Mutamento giurisprudenziale «ampliativo» e rimessione in termini

Redazione 30/07/19
Scarica PDF Stampa

di Alberto Villa*

* Professore Aggregato nell’Università di Milano-Bicocca

Sommario

1. Premessa

2. L’impugnazione del lodo per errores iuris in iudicando

3. Il caso che ha dato origine all’eccezione di overruling

4. Segue: esclusione della configurabilità di un overruling processuale in ragione dell’effetto «ampliativo» della sopravvenuta esegesi giurisprudenziale

5. Overruling processuale e rimessione in termini

1. Premessa

Molto tempo è trascorso dalla tristemente nota (per le sue infauste potenzialità applicative) pronuncia delle Sezioni Unite che si era espressa per l’automatica dimidiazione dei termini di costituzione dell’opponente a decreto ingiuntivo[1], così sovvertendo l’ultracinquantennale orientamento secondo il quale una simile riduzione si sarebbe potuta verificare soltanto in caso di assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore rispetto a quello ordinario. È a partire da tale decisione che il tema del c.d. overruling processuale, e quindi del mutamento di indirizzo giurisprudenziale nell’interpretazione di una norma che disciplina il processo, con conseguente cambiamento delle «regole del gioco» in un momento in cui il «gioco» (il processo) è già in corso, è assurto agli onori delle cronache processualcivilistiche ed è stato oggetto di significative analisi e proposte risolutive[2], in primis da parte delle stesse Sezioni Unite, a partire dal noto arresto del 2011[3].

Purtuttavia, il tema dell’overruling processuale – nella peculiare (e limitata) accezione appena riferita – è ancora vivo nelle pagine della nostra giurisprudenza. Soprattutto, quella che potrebbe essere definita «l’eccezione di overruling» appare ormai entrata nell’ideale «armamentario» delle parti e (vista la natura prettamente tecnica della questione) dei loro difensori, che in plurime e variegate fattispecie hanno occasione di evidenziare, con fortune alterne, un sopravvenuto revirement giurisprudenziale asseritamente lesivo dell’affidamento riposto in una determinata regola che presiede allo svolgimento del giudizio.

[1] Cass., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19246, in Foro it., 2010, I, 3014.

