Non colpevole o Innocente? La doppia faccia della regola di giudizio de “al di là di ogni ragionevole dubbio”

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SOMMARIO

  • Il caso: Cassazione Penale Sezione II n. 18313, 16 Giugno 2020.
  • “Oltre ogni ragionevole dubbio” come regola di giudizio: i diritti dell’accusato e la tutela dell’innocente nell’ordinamento domestico.
  • Presunzione di non colpevolezza e d’innocenza nell’orizzonte europeo: divergenze che si equivalgono.
  • Considerazioni conclusive.

 

La legge Pecorella, n. 46 del 20 Febbraio 2006, ha riformulato l’art 533 c.p.p[1]., arricchendolo della previsione con la quale si impone al giudice di comminare un provvedimento di condanna solo se l’imputato si palesa colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio. La predetta propedeuticità della condanna alla ragionevole certezza processuale della responsabilità del prevenuto è stata posta sotto la lente di legittimità della Corte di Cassazione[2]. La Seconda Sezione Penale, con sentenza n. 18313, resa pubblica il 16 Giugno 2020, ha consolidato l’opzione interpretativa secondo cui la riferita regola di giudizio, formalizzata dal codice di rito penale, all’art. 533 c.p.p., e dal disposto costituzionale di cui all’art. 27 Cost., secondo comma, disegna un criterio valutativo dicotomico. In ordine al giudizio di merito il “ragionevole dubbio” non incontra il limite, saldo invece in sede di legittimità, della manifesta illogicità ed accertata incongruenza della motivazione. In quest’ottica la Corte ha caratterizzato le specificità congeneri ai diversi gradi di giudizio, ricordando come queste si riflettano specularmente sui motivi di gravame.

Il caso: Cassazione Penale Sezione II n. 18313, 16 Giugno 2020.

La Corte di Appello ribadiva la condanna inflitta al prevenuto all’esito del giudizio di prime cure per il delitto di rapina aggravata dall’uso di armi, contemplato dall’art. 628, comma III, n. 1. Il convenuto veniva accusato di aver colpito il soggetto passivo con svariati colpi, esplosi da una pistola, che attingevano la vittima alle gambe. La precipua finalità dell’azione contestata veniva individuata nell’impossessamento del contante che la vittima portava con sé, pari a circa 100 euro, contenuti nel portamonete di costui. Per riuscire in ciò l’aggressore aveva ritenuto opportuno ferire il malcapitato agli arti inferiori, impedendone, di fatto, la facoltà di deambulazione sicché egli avesse potuto rapinare la persona offesa con indubbia facilità. L’imputato, avverso la pronuncia di condanna, ricorreva in Cassazione asserendo la manifesta lacunosità della motivazione circa l’evidenza probatoria della sua colpevolezza, la quale va accertata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Il ricorso veniva orbene sostenuto dalla lamentata incertezza della testimonianza resa dalla vittima, dei risultati poco congruenti dell’esame “stub” e delle testimonianze, piuttosto approssimative, di coloro che vivevano nei pressi del locus commissi delicti.

