando in tal modo il pericolo che uno o più di tali reati siano commessi;
b) sollecitano una persona o un gruppo di persone a commettere o a contribuire a commettere uno dei reati di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541;
c) sollecitano una persona o un gruppo di persone a partecipare alle attività di un gruppo terroristico, ai sensi dell’articolo 4, lettera b), della direttiva (UE) 2017/541;
d) impartiscano istruzioni per la fabbricazione o l’uso di esplosivi, armi da fuoco o altre armi o sostanze nocive o pericolose, ovvero altri metodi o tecniche specifici allo scopo di commettere o contribuire alla commissione di uno dei reati di terrorismo di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541;
e) costituiscano una minaccia di commissione di uno dei reati di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541
Mentre per alcune fattispecie (v. lettera a ovvero d) la legislazione nazionale prevede espressamente una ipotesi di reato, la nozione di «minaccia di commissione» (lettera e) rinvia a qualcosa di molto meno degli atti preparatori ex art. 56 c.p. e si colloca in un perimetro di estrema imprecisione e ampiezza.
Se per altri Paesi la questione può assumere un rilievo neutro, la circostanza che in Italia sia coinvolta l’autorità giudiziaria nell’applicazione di categoria di tale ampiezza, ai limiti dei poteri di sicurezza pubblica pone problemi non secondari né trascurabili.
La riserva di giurisdizione opera, infatti, anche quale limite esterno all’attribuzione al potere giudiziario di poteri “eccentrici o estranei” al suo controllo che rischiano di coinvolgerlo in compiti di sicurezza che non le competono.

4. La competenza dell’o.d.r.

L’articolo 3 del D.Lgs. n. 107/2023 prevede che competente all’emissione dell’o.d.r. sia il «pubblico ministero competente in base alle disposizioni del codice di procedura penale» ovvero del luogo di commissione delle condotte illecite previste dall’articolo 2 del Regolamento.
Il comma 3 rafforza e codifica i poteri di coordinamento del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo stabilendo che l’ufficio distrettuale debba “informarlo immediatamente della notizia acquisita” sui citati materiali e, al comma 7, che analoga informazione debba trasmettere prima di adottare i decreti indicati ai commi 5 e 6.
Non è chiaro, e la soluzione dovrebbe essere orientata ad un principio di netta separazione dei poteri, se il PM «ai fini della emissione dell’ordine di rimozione» debba o possa acquisire «ogni necessario elemento informativo e valutativo, anche presso il C.A.S.A.» ossia il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, costituito presso il ministero dell’Interno.
Se il protocollo debba intendersi come obbligatorio, si sarebbe in presenza di un significativo vulnus all’autonomia del pubblico ministero, con il rischio di subordinare le decisioni alla valutazione di un organo tecnico della prevenzione e sicurezza di matrice governativa.
L’elasticità e l’indeterminatezza delle condotte indicate dall’articolo 3 del Regolamento impone adeguate forme di tutela per il rischio che si finiscano con il colpire aree di dissenso sociale e politico. Ciò anche quando queste aree presentino elementi di contiguità con fatti violenti e nondimeno se ne distinguono in maniera identificabile.
Il comma 9 prevede che «i prestatori di servizi di hosting che hanno ricevuto l’ordine di rimozione e i fornitori dei contenuti che, in conseguenza dell’ordine, sono stati rimossi o resi inaccessibili, nei dieci giorni successivi alla conoscenza del provvedimento, possono presentare opposizione innanzi al giudice per le indagini preliminari, che provvede con ordinanza in camera di consiglio a norma dell’articolo 127 c.p.p.
L’articolo 5, paragrafo 4, del Regolamento prevede che un prestatore di servizi di hosting è esposto a contenuti terroristici se l’autorità competente dello Stato membro in cui ha lo stabilimento principale o in cui il suo rappresentante legale risiede o è stabilito:
a) ha adottato una decisione basata su fattori oggettivi, come il ricevimento da parte del prestatore di servizi di hosting di due o più ordini di rimozione definitivi nei 12 mesi precedenti, che ha stabilito che il prestatore di servizi di hosting è esposto a contenuti terroristici;
b) ha notificato la decisione di cui alla lettera a) al prestatore di servizi di hosting.
L’articolo 5 del D.Lgs. n. 107/2023 dispone che sia l’Organo del Ministero dell’interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione l’autorità competente a emettere questa decisione, a sorvegliare l’attuazione delle misure specifiche adottate dai prestatori di servizi di hosting esposti a contenuti terroristici e a emettere le ulteriori decisioni di cui ai paragrafi 6 e 7 del medesimo articolo 5 del Regolamento.
In concreto se, sulla base delle relazioni di cui al paragrafo 5 e, se del caso, di altri fattori oggettivi, l’autorità competente ritiene che le misure specifiche adottate non soddisfino le prescrizioni imposte, l’autorità competente indirizza al prestatore di servizi di hosting una decisione che gli impone di adottare le misure necessarie, affidando al solo prestatore di servizi di hosting la scelta circa la tipologia di misure specifiche da adottare.
Ogni decisione assunta dal citato Organo del Ministero dell’interno possono essere impugnate dal prestatore di servizi di hosting innanzi al competente tribunale amministrativo regionale entro sessanta giorni dalla notifica.