[2] Senza pretese di esaustività, si segnalano gli scritti di Costantino, Il principio di affidamento tra fluidità delle regole e certezza del diritto, in Riv. dir. proc., 2011, 1073 ss.; Id., Governance e giustizia, in Id., Riflessioni sulla giustizia (in)civile (1995-2010), Torino, 2011, 69 ss.; Id., nota a Cass., 25 febbraio 2011, n. 4687 e Cass., 7 febbraio 2011, n. 3030, in Foro it., 2011, I, c. 1080 s.; Id., in Aa.Vv., Norme processuali e mutamenti di giurisprudenza, atti dell’incontro di studi tenutosi in Roma in data 24 maggio 2011, in www.cortedicassazione.it, 13 ss.; Id., La prevedibilità della decisione tra uguaglianza e appartenenza, in Riv. dir. proc., 2015, 645 ss.; Id., p>, in Riv. dir. proc., 2017, 712 ss.; Id., Il giudizio di cassazione tra disciplina positiva e soft law, in Giur. it., 2018, 777 ss.; Id., Appunti sulla nomofilachia e sulle «nomofilachie di settore», in Riv. dir. proc., 2018, 1443; Ruffini, Mutamenti di giurisprudenza nell’interpretazione delle norme processuali e «giusto processo», cit., 1390 ss.; Id., in Aa.Vv., Norme processuali e mutamenti di giurisprudenza, atti dell’incontro di studi tenutosi in Roma in data 24 maggio 2011, in www.cortedicassazione.it, 9 ss.; Verde, Mutamento di giurisprudenza e affidamento incolpevole (considerazioni sul difficile rapporto fra giudice e legge), in Riv. dir. proc., 2012, 6 ss.; Id., Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, cit., 505 ss. (spec. nell’Appunto bibliografico in calce all’articolo); Punzi, Il ruolo della giurisprudenza e i mutamenti d’interpretazione di norme processuali, in Riv. dir. proc., 2011, 1337 ss.; Id., La Cassazione da custode dei custodi a novella fonte di diritto?, in www.historiaetius.eu; Id., in Aa.Vv., Norme processuali e mutamenti di giurisprudenza, atti dell’incontro di studi tenutosi in Roma in data 24 maggio 2011, in www.cortedicassazione.it, 6 ss.; Briguglio, L’overruling delle Sezioni Unite sul termine di costituzione dell’opponente a decreto ingiuntivo; ed il suo (ovvio e speriamo universalmente condiviso) antidoto, in www.judicium.it; Consolo, La Cassazione civile tra lacune legislative e vocazioni ordinamentali, in Aa.Vv., Il ruolo del giudice nel rapporto tra i poteri, a cura di G. Chiodi e D. Pulitanò, Milano, 2013, 95 ss.; Id., Le Sezioni Unite tornano sull’overruling, di nuovo propiziando la figura dell’avvocato «internet-addicted» e pure «veggente», in Giur. cost., 2012, 3166 ss.; Proto Pisani, Un nuovo principio generale del processo, in Foro it., 2011, I, 117 ss.; Auletta, Irretroattività dell’overruling: come il «valore del giusto processo può trovare attuazione», in Il giusto proc. civ., 2011, 1117 ss.; Carpi, in Aa.Vv., Norme processuali e mutamenti di giurisprudenza, atti dell’incontro di studi tenutosi in Roma in data 24 maggio 2011, in www.cortedicassazione.it, 4; Caponi, Overruling in materia processuale e garanzie costituzionali (in margine a Cass. n. 19246 del 2010), in www.judicium.it; Id., in Aa.Vv., Norme processuali e mutamenti di giurisprudenza, atti dell’incontro di studi tenutosi in Roma in data 24 maggio 2011, in www.cortedicassazione.it, 18 ss.; Id., Il mutamento di giurisprudenza costante della Corte di cassazione in materia di interpretazione delle norme processuali come ius superveniens irretroattivo, in Foro it., 2010, V, 311 ss.; Cavalla, Consolo, De Cristofaro, Le S.U. aprono (ma non troppo) all’errore scusabile: funzione dichiarativa della giurisprudenza, tutela dell’affidamento, tipi di overruling, in Corr. Giur., 2011, 1397 ss.; Vanz, Overruling, preclusioni e certezza delle regole processuali, in Riv. dir. proc., 2012, 1078 ss.; D’Alessandro, L’errore scusabile fa il suo ingresso nel processo civile: il mutamento di un precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale quale giusta causa di rimessione in termini ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, in Corr. giur., 2010, 1476 ss.; Carbone, in Aa.Vv., Norme processuali e mutamenti di giurisprudenza, atti dell’incontro di studi tenutosi in Roma in data 24 maggio 2011, in www.cortedicassazione.it, 21 s.; Comoglio, Minime riflessioni di ordine sistematico in tema di perpetuatio iurisdictionis, tempus regit actum e overruling processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 525 ss.; Passanante, Il precedente impossibile. Contributo allo studio del diritto giurisprudenziale nel processo civile, Torino, 2018, 273 ss.; Id., Quando l’apparenza inganna: pronunce «ampliative» di diritti processuali e tutela dell’affidamento, in Foro it., 2019, I, 969 ss. Cfr. anche, si vis, Villa, Overruling processuale e tutela delle parti, Torino, 2018, passim.

[3] Cass., Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144, in Corr. giur., 2011, 1392.

2. L’impugnazione del lodo per errores iuris in iudicando

La vicenda ermeneutica che ha interessato l’art. 829 c.p.c., in relazione all’impugnazione del lodo rituale «per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia», rappresenta un’ulteriore pagina delle diverse epifanie della problematica dell’overruling processuale. In relazione a essa, si sono pronunciate, anzitutto, la prima sezione della Cassazione, con un’ordinanza di rimessione della questione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite[4], e, poi, le Sezioni Unite, con la sentenza 12 febbraio 2019, n. 4135[5].