L’organo massimo di nomofilachia, con sentenza n. 18313 della Seconda Sezione Penale, pubblicata in data 16 Giugno 2020, rigettava il ricorso, forte del solco giurisprudenziale già tracciato in precedenti arresti proferiti dalle Sezioni Unite. Con un primissimo argomento fondato sul sostrato costituzionale della presunzione di non colpevolezza, di cui al secondo comma dell’art. 27 della Carta Fondamentale, la Corte ha avvalorato il pacifico superamento del principio del libero convincimento del giudice. Cioè a dire, la condanna dovrà costituire il logico epilogo dell’apparato probatorio, assunto in pieno contraddittorio delle parti, il quale necessiterà di una valenza dimostrativa della colpevolezza tale da scardinare qualsiasi tesi a sostegno di altra teoria circa l’imputabilità del fatto al prevenuto. Come ribadito dalla medesima Corte di legittimità, l’esercizio del libero convincimento del giudice è infatti pur sempre condizionato al concreto raffronto degli elementi oggettivi, come sussunti nelle more del giudizio di merito. Deve quindi sgomberarsi il campo alla degenerazione di codesto in un mero stato psicologico di arbitraria valutazione delle prove da parte del giudice adito. In dato contesto, la regola di chiave dell’intervento della Suprema Corte impone che la violazione del parametro diagnostico del profilo probatorio e fattuale del caso in esame può essere invocata in sede di controllo di legittimità, dinanzi alla stessa Cassazione, solo ove questa si rinsaldi, in conclusione, in un provvedimento illogico e lapalissianamente incongruente sotto il profilo motivazionale, posto che il ricorso in Cassazione non installa una valutazione sul merito della vicenda ex novo, ma piuttosto dibatte circa la coerenza giuridica della decisione di condanna. L’art. 533 c.p.p. precisa che la condanna possa conseguire solo dopo aver fugato “ogni ragionevole dubbio” sul punto della colpevolezza dell’imputato. In altri termini, la statuizione di condanna può essere pronunciata nel momento in cui il Giudicante abbia ricostruito un quadro cristallino dei fatti in causa, e dell’imputabilità di questi, prospettando un elevatissimo grado di credibilità razionale, confinante con la certezza processuale della responsabilità dell’imputato. Il minimo dubbio sul punto inficia la decisione di manifesta illogicità facendo vacillare vieppiù l’ipotesi ricostruttiva circa la certezza processuale pervenuta.

Secondo il recente orientamento in disamina, tuttavia è opportuno discernere le innumerevoli problematicità istruttorie che possano ingenerare siffatto dubbio, sicché non tutti i vizi irrimediabilmente si accompagnano al difetto della sentenza suesposto. Quello che rileva in tal senso sarà pertanto il dubbio qualificabile come ragionevole, e di conseguenza tutte quelle incertezze idonee ad incrinare in modo significativo la tenuta logica della motivazione redatta, poiché essa è il presupposto essenziale della condanna. La stessa Corte ha poi avuto modo di illustrare che è generalmente preclusa la facoltà di postulare una rivalutazione dei mezzi istruttori in sede di legittimità, in ragione della peculiare natura del giudizio in Cassazione. La Corte ha parimenti affermato la rilevanza della violazione della regola di giudizio de “aldilà di ogni ragionevole dubbio” nell’ipotesi in cui questa cagioni un insufficiente excursus logico della motivazione. Da tale rilettura si evince che sarà comunque la motivazione viziata da illogicità ad essere sottoposta al vaglia della Corte, non pure l’adeguatezza probatoria del materiale istruttorio assunto legittimamente nelle precedenti fasi del procedimento de quo. Non solo. Si è inoltre ricordato che l’attività di stima in merito alle prove rimane sempre di esclusivo appannaggio della giurisdizione di merito, e mai potrà devolversi a quella di legittimità, ad eccezione dei casi di accertato travisamento.

Venendo all’epilogo del ricorso, la Cassazione decideva che l’allegata infrazione della regola di cui all’art. 533 c.p.p. dovesse spiegarsi in un’approssimata contestazione di quanto dedotto dalla difesa, sottolineando che le menzionate argomentazioni difensive non trovavano speculare riscontro nel tessuto motivazionale di entrambi i provvedimenti di condanna emessi al termine dei primi due gradi di giudizio di merito, i quali si fondavano su inferenze promosse dalla difesa ma difettose in motivazione.

“Oltre ogni ragionevole dubbio” come regola di giudizio: i diritti dell’accusato e la tutela dell’innocente nell’ordinamento domestico.

La L. cost. n. 2/99 ha incluso sotto l’ombrello di garanzia dell’art. 111 Cost. anche i principi sul giusto processo che hanno trovato prima formulazione nel panorama sovranazionale. Specificatamente essi sono importati da insegnamenti promossi dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Buona parte di questi sono contemplati all’art. 6 C.e.d.u. per poi riecheggiare nell’ordinamento italiano per il tramite di circoscritte disposizioni costituzionali. Ciò che emerge a proposito delle prerogative processuali riconosciute all’imputato è sicuramente la presunzione di non colpevolezza, ai sensi dell’art. 27, secondo comma, della Carta Fondamentale.