5. La competenza sulle sanzioni (amministrative e penali)

La competenza a irrogare queste sanzioni spetta agli Ispettorati territoriali della competente Direzione Generale del Ministero delle imprese e del made in Italy, a seguito delle comunicazioni da parte dell’organo del Ministero dell’interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione.
Nella graduazione della sanzione l’Ispettorato si attiene ai parametri di cui al comma 5 del citato articolo 6 del decreto 107/2023.
In aggiunta, l’articolo 7 disciplina il regime sanzionatorio penale.
La natura contravvenzionale dei reati specificamente approntati dal decreto muove dalla consueta clausola di salvaguardia per cui “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 100.000 a 400.000 euro il prestatore di servizi di hosting che:
a) in violazione dell’articolo 15, paragrafo 1, del Regolamento (secondo cui «ciascun prestatore di servizi di hosting designa o istituisce un punto di contatto per la ricezione degli ordini di rimozione per via elettronica e per il rapido trattamento ai sensi degli articoli 3 e 4. Il prestatore di servizi di hosting provvede affinché le informazioni relative al punto di contatto siano disponibili al pubblico»). omette di designare o istituire un punto di contatto per la ricezione degli ordini di rimozione in via telematica e per l’immediata esecuzione dei medesimi ai sensi degli articoli 3 e 4 del regolamento, oppure omette di rendere disponibili al pubblico le informazioni relative al punto di contatto designato o istituito;
b) non avendo lo stabilimento principale nell’Unione europea, omette di designare, per iscritto, una persona fisica o giuridica quale suo rappresentante legale nell’Unione ai fini del ricevimento, dell’attuazione e dell’esecuzione degli ordini di rimozione e delle decisioni emesse dalle autorità competenti, oppure designa un rappresentante legale che non risiede o non è stabilito in uno degli Stati membri in cui il prestatore di servizi di hosting offre i propri servizi, oppure omette di conferire al rappresentante legale i poteri e le risorse necessari per ottemperare agli ordini di esecuzione e per cooperare con le autorità competenti. È del tutto evidente il valore meramente simbolico della disposizione che muove dalla sostanziale irrintracciabilità del prestatore.
Mentre sono puniti con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da 100.000 a 400.000 euro il prestatore di servizi di hosting e il rappresentante legale designato ai sensi dell’articolo 17 del regolamento i quali:
a) omettono di rimuovere i contenuti terroristici entro un’ora dal ricevimento dell’ordine di rimozione o di disabilitare l’accesso ad essi entro il medesimo termine;
b) nel caso di cui all’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento, forniscono informazioni riguardanti la rimozione o la disabilitazione dell’accesso a contenuti terroristici;
c) nel caso di cui all’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento, non informano immediatamente della presenza dei contenuti terroristici l’autorità giudiziaria o altra autorità che a quella abbia l’obbligo di riferire.
Il comma 3 dell’articolo 7, infine, dispone che quando l’omissione di cui al comma 2, lettera a), è «sistematica o persistente», il prestatore di servizi di hosting e il rappresentante legale di cui all’articolo 17 del regolamento siano puniti con l’arresto fino a un anno e con l’ammenda da euro 250.000 sino ad euro 1.000.000 o, laddove superiore, sino ad un importo pari al 4 per cento del fatturato realizzato a livello mondiale dal prestatore di servizi di hosting nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente all’accertamento della violazione.