Ripercorriamo sinteticamente la vicenda ermeneutica che ha interessato l’art. 829 c.p.c., per poi evidenziare, in relazione alla «risposta» – come vedremo negativa – fornita dalla Cassazione circa l’effettiva configurabilità, nel fattispecie sottoposta al suo esame, di un revirement giurisprudenziale lesivo dell’affidamento delle parti, un peculiare aspetto della tematica dell’overruling processuale, e cioè quello della sua natura «restrittiva», con conseguente espunzione dall’area delle pronunce rilevanti in subiecta materia delle decisioni di segno «ampliativo»[6].

Prima del 2006, l’art. 829, comma 2, c.p.c. prevedeva che «l’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile». In seguito alla riforma di cui al d.lgs. n. 40/2006, la regola, contenuta nel 3° comma del medesimo articolo, è quella secondo la quale «l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge». Mentre, ante 2006, il silenzio delle parti valeva a sancire l’ammissibilità dell’impugnazione del lodo per errores iuris in iudicando, dopo il 2006 dal silenzio delle parti scaturisce l’inammissibilità dell’impugnazione.

Sennonché, l’art. 27, comma 4, d.lgs. n. 40/2006 ha previsto che «le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25» – laddove l’art. 24 è quello che ha inciso sull’art. 829 c.p.c. – «si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto». Ne è derivato che le parti, che al momento della stipula di una convenzione di arbitrato anteriore al 2006 avevano scelto di lasciarsi aperta la strada della censura del lodo sotto il profilo della violazione delle regole di diritto, si sono trovate, attivato il giudizio arbitrale successivamente all’entrata in vigore della riforma, a iniziare un procedimento rispetto al quale, sulla base della medesima convenzione, sarebbe stata loro preclusa l’impugnazione del lodo per errores iuris in iudicando.

A fronte di questo scenario, post 2006 si sono registrate decisioni della giurisprudenza di merito in linea con la lettera del dato normativo, e quindi preclusive dell’impugnazione de qua anche in caso di convenzione stipulata ante 2006; e soltanto nel 2012 è intervenuta la prima pronuncia della Corte di Cassazione ammissiva dell’impugnazione del lodo per errores in iudicando allorché le parti non l’avessero espressamente esclusa nella convenzione d’arbitrato stipulata anteriormente alla riforma del 2006[7]. Infine, nel 2016 le Sezioni Unite hanno statuito che «l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal d.lgs. n. 40 del 2006, art. 24, si applica nei giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, per stabilire se è ammessa l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è quella vigente al momento della stipulazione della convenzione d’arbitrato»[8]. Pertanto, se la convenzione d’arbitrato è stata stipulata prima dell’entrata in vigore della riforma del 2006, il silenzio serbato dalle parti circa l’impugnabilità del lodo va interpretato in modo conforme alla legge del tempo, ossia all’art. 829, comma 2, c.p.c. olim vigente, e dunque nel senso che la volontà delle parti è ammissiva dell’impugnazione del lodo anche per errores iuris in iudicando.

[4] Cass., 2 agosto 2018, n. 20472, in Giur. it., 2018, 2449, con nota di Godio, Stella, Recupero dei motivi di nullità del lodo per errori di diritto non svolti tempestivamente?; e in Riv. arb., 2019, 81, con nota di Villa, “Volevo, ma non potevo”: il lodo ingiusto e l’affidamento della parte non impugnante.

[5] In Foto it., 2019, 5, I, 1623, con nota di Capasso, Di overrulings invocati a sproposito e di effetti collaterali del mai debellato sindacato diffuso di costituzionalità.

[6] Intendendosi le qualificazioni «restrittiva» e «ampliativa» nel senso che sarà chiarito nel testo.

[7] Cass. 19 aprile 2012, n. 6148, in Riv. arb., 2013, 411 ss. (con nota di Notarpasquale, Osservazione sulla applicazione nel tempo del nuovo art. 829, comma 3, c.p.c.): «Le modifiche apportate all’art. 829 c.p.c. dalla legge di riforma di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 sono volte a delimitare l’ambito d’impugnazione del lodo arbitrale, laddove le convenzioni concluse prima della sua entrata in vigore continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che disponeva l’impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente; ne consegue che, in difetto di una disposizione che ne sancisca la nullità o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la salvezza di tali convenzioni deve ritenersi insita nel sistema, pur in difetto di un’esplicita previsione della norma transitoria».

