Nelle richieste di indennizzo per infezioni da emotrasfusioni il termine di prescrizione decorre dal momento in cui il paziente poteva conoscere la malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione

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Avv. Pier Paolo Muià – Dott.ssa Maria Muià

Riferimenti normativi: legge 210 del 1992; art. 2935 c.c. e art. 2947, comma 1, c.c..

Precedenti giurisprudenziali: Cass. Sentenza n. 576 del 2008; Cass. Sentenza n. 583 del 2008; Cass. Sentenza n. 4029 del 20.2.2018.

Fatto

La questione oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione nella pronuncia commentata riguarda il riconoscimento o meno del risarcimento dei danni formulata nei confronti del Ministero della Salute per una emotrasfusione che era stata effettuata da un paziente. In particolare, dopo aver praticato in una struttura ospedaliera, una trasfusione di sangue che, successivamente, si era rivelato infetto, il ricorrente aveva contratto il virus dell’epatite. Conseguentemente, ritenendo sussistente la responsabilità dello Stato, nello specifico nella figura del Ministero della Salute, aveva introdotto un giudizio nei suoi confronti per ottenere il risarcimento dei danni subiti. La amministrazione statale, però, si era costituita nel giudizio chiedendo il totale rigetto della domanda formulata da parte attrice, in considerazione del fatto che riteneva il relativo diritto al risarcimento dei danni ormai estinto per avvenuto decorso del termine di prescrizione.

Nell’esaminare l’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta, la Suprema corte di Cassazione ha in particolare dovuto dedicarsi a risolvere due distinti aspetti connessi a tale istituto, che assumono specifico rilievo nelle ipotesi in cui gli effetti dannosi del fatto illecito si verificano a distanza di tempo, anche notevole, rispetto al momento in cui si è prodotto il fatto stesso (come avviene appunto per il contagio di HIV oppure di epatite a causa di trasfusione di sangue infettato da tali virus o dell’assunzione di emoderivati infetti), cioè: da un lato, la questione del momento iniziale della decorrenza del termine di prescrizione e, da un altro lato, la questione di quali siano gli atti giuridici idonei ad interrompere il termine di prescrizione.

La particolarità connessa al caso esaminato dagli Ermellini riguardava inoltre il fatto che per le domande di indennità rivolte al Ministero della Salute per casi di malattie da contagio per trasfusioni infette (di cui alla legge 210 del 1992), assume rilievo la comunicazione del responso da parte della apposita Commissione Medica Ospedaliera.

Infatti, secondo il ricorrente, il momento in cui inizia a decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno è proprio la ricezione, da parte sua, della comunicazione del parere insindacabile della Commissione Medica Ospedaliera. Pertanto, poiché, nel caso di specie, da tale momento non era ancora spirato il termine di 5 anni previsto per gli illeciti extracontrattuali, il ricorrente riteneva di poter ancora fare valere il proprio diritto al risarcimento dei danni subiti. L’argomentazione con cui il ricorrente aveva collocato il dies a quo della prescrizione al momento della ricezione della suddetta comunicazione, si basava sul fatto che soltanto da tale momento il soggetto avrebbe potuto venire a conoscenza che la sua malattia dipendeva dalla trasfusione che aveva subito.

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La decisione della Corte di Cassazione

Preliminarmente la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della risarcibilità e della natura della responsabilità nei casi di malpractice medica come quello in esame. Secondo i giudici, il Ministero della Salute deve rispondere nei confronti dei pazienti che si sono sottoposti a delle trasfusioni ematiche per i danni da questi subiti a causa della contrazione del virus della epatite (come per quello dell’ HIV) e tale responsabilità ha carattere extracontrattuale; tuttavia, in tali casi, non essendo configurabile alcun reato, il termine di prescrizione rimane quello ordinario (quinquennale).

Ciò detto, la Corte, per quanto riguarda il momento iniziale del decorso del suddetto termine di prescrizione, ha precisato che il danneggiato deve azionare la propria pretesa risarcitoria entro cinque anni dal momento in cui egli percepisce o comunque è in grado di poter percepire l’esistenza della malattia. Mentre a nulla rileva, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, il momento in cui la malattia si è manifestata all’esterno oppure quello in cui il terzo ha posto in essere il comportamento causativo del danno.

Partendo da tale presupposto, gli Ermellini hanno poi avuto cura di specificare che, per individuare il momento in cui il paziente è in grado di percepire e di riconoscere il danno subito (cioè la verificazione dell’infezione) nonché il fatto che esso dipenda direttamente dalla trasfusione cui si era sottoposto, bisogna avere riguardo sia alle informazioni che erano in possesso del paziente stesso nonché a quelle informazioni cui lo stesso doveva poter accedere o comunque doveva attivarsi per conoscere (tale aspetto può essere identificato come la diligenza che doveva tenere il danneggiato), sia alle conoscenze scientifiche che sussistevano nel momento in cui si è verificato il fatto. Il giudice di merito, sostengono i giudici di legittimità, deve quindi effettuare una analisi di tali due aspetti per verificare se era possibile conoscere che da un certo tipo di trasfusione potesse derivare un contagio per un certo tipo di infezione.

Ebbene, nel caso di specie, gli Ermellini hanno ritenuto che si potesse escludere la possibilità di ricondurre il dies a quo del termine di prescrizione del diritto al risarcimento danni dal momento in cui è stata ricevuta la comunicazione del responso da parte della Commissione Medica Ospedaliera. Infatti, il paziente contagiato aveva preso coscienza della infezione e dei danni derivanti già dal momento in cui aveva presentato la domanda di indennizzo al Ministero della Salute. Pertanto, secondo la Corte Suprema il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento danni deve necessariamente ricondursi a tale momento.

L’altro aspetto esaminato dalla Cassazione riguarda, poi, l’individuazione dei fatti idonei ad interrompere il termine prescrizionale.

Nel caso di specie, gli Ermellini hanno ritenuto che una lettera raccomandata attraverso cui il paziente danneggiato aveva inviato la richiesta di risarcimento danni al Ministero della Salute è stata ritenuta atto giuridico idoneo ad interrompere il termine di prescrizione ed a farlo decorre nuovamente. Ciò in considerazione del fatto che il danneggiato all’interno di detta raccomandata aveva formulato una specifica domanda e una richiesta rivolta alla amministrazione di adempiere: in tal modo, egli aveva quindi manifestato in maniera chiara e senza alcun dubbio la propria intenzione di esercitare il proprio diritto nei confronti del destinatario. Attraverso tale atto di esercizio del diritto, pertanto, si verifica la costituzione in mora del debitore danneggiante e di conseguenza si interrompe il termine di prescrizione.

 

Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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