6. I limiti dello strumento amministrativo

Il limite di questa regolamentazione probabilmente sta proprio nella scelta dello strumento adottato.
Se è vero che lo strumento richiesto per il contrasto ai fenomeni di terrorismo internazionale – specie nella forma della diffusione di materiali di propaganda, ovvero contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica – è di tipo amministrativo, poco si presta la dinamica amministrativa (si pensi ai ricorsi al TAR, ai termini di sessanta giorni etc) a sostituire la materia penale, con l’intero impianto di garanzie, pesi e contrappesi e controlli che lo stesso implica.
Ciò è particolarmente evidente nelle zone di attrito e di maggiore momento ermeneutico.
Pensiamo al livello di dialogo che abbiamo già evidenziato tra la figura del PM, un’agenzia del Ministero dell’Interno, ed alle due autorità – sempre di emanazione dell’esecutivo (il CASA e il Ministero dell’Impresa) – tutte chiamate in momenti differenti ad intervenire nel procedimento “amministrativo”.
Il punto poi di maggiore riflessione è il doppio livello non sempre chiaramente delineato delle garanzie di “appello” nel rapporto da un alto tra PM e GIP e dall’altro tra autorità ministeriale e TAR.
Innanzitutto, il citato articolo 2 punto 7) del Regolamento detta una descrizione dei «contenuti terroristici» particolarmente ampia, prevedendo che vi rientri un insieme di «materiali» descrittivamente troppo eterogenei per essere compatibili con il principio di determinatezza e quindi di certezza del diritto.

7. La valutazione dei “contenuti” nel quadro dell’art. 21 Cost.

In secondo luogo la determinazione della valutazione dei “contenuti” – in un sistema di garanzie costituzionali forti come quella dell’articolo 21 della Costituzione – mal si presta ad una valutazione meramente tecnica di un organo ministeriale (quindi politico) nel combinato con il Pubblico Ministero, che nell’impartire un ordine di rimozione (appellabile ex post al gip) che agisce ex ante rispetto ad un giudizio penale corredato da tutte le garanzie di cui alla relativa procedura.
La gravità del terrorismo non può determinare la perdita delle garanzie costituzionali alla libertà di espressione, e ciò va determinato ex ante con tutte le disamine dei rischi potenziali.
Ciò non esclude che un intervento non sia necessario, anzi era e resta auspicabile, ma la necessità non può determinare l’accettazione di “qualsiasi” intervento normativo, comunque fatto.
La disposizione per cui l’o.d.r. può essere adottato «quando i contenuti terroristici di cui all’articolo …sono riconducibili a un delitto con finalità di terrorismo» con una clausola di doppio rinvio alla normativa regolamentare e alla legge penale nazionale, lascia una porta interpretativa troppo aperta alla discrezionalità, ed al contempo ancora più aperta alla etero-importazione in forma impropria di fattispecie “di fatto” penali che sono estranee al nostro ordinamento ed ai principi stessi della legge penale, che stabilisce che una fattispecie di reato possa essere introdotta solo con legge.
Peggio quando attraverso la via regolamentare viene introdotta una fattispecie “penale di fatto” ma qualificata nell’ambito – e nei criteri procedurali – meramente e formalmente amministrativi.