[8] Cass., Sez. Un., 9 maggio 2016, nn. 9284, 9285, 9341 (tutte del medesimo estensore; la prima pronuncia è edita in Giur. it., 2016, 1451, con nota di Consolo, Bertoldi, La piena sindacabilità del lodo per errori di diritto negli arbitrati basati su convenzioni ante 2006: si applica la nuova norma che tuttavia in tal caso ingloba l’antica).

3. Il caso che ha dato origine all’eccezione di overruling

È in questo quadro che si inserisce la vicenda che ha dato luogo alle richiamate pronunce della Corte di Cassazione. Nel caso di specie, la convenzione d’arbitrato era stata stipulata nel 2005 e la domanda arbitrale e l’impugnazione del lodo davanti alla competente corte d’appello erano state proposte rispettivamente nel 2007 e nel 2008. Nel giudizio svoltosi davanti alla corte d’appello, conclusosi nel 2017, la parte impugnante aveva sostenuto di aver «limitato» la propria impugnazione del dictum arbitrale ai soli errores in procedendo riponendo affidamento, oltre che nella lettera della norma, nella giurisprudenza olim invalsa, che precludeva all’impugnante la contestazione dell’ingiustizia del lodo anche a fronte di una convenzione d’arbitrato incolpevolmente silente (perché anteriore al 2006). Il che avrebbe giustificato, sempre nella prospettazione della parte impugnante, la rimessione della stessa in termini una volta intervenuta, pendente lite, l’esegesi normativa ammissiva dell’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.

Esclusa la rimessione in termini da parte della corte d’appello, il caso è giunto davanti alla Suprema Corte, che, con la già richiamata ordinanza dell’agosto 2018, ha ritenuto che «deve essere rimessa al Primo Presidente, ai fini della eventuale assegnazione alle Sezioni unite, la questione se, con riguardo alla vicenda ermeneutica dell’art. 829 c.p.c. e del d.lgs. n. 40 del 2006, art. 27, sia applicabile il principio del prospective overruling o, comunque, la rimessione in termini per “causa non imputabile” della decadenza, con riguardo alla nuova interpretazione delle predette disposizioni, resa dal giudice di legittimità, che abbia radicalmente disatteso la precedente interpretazione letterale offerta dalla giurisprudenza di merito (e, segnatamente, dal giudice chiamato a decidere l’impugnazione del lodo arbitrale), cui l’impugnante si era conformato».

Sennonché, come anticipato, con la sentenza n. 4135/2019 le Sezioni Unite hanno escluso la sussistenza di un overruling meritevole di tutela e, quindi, l’ammissibilità dell’invocata rimessione in termini.

4. Segue: esclusione della configurabilità di un overruling processuale in ragione dell’effetto «ampliativo» della sopravvenuta esegesi giurisprudenziale

Il supremo consesso ha fondato la sua decisione su una serie di articolati rilievi, alcuni dei quali concernono anche delicati profili ordinamentali[9].