In veste di irrinunciabile tutela dell’imputato, della stessa può parlarsene quale regola cardine, oltre che simbolo di civiltà giuridica.  La citata norma costituzionale testualmente[3] descrive il principio in esame utilizzando una dialettica negativa, prediligendo appunto la “non colpevolezza” in luogo della speculare affermazione in termini positivi di “innocenza”. La sinonima tra le parole non è sempre univoca. Accade sovente che la scelta tra le due formulazioni, indipendentemente dal dato testuale dell’articolo 27, è in stretta dipendenza con le teorie epistemologiche accolte dalla giurisprudenza durante la fase storica di riferimento. Tale aspetto è di immediata comprensione ove vengano poste a vaglia critico gli indirizzi giurisprudenziali maggioritari sul tema, nonché quelli dirimenti.

La presunzione anzidetta impone che l’accusato non possa essere definito colpevole sino alla definitività della sentenza che riporta la di lui condanna.

Si assiste dunque ad una vera evoluzione ermeneutica della regola di giudizio di cui all’art. 27, II co, Cost. La presunzione di colpevolezza oggi è emblematica guarentigia dell’accusato. Essa è tratto topico del modello garantista della giurisdizione penale, tanto da venir rubricata presupposto fondante di tutte le garanzie processuali. La presunzione di non colpevolezza è il catalizzatore delle innumerevoli prerogative, dal respiro costituzionale, che gravitano attorno il rito penale. In definitiva, pacifico che il processo penale si incardina con l’obiettivo ultimo di reprimere i reati e punire i colpevoli, è al tempo stesso onere irrinunciabile dello Stato, che esercita siffatta funzione sociale di repressione, assicurare una compagine di diritti indisponibili per tutti coloro che saranno chiamati ad interagire nel narrato sistema.

La presunzione di non colpevolezza è la versione moderna del già conosciuto principio in dubio pro reo, previsto dal secondo comma dell’art. 530 c.p.p., in forza del quale, in caso di insufficienza o contraddittorietà delle risultanze probatorie, l’imputato va assolto. Il dovere di proscioglimento nelle ipotesi di ferma incertezza è elemento imprescindibile dell’essenza endogena del processo: il Giudicante non possiede la facoltà di procedere alla statuizione di condanna sulla base di presupposti istruttori incongruenti o generici. Se le prove mancano, o se gli indizi non sono sufficientemente gravi precisi e concordanti, la fattispecie criminosa non potrà mai asserirsi come fattualmente realizzata dal prevenuto, con pronuncia di condanna.

Un ulteriore dettame costituzionale che trova spazio tra i ranghi della presunzione di non colpevolezza è certamente l’articolo 13 Cost. il quale sancisce a chiare lettere[4] l’inviolabilità della persona. Nel sistema del diritto penale è definitivamente esclusa l’idea di qualsivoglia coercizione della libertà personale dei consociati. Si sottolinea a proposito che la norma viene in rilievo allorquando, con provvedimento di condanna, si commini una misura restrittiva, in via cautelare o definitiva, all’imputato, sulla base di argomentazioni arbitrarie ed assiomaticamente erronee a causa della penuria probatoria del procedimento. Ed invero la Consulta[5], con la pronuncia n. 124 del 1972 ha sentenziato sull’alternatività delle condizioni di non colpevole ed innocente: il convenuto è da considerarsi non colpevole per l’intera durata del processo, ma solo con la sentenza definitiva, di condanna o di assoluzione, potrà rubricarsi, senza dubbio, innocente o colpevole. Quanto agli aspetti più prettamente processuali, è impensabile prospettare ab initio i possibili epiloghi del giudizio di merito. Il Legislatore ha il compito, coadiuvato anche dalla pedissequa opera ermeneutica d’interpretazione perpetrata dagli operatori del diritto, dottrina ed organi giudiziari tra gli altri, di mettere a disposizione dei futuri fruitori tutti i mezzi mediante i quali la presunzione di non colpevolezza possa immettersi nel gioco del rito penale quale regola di giudizio. In particolare sarà importante chiarire la distribuzione dell’onere probatorio tra le parti, ma pure enumerare una serie di indici di valutazione che consentano al giudice intervenuto di soppesare equamente gli elementi della fattispecie in esame.

Nella predetta prospettiva il criterio della ragionevole certezza, autenticato all’art. 533 c.p.p. come modificato dalla L n. 46/2006, si inserisce a pieno titolo tra i parametri di giudizio che dovranno guidare il magistrato nella ricostruzione dei fatti in causa ed infine nella considerazione ultima sulla questione afferente alla colpevolezza del prevenuto. Una volta esauritosi il procedimento, solamente quando ogni diritto dell’imputato sia stato già perfettamente estrinsecato e le prerogative processuali di costui prontamente operate, la presunzione di innocenza muterà il suo volto nella presunzione di colpevolezza. Ne segue che, la determinazione della verità oggettiva nelle more del giudizio penale è giustappunto una chimera, un’aspirazione irraggiungibile giacché esso ha pur sempre ad oggetto accadimenti storici non suscettibili di corroborazione diretta per vie scientifiche. La verità iscritta in sentenza, frutto del rispetto delle regole del codice di rito, è, per ovvie ragioni, approssimativa e tendenzialmente fallace rispetto alla pragmatica verificazione dei fatti. Tralasciando le problematiche connesse ai metodi, di volta in volta a differenti in relazione al caso concreto, utilizzati per accertare le tesi proposte dalle parti in causa, occorre rievocare la differenziazione ontologica tra verità oggettiva e verità processuale. Chiara deriva di ciò è la convinzione, condivisa da dottrina e giurisprudenza, che la natura precaria della verità giudiziale riverbera anche nella decisione di merito. Pertanto l’ambizioso scopo del giudice deve essere quello di avvicinarsi quanto possibile alla ricostruzione storica del caso imprimendo, in tal guisa, maggiore giustizia ed equità alla pronuncia finale.

Presunzione di non colpevolezza e d’innocenza nell’orizzonte europeo: divergenze che si equivalgono.

Bisogna prendere atto dell’ineludibile influenza che le fonti sovranazionali hanno esercitato sui modelli di diritti e garanzie processuali poi inglobati nelle Carte Costituzionali dei vari Stati. Tutto questo vale, considerando che è ormai nota la cd. struttura multilivello del diritto penale, nel senso che da un lato la statuizione sul fatto spetta rerum natura al giudice nazionale, ma d’altro canto, le garanzie dei singoli sono riscontro interno di quanto affermato in sede europea. A conferma di simile integrazione verticale tra le varie stratificazioni di cui si compone l’ordinamento giuridico soccorre proprio la questione relativa alla presunzione di innocenza. Mentre la Costituzione Italiana disquisisce circa la presunzione di non colpevolezza, ai sensi dell’art. 27, II comma, Cost., il secondo comma dell’art. 6 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, così come gli strumenti legislativi UE[6], sostengono la contigua presunzione di innocenza.

La macroscopica differenza tra l’enunciato costituzionale e quello convenzionale pare ictu oculi residuare al dato testuale. Tuttavia si deduce che nel quadro di applicazione della citata presunzione la prima ipotesi, definita di “non colpevolezza”, estende il raggio d’azione dell’art. 27 Cost. sino alla sentenza definitiva di condanna, invece l’art. 6 C.e.d.u. depura la suesposta presunzione del parametro temporale e cerca di caratterizzare questa altrimenti, spingendola verso il piano giudiziale, giacché la presunzione di innocenza permane a sostegno della posizione processuale del prevenuto, sino a quando non sopraggiunge un grado di certezza in merito alla colpevolezza del presunto agente estremamente attendibile[7], finitimo alla sicurezza matematica. Da parte sua la Corte di Strasburgo ha precisato che la presunzione di innocenza esige che nessuna delle autorità inquirenti possa relazionarsi all’imputato usando l’etichetta di “colpevole”, sia nelle more della fase endoprocessuale che in quella extraprocessuale, senza che sia dapprima sopraggiunto un solido ed inconfutabile accertamento giudiziale della sua penale responsabilità[8].

Sebben si senta spesso che le locuzioni “non colpevolezza” ed “innocenza” semanticamente siano affini, quasi intercambiabili, è utile tenere sempre bene a mente che esse fanno riferimento a principi simili, ma originati in contesti socio-giuridici dissonanti. E proprio le menzionate dissimilitudini ravvisate nel background evolutivo di codeste, determinano che i principi di cui sopra si adattano plasticamente al sistema penale cui si collegano, assumendo celermente attitudini più o meno garantistiche per meglio confarsi a sistemi penali di stampo accusatorio o inquisitorio.