8. I limiti “di fatto” al diritto di difesa

Se poi “contiamo” il numero di soggetti – alcuni anche in implicito conflitto – che di fatto si sovrappongono nella gestione della norma (PM, GIP, TAR, Ministero delle imprese, CASA, Procura Antimafia e antiterrorismo – nazionale e distrettuale – Ministero dell’Interno…) più che una estensione delle garanzie, si intravede una restrizione delle stesse, attraverso un meccanismo che anche sotto il profilo delle procedure limita la certezza del diritto e la libertà di difesa.
Il punto non è di lieve portata, perché di fatto attraverso questa enormemente eterogenea ripartizione di “luoghi decisionali”, con le relative procedure, tempi e limiti, di fatto si crea un ginepraio che sia in termini di costi economici, che di dispendio di tempo, limitano di fatto e ipso facto il diritto di difesa, attraverso anche una serie indefinita di possibili rinvii interni anche semplicemente per ragioni dirimenti di concreti conflitti di attribuzione e di competenza, che troverebbero soluzione solo alla fine in Cassazione se non in Corte Costituzionale.

9. Il “fine di terrorismo” nella sentenza della Cassazione Penale 49792/2023

Per comprendere la delicatezza della materia già nel quadro penale preesistente, si consideri la recente vicenda finalmente definita dalla Cassazione Penale con la sentenza n. 49792 (Prima Sezione Penale -14 dicembre 2023) che ha chiarito come “Il fine di terrorismo si deve fondare sull’idoneità dell’azione” e che “la finalità non può limitarsi a un fenomeno esclusivamente psicologico, ma deve materializzarsi in un’azione idonea a realizzare i fini tipici previsti dalla norma”.

10. I rischi di incostituzionalità del D.lgs. 107/2023

Il rischio a monte del provvedimento in parola di “adeguamento dell’ordinamento interno” alle disposizioni contenute nel Regolamento (UE) 2021/784 sul contrasto della diffusione di contenuti terroristici on-line è quello che emerge prima facie dal combinato disposto tra lo strumento per cui “l’autorità competente di ogni Stato membro ha facoltà di emettere un ordine di rimozione imponendo ai prestatori di servizi di rimuovere contenuti terroristici o di disabilitare l’accesso a contenuti terroristici in tutti gli Stati membri” e il giudizio monocratico ex ante del Pubblico Ministero sul “contenuto” da rimuovere.
Un sindacato monocratico di legittimità sul contenuto e se questo – anche espresso nelle forme di maggior durezza – sia “lecito” ex art 21 della Costituzione, o ne travalichi i limiti ed al contempo sia idoneo a “recare pericolo in concreto” allo Stato, laddove come abbiamo visto “il fine di terrorismo si deve fondare sull’idoneità dell’azione” e “la finalità non può limitarsi a un fenomeno esclusivamente psicologico, ma deve materializzarsi in un’azione idonea a realizzare i fini tipici previsti dalla norma”.
Un giudizio di merito e nel merito del contenuto che, nel nostro ordinamento e nel quadro complessivo delle garanzie da questo prescritte, compete al giudice in contraddittorio tra le parti nel libero e pieno e completo esercizio di un diritto di difesa che qui è inesistente, se non esercitabile – semmai – ex post, presso il GIP (ovvero quando il contenuto è stato rimosso).
Questo quadro di potere monocratico è ancora più preoccupante alla luce del fatto che, come abbiamo visto, lo spettro dei contenuti definibili come “terroristici” è talmente ampio e dilatato, e (quasi volutamente) non tassativo e definito a priori, che il sindacato del PM finisce con il propendere e trasbordare nella “opinione personale”, in assenza di un parametro legale definito ed ermeneuticamente chiaro.
A meno che non si ammetta – come nei peggiori action movies – che il fine della lotta al terrorismo renda legittima qualsiasi limitazione delle libertà, è evidente che a rischio, nello stesso momento legislativo, vi siano al contempo il diritto ex articolo 21 della costituzione e quelli di difesa (tra cui l’articolo 13 e 24 della Costituzione).
 
Viene qui un dubbio che va oltre le questioni di diritto.
Se il fine ultimo del terrorismo è quello di sovvertire l’ordine dello Stato (con i suoi diritti e le sue garanzie), non si finisce con un certo tipo di normativa di raggiungere proprio di fatto lo scopo che si voleva evitare?

Michele Di Salvo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento