Nasce un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato di portierato tra il condominio e colui che dopo aver ricevuto in comodato l’alloggio dell’ex portiere garantisce la vigilanza e custodia del caseggiato

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riferimenti normativi: artt.  1135 c.c.; 2094 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. lav., Sentenza n. 5297 del 06/03/2014

La vicenda

Un uomo riceveva in comodato d’uso gratuito dai condomini di un caseggiato l’appartamento situato a piano terra, svolgendo a favore della collettività condominiale l’attività di sorveglianza e custodia dell’ingresso del palazzo. Successivamente, però, l’uomo citava in giudizio tutti condomini del caseggiato, richiedendo all’Autorità Giudiziaria il riconoscimento di un rapporto di lavoro di portierato di fatto con il condominio. La domanda però veniva respinta. Al contrario la Corte d’Appello – pronunciando sull’impugnazione proposta dall’uomo e, dopo il suo decesso, proseguita dai suoi eredi –  dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di portierato con il condominio, disponendo la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza per l’accertamento di quanto richiesto a titolo di differenze retributive e di t.f.r.

Tale nuovo procedimento consentiva agli eredi del “portiere di fatto” di ottenere una nuova sentenza vittoriosa nei confronti dei condomini.

Infatti, la stessa Corte, con successiva sentenza, all’esito di una consulenza contabile, condannava i partecipanti al condominio, ciascuno in proporzione delle rispettive quote millesimali, al pagamento in favore degli eredi delle somme dovute per differenze retributive, oltre accessori di legge, nonché al rimborso delle spese relative ad entrambi i gradi del giudizio.

Alcuni condomini ricorrevano in cassazione, sottolineando come il contratto di comodato gratuito si riferisse a saltuarie attività a vantaggio della proprietà condominiale da parte del presunto portiere, in assenza di vincoli orari e con il contemporaneo rimborso spese per la pulizia delle parti comuni, effettuata da uno dei figli.

Si sottolineava, inoltre, che non era in alcun modo emerso un potere gerarchico e/o disciplinare nei confronti dell’uomo da parte della ricorrente principale, ma neppure da parte degli altri condomini. In particolare i condomini evidenziano che l’uomo era libero di organizzare la propria attività nel modo ritenuto più opportuno, scegliendo i tempi, il modo e i mezzi, nonché gli strumenti necessari per il suo operare in totale autonomia, in perfetta coerenza con le intese intercorse: in altre parole si riteneva mancasse il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

Infine si riteneva che gli eredi avrebbero dovuto formulare le domande non nei confronti dei condomini ma nei riguardi del condominio in persona dell’amministratore pro tempore.

La questione

Si può parlare di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato di portierato tra il condominio e colui che garantisce la vigilanza e custodia del caseggiato, abitando nell’alloggio dell’ex portiere sulla base di un contratto di comodato gratuito stipulato con i condomini?

La soluzione

La Cassazione ha dato ragione agli eredi del portiere di fatto.

I giudici supremi hanno negato rilevanza alle espressioni dell’accordo che parlavano di concessione in comodato dell’appartamento in cambio di saltuarie attività a vantaggio della proprietà condominiale, in assenza di vincoli orari e con il contemporaneo rimborso spese per la pulizia delle parti comuni. Del resto – ad avviso della Cassazione – proprio il contratto di comodato d’uso gratuito poteva, alla luce delle risultanze istruttorie acquisite, concorrere a dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. L’attività di portierato è risultata innegabile perché l’uomo aveva sempre goduto dell’alloggio condominiale di servizio, aveva espletato compiti di custodia e nei primi anni anche di pulizia dello stabile.

Il rapporto di lavoro subordinato è risultato evidente anche tramite le testimonianze che hanno confermato la presenza costante del “portiere” (e dei suoi familiari in sua sostituzione) per tutte le attività tipiche come quella del ritiro della posta.

Queste dichiarazioni sono state fondamentali per confermare lo svolgimento delle mansioni di portiere, rendendo del tutto irrilevanti le affermazioni dei condomini sul fatto che le attività di portierato venissero svolte in regime di piena libertà oraria e a solo titolo di riconoscenza.

La Cassazione ha considerato prive di rilievo anche le ulteriori affermazioni dei condomini – chiamati a retribuire a pieno titolo il lavoro del portiere – secondo cui la più bassa retribuzione corrisposta era limitata a quanto contenuto nell’accordo reciproco, che riconosceva solo un rimborso spese per le saltuarie attività di pulizia.

Le riflessioni conclusive

In via preliminare merita di essere ricordato come il CCNL dei portieri sia stato recentemente rinnovato (il contratto nazionale siglato avrà validità dal 1° gennaio 2020 fino al 31 dicembre 2022 e prevede un aumento contrattuale di 50 euro per i lavoratori inquadrati nei profili A3/A4, più un ulteriore aumento di 5 euro a partire dal 1° gennaio 2022 che potranno essere destinati al welfare, in particolare alla copertura dell’assistenza sanitaria complementare per i familiari dei lavoratori).

Ciò premesso bisogna considerare che la domanda giudiziale volta all’accertamento del rapporto di lavoro di fatto dal parte del soggetto che ha svolto il ruolo di portiere può essere formulata nei confronti dei condomini e non deve necessariamente essere formulata nei riguardi del condominio in persona dell’amministratore pro tempore.

La rappresentanza di quest’ultimo, peraltro, limitata alle sole cose comuni e alla loro gestione, non esclude comunque quella dei singoli compartecipanti alle pretese che vengono fatte valere appunto contro di loro – pro quota.

In altre parole deve essere chiaro che per le obbligazioni contratte dall’amministratore del condominio verso terzi, la legittimazione passiva dell’amministratore stesso deve ritenersi eventuale e sussidiaria, come prevede l’art. 1131, comma 2, c.c.; di conseguenza il terzo può legittimamente instaurare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, anziché dell’amministratore, cioè chiamare in giudizio, oltre a quest’ultimo, taluni o tutti i singoli condomini per l’accertamento dell’unico fatto costitutivo dell’unica obbligazione immediatamente azionabile anche nei loro confronti; del resto con riferimento alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, i singoli condomini rispondono in proporzione al valore della proprietà di ciascuno (Cass. civ., sez. II, 19/04/2000, n. 5117).

Chiarito quanto sopra si deve considerare che nel rapporto di portierato il rapporto di lavoro subordinato emerge dall’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro – condominio e dalla ingerenza che questo, mediante il controllo anche dei singoli condomini, esercita sulla applicazione dell’attività di portiere; in ogni caso quando -come nel caso esaminato – al lavoratore viene somministrato l’alloggio, lo svolgimento dei compiti di custodia e di vigilanza deve essere presunta – salvo prova contraria inequivoca – appunto per effetto di tale somministrazione.

L’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato quindi può essere desunta, oltre che da delibere assembleari, anche dalla esplicazione dell’attività lavorativa, dall’occupazione, da parte del lavoratore, dell’appartamento condominiale assegnato, e dall’accettazione della prestazione di lavoro da parte del condominio.

In ogni caso la retribuzione del rapporto di lavoro del portiere è suddivisa per ogni singolo condomino in maniera parziale “in base alle quote millesimali” di proprietà.

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