Per quel che interessa l’aspetto squisitamente processuale, la “non colpevolezza” sembrerebbe offrire una tutela più eclettica e vasta rispetto alla semplice “innocenza”. Infatti è d’obbligo il richiamo alle formule assolutorie[9] che prescindono dall’accertamento della non responsabilità per il fatto di reato ma che sono comminate in un’ottica di favor rei. L’art. 530 c.p.p, sotto la rubrica “formule di assoluzione” enuclea al primo comma:

  • le ipotesi mancanti dell’elemento oggettivo (se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso);
  • quelle scriminate per l’effetto di una causa di giustificazione (se il fatto non costituisce reato);
  • casi di abolitio criminis prodotta o da una legge di riforma o anche da una sentenza della Corte Costituzionale (non è previsto dalla legge come reato);
  • sintuazioni in cui viene meno l’imputabilità del reo (se il reato è stato commesso da persona non imputabile);
  • infine vengono in rilievo le cause di non punibilità (non punibile per un’altra ragione).

Per altro verso, la presunzione d’innocenza terminerebbe la sua azione solo al primo dei punti succitati, permettendo all’uopo di confermare che la presunzione di non colpevolezza, stante gli elementi rilevati nella presente disamina, è più conveniente per il prevenuto.

 

Considerazioni conclusive.

Naturalmente è sovrabbondante asserire che il processo penale e le regole che oggigiorno lo governano necessitino di rivisitazione, così che il rito addivenisse più celere ed efficiente e soprattutto purificato da ogni sorta di negativa ingerenza, specie riferendo dell’arbitrarietà nella messa in pratica da parte dei giudizi dei canoni di giudizio formalizzati dal Legislatore. Per riuscire in un simile progetto di radicale trasformazione è opportuno un capillare intervento legislativo che si occupi non solo del profilo processuale, ma anche dei risvolti sostanziali ed ordinamentali che inevitabilmente scaturiscono da una tale manomissione al codice di procedura penale. La presunzione di non colpevolezza è comunque inderogabile, poiché già zoccolo duro delle tutele di matrice europea, ormai vigorose. Una plausibile apertura potrebbe essere quella di far leva sulle ansie giustizialiste che permeano la comunità di consociati, quale massa sociale che assiste, per il tramite delle narrazioni delle cronache giudiziarie, trasmesse dalla tv, dal web e dai giornali. Tuttavia, la stragrande maggioranza di costoro non è cultore della materia giuridica e perciò non di rado, facendo caotica commistione tra gli aspetti tecnici delle questioni (ad esempio non distinguendo tra sentenza di assoluzione e di non doversi procedere per maturata prescrizione) propendo per un significato più o meno di garanzia del principio in dubio pro reo, sicché è oggi maturo il tempo di un risoluto stravolgimento normativo che non lasci più alcun margine di manovra a “libere interpretazioni” della presunzione di cui all’art.. 27 Cost.

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Note

[1] Art. 533 c.p.p.

Condanna dell’imputato.

  1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli [521] al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena [17-38, 132-139 c.p.] e le eventuali misure di sicurezza [199-240 c.p.].
  2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene [72 s. c.p.] o sulla continuazione [81 2 c.p.]. Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale [102-104 c.p.] o professionale [105 c.p.] o per tendenza [108 c.p.].
  3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena [163 c.p.] o la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale [175 c.p.], provvede in tal senso con la sentenza di condanna.

3-bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà.

[2] Cass. Pen. Sez. II n. 18313, 16 Giugno 2020.

[3] Articolo 27 Cost:

La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.

[4] Articolo 13 Cost:

La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c. 1, 2] e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

[5] Corte Cost. sent. n. 124/1972.

[6] Direttiva 2016/343/UE del 9 Marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

[7] Corte e.d.u. sent. Varsava c. Italia, 29 Ottobre 2013.

[8] Corte e.d.u., sent. Puig Panella c. Spagna, 25 Aprile 2006;

Corte e.d.u., Grande Chambre, sent. Paraponiaris c. Grecia, 25 Settembre 2008.

[9] Art. 530 c.p.p.

Sentenza di assoluzione.

  1. Se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.
  2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.
  3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità̀ ovvero vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.
  4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.

Alessia Gervaso

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