Tra di essi, si evidenzia in questa sede il rilievo per cui l’overruling andrebbe escluso in quanto, nella specie, il sopravvenuto mutamento giurisprudenziale è risultato, sotto il profilo dei relativi effetti, «ampliativo» dei poteri delle parti, e non già «restrittivo»: l’esegesi giurisprudenziale pregressa escludeva l’impugnazione per errores in iudicando de iure; il mutamento di indirizzo sopravvenuto nel corso del giudizio di impugnazione del lodo l’ha ammessa. Il tutto con la conseguenza che la nuova esegesi avrebbe potuto trovare senz’altro immediata applicazione nel giudizio impugnatorio pendente davanti alla corte d’appello, senza alcuna necessità di invocare gli istituti dell’overruling e della rimessione in termini (a condizione peraltro che la parte avesse tempestivamente proposto, nel proprio atto di impugnazione del lodo, anche un’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, il che nella specie non era avvenuto[10]). Così le Sezioni Unite sul punto: «A meritare la tutela […] è la parte che vedrebbe frustrato il proprio legittimo affidamento nell’interpretazione resa dalla Suprema Corte nel momento in cui ha tenuto la condotta processuale, qualora fosse esposta agli effetti processuali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) derivanti dal successivo revirement giurisprudenziale», ed «è per questa ragione che la parte ha interesse a che la propria condotta processuale venga giudicata alla luce della norma come interpretata nel momento in cui quella condotta è stata tenuta, al fine di non incorrere negli effetti sfavorevoli e preclusivi determinati dalla nuova interpretazione giurisprudenziale»; per contro, «alla logica dell’istituto in esame […] è estranea l’ipotesi in cui il nuovo indirizzo giurisprudenziale sia ampliativo di facoltà e poteri processuali e sia la parte ad invocarlo perché più favorevole nei suoi confronti. Se il nuovo indirizzo interpretativo è in bonam partem, infatti, non vi è una lesione dell’affidamento meritevole della tutela da prospective overruling, al fine di superare decadenze o preclusioni maturate in osservanza del precedente indirizzo». Ancora, «a confermare la impraticabilità, nella specie, del rimedio della rimessione in termini da prospective overruling (per consentire alla ricorrente di denunciare con motivi aggiunti errori di diritto imputabili al lodo prima non denunciati) è l’osservazione che la parte imputa il lamentato pregiudizio non al nuovo orientamento espresso dalla sentenza n. 6148 del 2012 (e dalle Sezioni Unite nel 2016) – che anzi chiede di applicare perché ampliativo delle proprie facoltà impugnatorie e quindi favorevole -, ma alla personale e limitativa interpretazione della disciplina transitoria contenuta nel d.lgs. n. 40 del 2006, in materia arbitrale. Quindi non si oppone all’applicazione di un sopravvenuto orientamento giurisprudenziale visto come causa di una ingiusta decadenza per una condotta ossequiosa del precedente orientamento, solo successivamente modificato, come nella logica dell’overruling, che non può invocarsi quando, come nella specie, è il proprio errore interpretativo che costituisce causa diretta ed esclusiva della decadenza in cui è incorsa per non avere impugnato il lodo per motivi di diritto nei termini perentori di cui all’art. 828 c.p.c.».

[9] Come, in particolare, quello della responsabilità del difensore e quello del ruolo della giurisprudenza di merito (avuto riguardo al quesito se, tra le cause di legittimo affidamento nella scelta processuale della parte, possa annoverarsi anche tale giurisprudenza).

[10] Si tornerà a breve su questo aspetto.

5. Overruling processuale e rimessione in termini

In relazione alle riportate affermazioni delle Sezioni Unite, sembra condivisibile l’assunto per cui un problema di overruling in materia processuale ricorra soltanto se il mutamento interpretativo sia di tipo «restrittivo», generando «un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte»[11], e non già il contrario. Per un verso, «il rimedio restitutorio può essere legittimamente invocato solo da chi, per effetto del mutamento d’indirizzo giurisprudenziale, si trova soggetto ad un peggioramento qualitativamente significativo della propria posizione processuale, in particolare vedendosi privato del diritto ad un giudizio di merito, e così alla verifica giurisdizionale circa il fondamento delle proprie pretese o difese»[12]; e, per altro verso, «la piena ed immediata operatività dell’indirizzo novellamente accolto in bonam partem – oltre a debitamente premiare la parte che ha combattuto per la sua affermazione […] – non viene in alcun modo a tradire affidamenti meritevoli di tutela»[13], «tali non essendo quelli di chi, dietro allo schermo dell’invocazione della parità di trattamento, in realtà mira […] a sottrarsi ad una rinnovata verifica nel merito del fondamento della propria posizione sostanziale»[14].

