Nel caso di sperimentazione clinica di un farmaco presso una struttura sanitaria esecutrice, la casa farmaceutica promotrice risponde contrattualmente solo se l’esecutrice ha agito come sua ausiliaria

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Il fatto.

La vicenda che ha dato origine alla decisione oggetto del presente commento riguarda la richiesta di risarcimento dei danni conseguiti successivamente alla partecipazione da parte di una paziente ad una sperimentazione medica ai fini del trattamento in fase adiuvante del carcinoma mammario.

In particolare, la paziente era stata invitata a partecipare alla sperimentazione di un nuovo farmaco da due dottoresse dell’azienda ospedaliera in questione, dopo essere stata trattata con un intervento chirurgico e con terapia mediante chemioterapici, senza tuttavia ricevere preventivamente alcuna informazione specifica e senza essere adeguatamente aggiornata della portata dei rischi cardiologici relativi alla somministrazione di quel farmaco.

La paziente successivamente alla somministrazione del farmaco aveva manifestato problematiche cardiocircolatorie tali da determinare la necessità di sospensione del trattamento.

Proprio per questi motivi la paziente agiva in giudizio nei confronti dell’Azienda ospedaliera e della Casa farmaceutica che aveva promosso la sperimentazione per sentirle condannare in solido al risarcimento dei danni subiti per un importo di oltre 519.000,00 euro.

L’azienda ospedaliera e la casa farmaceutica si costituivano in giudizio chiamando in manleva la propria assicurazione.

Il tribunale accoglieva la domanda della paziente per l’importo di 138.000,00 euro, con condanna solidale delle due convenute e con rigetto della domanda di manleva.

La corte d’appello confermava la sentenza di primo grado e affermava la necessità di qualificare, nel caso di specie relativo alla somministrazione di un farmaco sperimentale, il rapporto tra la casa farmaceutica e il paziente utilizzatore del farmaco come da “contatto sociale”.

In considerazione di tale qualificazione, secondo la corte territoriale i connotati della colpa medica dovevano essere necessariamente valutati nell’ambito dello schema giuridico del rapporto contrattuale. Ciò detto, la sentenza di secondo grado aveva ritenuto sussistente una responsabilità della struttura sanitaria, non solo nella mancata informazione alla paziente dei rischi connessi al trattamento, ma anche e soprattutto nella non corretta valutazione circa gli effetti dannosi e il maggior rischio di malattie cardiache che il farmaco avrebbe potuto avere su una paziente che – come nel caso di specie – era già affetta da cardiopatie e si sottoponeva a cure chemioterapiche e ad antibiotici.

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La decisione della Cassazione.

La casa farmaceutica ha proposto ricorso per cassazione denunciando la violazione o la falsa applicazione dell’art.1218 c.c. e quindi l’erroneità della decisione della corte territoriale per aver riconosciuto a suo carico una responsabilità contrattuale da contatto sociale.

In particolare, secondo la casa farmaceutica, ritenere fondata la richiesta di risarcimento in virtù della negligenza, imprudenza e imperizia dei medici che non hanno valutato le condizioni pregresse della paziente ai fini della sua idoneità alla sottoposizione del programma terapeutico, significa imputare alla casa farmaceutica una condotta che non è in nessun modo ascrivibile alla medesima o a soggetti ad essa dipendenti.

Secondo la difesa della ricorrente, infatti, il ruolo della causa farmaceutica consiste nel fornire alle aziende ospedaliere i farmaci, anche sperimentali, lasciando al medico la valutazione di idoneità del paziente, non determinando tecnicamente alcun tipo di prossimità con il malato che li assume.

Gli ermellini hanno preliminarmente ripercorso l’origine in giurisprudenza della responsabilità da contatto sociale, ricordando che la stessa era stata necessaria per inquadrare la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto contrattuale con i pazienti, effettuavano attività paragonabili a quelle relative ad un contratto di prestazione di opera professionale.

In questo caso, secondo i giudici supremi, quindi, non è ovviamente possibile qualificare la responsabilità della causa farmaceutica come da contatto sociale, dato che la paziente non ha avuto rapporti diretti se non con i sanitari dell’Azienda ospedaliera.

In considerazione di ciò, per poter configurare una responsabilità contrattuale della casa farmaceutica occorre individuare un inadempimento rispetto ad un’obbligazione che si possa ritenere assunta dalla stessa nei confronti del paziente, anche se eseguita per il tramite di ausiliari.

Ai fini dell’individuazione della responsabilità del promotore della sperimentazione nei confronti del soggetto che vi sia stato sottoposto, secondo gli Ermellini è quindi necessario verificare se tale sperimentazione sia stata demandata integralmente allo sperimentatore o se il promotore abbia conservato una gestione della stessa che consenta di imputargli direttamente o indirettamente anche i danni conseguiti ad errori verificatesi in fase di esecuzione.

In altri termini, la casa farmaceutica che abbia promosso mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica eseguita da una struttura sanitaria, può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco solo nel caso in cui risulti che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito come ausiliari della casa farmaceutica.

Nel caso in cui non sia possibile individuare una responsabilità ex art. 1228 c.c. della casa farmaceutica, la eventuale responsabilità di quest’ultima non potrà che qualificarsi come di carattere extracontrattuale e sarà quindi da accertare in base alle regole proprie della stessa.

 

Infine la casa farmaceutica affermava tramite ricorso, la riconducibilità della patologia della paziente non tanto al principio attivo contenuto nel farmaco somministrato quanto piuttosto ai farmaci chemioterapici assunti in precedenza. Gli ermellini affermavano che tale eccezione era da ritenere inammissibile poiché la configurazione della responsabilità è postulato in chiave di responsabilità extracontrattuale.

Nel controricorso dell’’azienda ospedaliera (che configurava, in realtà, secondo gli Ermellini, una vero e proprio ricorso incidentale) quest’ultima ha censurato la decisione della corte territoriale in quanto i propri medici avrebbero adeguatamente informato la paziente sui possibili effetti collaterali del farmaco, in virtù del modulo sottoscritto da quest’ultima in cui erano espressamente indicati i rischi cardiologici conseguenti alla somministrazione del medesimo e la previsione della possibilità di sospensione dello stesso nel caso di problemi cardiaci sopravvenuti.

Sul punto, gli ermellini hanno ritenuto che la paziente, seppur adeguatamente informata, non era in grado di soppesare il rapporto rischi/benefici tra la somministrazione del farmaco e le patologie cardiache nonché ha ritenuto che la necessità di fornire ulteriori informazioni alla paziente fosse funzionale alla valutazione delle condizioni della donna prima di effettuarne il reclutamento per la sperimentazione.

D’altra parte, secondo i giudici supremi, nel caso di specie, la responsabilità della struttura sanitaria non riguardava tanto l’inadeguatezza delle informazioni finalizzate all’espressione del consenso della paziente, ma soprattutto l’aver omesso di considerare, ai fini del reclutamento della paziente stessa per la sperimentazione, l’esistenza di controindicazioni al trattamento sperimentale.

In considerazione di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla casa farmaceutica, cassando quindi la sentenza e rinviando la decisione alla corte d’appello in diversa composizione, ed ha dichiarato invece inammissibile il ricorso in via incidentale dell’azienda ospedaliera.

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Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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