Neoformalismo negoziale: nei contratti con gli intermediari finanziari

Redazione 27/11/18
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Il neoformalismo negoziale  prevede la forma scritta, la quale costituisce uno dei requisiti essenziali del contratto ai sensi dell’art. 1325 co. 4 c.c. Ai fini della validità della forma scritta o della prova di un atto per cui il legislatore richiede la forma scritta, senza che debba essere indicato uno specifico mezzo di scrittura, non ricorrono vincoli in ordine alla scelta di tale mezzo. Tuttavia è bene precisare che questa libertà non è assoluta, ma incontra un preciso limite nella stessa funzione che la forma prescritta svolge in relazione alla caratteristiche precipue del tipo di atto, così come emergenti dalla relativa disciplina giuridica.
A questo riguardo, l’art. 1350 c.c. elenca una serie di atti che devono essere conclusi per iscritto, in cui la forma scritta risulta ad substantiam, a pena di nullità.

L’art. 23 del TUF

L’art. 23 del d.lgs. n. 58/1998 (c.d. TUF) disciplina la materia dei contratti nella intermediazione finanziaria e quali requisiti devono possedere, tra questi la forma scritta ad substantiam. Difatti, qualora il contratto non possieda i requisiti stabiliti dalla legge verrà dichiarato nullo ai sensi e per gli effetti dell’art. 1418 c.c.

Tale formalità, che non ammette equipollenti, risponde a evidenti ragioni di protezione del cliente, soggetto più debole, il quale è l’unico in grado di far valere l’eventuale nullità. Ci si riferisce in tal senso al fenomeno del neoformalismo negoziale con funzione protettiva per indicare l’importanza che il legislatore ripone sul requisito della forma quando la stessa assolva ad una funzione di informazione e protezione della parte che si trovi in un piano di asimmetria contrattuale rispetto ad una parte più forte (ad esempio, le banche). La prescrizione formale, in altri termini, trova la sua ragione nella volontà di assicurare la piena e corretta trasmissione delle informazioni dall’intermediario al cliente, nel tentativo di raccogliere un consenso alle operazioni di investimento il più consapevole possibile.

La giurisprudenza di legittimità sulla necessità della firma dell’intermediario

Sul punto si è dibattuta la giurisprudenza. La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10447 del 2017 si è interrogata sulla corretta interpretazione da fornire alla norma e, in particolare, sulla necessità della sottoscrizione del contratto anche da parte della banca ai fini della sua validità.

Si contrapponevano due tesi, una volta a tutelare l’interesse generale al dinamismo della contrattazione finanziaria e all’efficienza dei mercati e l’altra incline a privilegiare l’interesse alla protezione del contraente debole. Il primo orientamento riteneva sufficiente la sola sottoscrizione del cliente ai fini del rispetto del requisito della forma scritta, in quanto risultava in questo modo già garantito il suo interesse alla conoscenza del contratto e alla trasparenza. La banca, infatti, è il soggetto che predispone le condizioni generali di contratto, cui l’investitore aderisce, e la sua sottoscrizione, non permettendo una maggiore informazione e protezione del cliente, non appare necessaria per la validità del contratto: il contratto si perfezionerebbe con la sola sottoscrizione del cliente, potendo il consenso della banca essere prestato in altro modo.

Tale lettura dell’art. 23 TUF, peraltro, eviterebbe il pericolo di strumentalizzazione dell’elemento formale da parte dell’investitore. Il cliente, infatti, potrebbe decidere arbitrariamente di fare valere la nullità di un contratto fino a quel momento regolarmente eseguito, sulla base dell’assenza di sottoscrizione dell’intermediario, solo nel momento in cui dovesse registrarsi una perdita successiva. tale tesi era stata seguita dalla giurisprudenza in materia di contratto di conto corrente bancario (cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4564). In particolare, era stata esclusa la nullità per difetto di forma facendo leva sulla pacifica esecuzione del contratto e sul principio in base al quale la produzione in giudizio del contratto realizzasse un valido equivalente alla sottoscrizione mancante.
Il secondo orientamento (cass. civ., sez. I, 24 marzo 2016, n. 5919), invece, propendeva per la sottoscrizione della banca quale requisito di forma ad substantiam al pari di quella del cliente, in quanto idonea ad assicurare una tutela piena ed effettiva allo stesso, quale parte debole del rapporto.

Escludeva, altresì, che la mancata sottoscrizione potesse essere sopperita dalla produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente non sottoscrivente.
Le Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 16 gennaio 2018, n. 898) hanno appoggiato il primo dei suddetti orientamenti, affermando che il requisito della forma scritta di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 58/1998 appare rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto dalla banca, sia consegnato in copia all’investitore e sia dallo stesso sottoscritto: il consenso dell’intermediario, infatti, ben può essere desunto dai comportamenti dallo stesso tenuti. Una diversa conclusione tutelerebbe eccessivamente le ragioni del singolo, sacrificando in modo sproporzionato il generale interesse di celerità e dinamismo della contrattazione e manifestando una marcata esasperazione sanzionatoria ai danni dell’intermediario. le Sezioni Unite si sono pronunciate una seconda volta sulla questione (Cass. civ., sez. un., 23 gennaio 2018, n. 1653), confermando il principio di diritto sopra menzionato.

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