Nella specie, l’interpretazione sopravvenuta ha ampliato, e non già ristretto, la verifica nel merito della lite, sicché la parte impugnante avrebbe potuto immediatamente giovarsene[15], ferma la possibilità, per la controparte, di chiedere un’eventuale rimessione in termini per difendersi rispetto alle nuove deduzioni ammesse (nella specie, per difendersi rispetto all’impugnazione del lodo per errores iuris in iudicando). Esattamente in questi termini si era svolto il giudizio di impugnazione del lodo conclusosi con la citata pronuncia del 2012 che costituisce la prima pronuncia della Suprema Corte favorevole all’orientamento «sindacalista», ammissivo dell’impugnazione di cui trattasi. In quel giudizio, nel quale il soccombente in arbitrato aveva impugnato il lodo per errores iuris in iudicando (deducendo anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 27 del d.lgs. n. 40/2006), e la controparte, vittoriosa in arbitrato, aveva sollevato eccezione «restrittiva» rispetto alla rinnovata verifica del merito della lite, sulla base del nuovo 3° comma dell’art. 829 c.p.c., la corte d’appello ha senz’altro applicato la nuova lezione esegetica nel processo pendente, trattandosi di indirizzo “ampliativo” rispetto alla celebrazione del giudizio di merito.

Le pronunce di segno “ampliativo”, ancorché innovative, non generano un problema di overruling processuale, non essendoci ragione, per la parte interessata, di chiedere la rimessione in termini o (secondo la logica sottesa al prospective overruling) l’applicazione della nuova lezione giurisprudenziale soltanto pro futuro: l’applicazione è immediata (come di regola dev’essere l’applicazione di ogni interpretazione fatta propria dal giudice adito), giacché giova alla parte, che accede a un rinnovato esame del merito. Di converso, l’altra parte, che aveva eccepito un impedimento rispetto al celebrando processo di merito (secondo l’invalsa tesi “restrittiva”) potrebbe chiedere di essere rimessa in termini rispetto alle (incolpevolmente trascurate) difese di merito, ma non è titolare di un affidamento meritevole di tutela rispetto alla chiusura del processo in rito laddove il giudice adito ritenga invece possibile e dovuta (ancorché sulla base di un’interpretazione innovativa) la pronuncia di merito.

Ciò detto, occorre da ultimo dar conto del problema – peraltro estraneo al tema dell’overruling processuale – per cui, nella specie, l’impugnante non ha potuto giovarsi dell’overruling ampliativo, avendo limitato la spiegata impugnazione agli errores in procedendo. Si tratta di contegno la cui valutazione – rectius, la valutazione circa la scusabilità dell’errore di diritto a esso sotteso – sembra assumere un peso determinante rispetto agli esiti della vicenda[16]. Le Sezioni Unite hanno dato rilievo al fatto che il difensore, «nella pluralità dei significati plausibili inclusi nel potenziale semantico del testo legislativo», dovrebbe scegliere quello più rigoroso, ovvero il senso che ponga la parte assistita quanto più possibile al riparo da decadenze e preclusioni. E ciò tanto più […] in presenza di un “pur larvato dibattito dottrinale” […] come quello emerso ben presto dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006, circa la plausibilità di un’applicazione immediata della riforma anche alle parti di convenzioni arbitrali stipulate anteriormente»[17]. Se per contro si assuma che, nel caso che ci occupa, l’impugnante abbia omesso di porre in essere un atto «ragionevolmente ritenuto […] vietato»[18], giusta la previsione letterale dell’art. 27 del d.lgs. n. 40/2006, allora potrebbe concludersi che nella specie la Cassazione avrebbe «perso l’occasione di affermare un principio più generale e potenzialmente deflativo, che avrebbe consentito agli operatori di continuare – pure in fattispecie diverse da quella in rassegna – a prestar fede alla lettera della legge (anche ingiusta), con la sicurezza di potersi giovare, eventualmente, di una sopravvenuta correzione in via interpretativa dell’ingiustizia»[19].

Resta comunque il fatto che, qualora si fosse ammessa la rimessione in termini, essa nulla avrebbe avuto a che fare con il problema «tipico» dell’overruling processuale, e cioè quello di sterilizzare il giudizio in corso rispetto all’applicazione della sopravvenuta esegesi (di tipo restrittivo): «all’opposto, la rimessione in termini sarebbe servita allo scopo inverso, ossia a quello di garantire non già la irretroattività, ma la retroattività del nuovo orientamento»[20], ampliativo dei diritti della parte che (incolpevolmente, in tale prospettiva) aveva omesso di spendere l’impugnazione del lodo per errores iuris in iudicando.

[11] Così, ex multis, Cass., Sez. Un., 11 marzo 2013, n. 5962.

[12] Cavalla, Consolo, De Cristofaro, op. cit., 1407.

[13] Cavalla, Consolo, De Cristofaro, op. cit., 1408.

[14] Cavalla, Consolo, De Cristofaro, op. loc. cit.

[15] Cfr. anche Godio, Stella, op. cit., 2454: «La ricorrente, infatti, non chiede che il suo agire processuale venga giudicato alla luce della norma (art. 829, 3º comma, c.p.c.) come interpretata al momento del compimento dell’atto di impugnazione, per poter così superare preclusioni o decadenze pur sempre riconducibili a quella norma […], ma conseguenti all’ascrizione ad essa, da parte del nuovo indirizzo interpretativo, di un significato già possibile ma diverso da quello in precedenza invalso. Tutto al contrario, si chiede venga applicata la norma (art. 829, 3º comma, c.p.c.) come interpretata dal successivo, più favorevole perché ampliativo degli spazi di tutela della parte, indirizzo giurisprudenziale. Il che già per ciò solo pone la fattispecie al di fuori dell’ambito di operatività del c.d. prospective overruling».

[16] Cfr. Godio, Stella, op. cit., 2455: «Il cuore del quesito è invece se alla parte che abbia rinunciato ad esercitare un potere processuale credendo di non averlo, per aver prestato orecchio ad una interpretazione giurisprudenziale più o meno diffusa di una norma (che a sua volta, testualmente, sembrava negare la spettanza di quel potere), ma senza aver ancora potuto beneficiare dell’interpretazione nomofilattica della norma all’apparenza limitatrice, possa muoversi un rimprovero di negligenza o di leggerezza eccessiva. O se invece la parte conservi intatta la possibilità di formulare una istanza di rimessione in termini, allorché (e non appena) l’interpretazione (pedissequamente letterale) della norma quale fornita dalla giurisprudenza di merito sia scalzata da un precedente nomofilattico, all’insegna di una interpretazione secundum Constitutionem prima non intravista dai giudici di merito. Eventualità non rarissima, dopotutto».

[17] Si tratta di soluzione senz’altro rigorosa, ma che, ad avviso di chi scrive, potrebbe risentire dell’assoluta peculiarità del caso in questione: nella specie, la norma sopravvenuta sovvertiva ex post, e irragionevolmente, la scelta espressa dalla parte nella convenzione di arbitrato, atto dal quale ex necesse il difensore avrebbe dovuto prendere le mosse nell’individuazione della latitudine dei poteri impugnatori da spendere nell’interesse della parte. Cfr. anche Villa, “Volevo, ma non potevo”, cit., 94 ss.; Godio, Stella, op. cit., 2458, ove i seguenti rilievi: «In concreto, la prova che la decadenza sia dipesa da un ragionevole timore di proporre una impugnazione inammissibile, sarà quanto mai ardua quando, come nella specie, la impugnazione del lodo deducente solo errores in procedendo sia stata proposta neppure un anno dopo l’entrata in vigore della riforma dell’arbitrato, sicché a stento si sarebbe potuta dire formata una qualsivoglia “corrente” giurisprudenziale, favorevole o contraria alla impugnabilità del lodo per errores in iudicando, tenuto conto dei tempi medi di definizione del giudizio di impugnazione avanti alle oberatissime corti d’appello. Ed inoltre, già all’indomani della riforma, non erano mancate voci attente al profilo transitorio […], ed a favore della persistente impugnabilità per errori di diritto del lodo pronunciato in virtù di compromesso anteriore al 2006». In generale, sulla rimessione in termini per «ignoranza o errore sulla norma processuale» e per «ignoranza della incostituzionalità della norma processuale», v. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 292 ss.

[18] Capasso, op. cit., 1640.

[19] Capasso, op. cit., 1644.

[20] In questi termini, Passanante, Quando l’apparenza inganna, cit., 974 (a commento del caso deciso da Cass., 3 ottobre 2018, n. 24133).

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento