Motivazioni ed indicatori di Benessere Organizzativo

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I cambiamenti susseguitisi nella Pubblica Amministrazione, di recente, hanno comportato un nuovo ruolo ed una nuova configurazione del lavoro: dalla riduzione del lavoro operativo, a ulteriori complessità legate alla governance, nonché a mutamenti nelle relazioni con gli stakeholders e con la tipologia di cliente/utente, si sviluppano in sostanza nuove professionalità in coerenza a nuovi bisogni.

La complessità dell’organizzazione comporta sempre di più mutamenti nelle condizioni di lavoro di tipo quali-quantitativo, pertanto è necessario che la le persone che operano nei servizi pubblici siano competenti, motivate e abbiano consapevolezza della centralità del loro ruolo.

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Il Benessere Organizzativo

La Pubblica Amministrazione, sia al fine di perseguire la propria mission che per poter svolgere ulteriori attività, che nel corso del tempo portano a diversi ambiti di intervento, siano esse cogenti (immigrazione, integrazioni culturali, aumento dei fabbisogni sociali) oppure volontarie (politiche attive del lavoro, sostegno del reddito, politiche di insediamenti produttivi), si trova a dover cambiare velocemente la propria struttura organizzativa, i propri processi di lavoro, e la composizione del proprio personale.

La qualità del personale è il prima tassello da far quadrare per ottenere performance migliori, pertanto per poter “captare” personale adeguatamente preparato bisogna operare oculatamente sul mercato del lavoro, la P.A. deve cioè cercare di essere maggiormente attrattiva per poter scegliere il personale più professionalizzato o i giovani più talentuosi, nell’ottica sempre di una politica di trasparenza e correttezza nelle selezioni, valorizzando titoli ed esperienze anche con profilo curriculare extrascolastico.

Un altro passo importante consiste nel far acquisire al proprio personale un maggior senso di appartenenza alla struttura aziendale e saper trasmettere le motivazioni giuste. In tale contesto migliorerebbe anche la comunicazione interpersonale, necessaria per la trasmissione di informazione utili per il lavoro e per l’utenza.

Non è da sottovalutare l’importanza della formazione e dell’aggiornamento delle capacità lavorative, anche multidisciplinari, legati cioè non solo all’ambito lavorativo nel quale si è posti, ma estendendo le conoscenze anche in altri campi, favorendo una professionalità trasversale utilissima in casi di mutamenti radicali nella propria organizzazione di lavoro.

Nell’ambito, quindi, delle peculiarità e delle necessità dell’organizzazione del personale, si inserisce l’ambito di analisi denominato Benessere Organizzativo, esso lo si può definire come “la capacità di un’organizzazione di promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione”.

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Evoluzione del Benessere Organizzativo

Nel corso del XX secolo, problemi inerenti lo stato di salute psicofisica del lavoratore e legati alla frequenza degli infortuni sul lavoro ha costituito un primo input affinché si discutesse di problemi riguardanti non solo l’organizzazione del lavoro ma la sua ricaduta sugli attori del processo lavorativo.

Con il trascorrere del tempo, l’interesse alla salute sul lavoro è andato evolvendosi verso un ambito più ampio tale che venissero considerati anche altri aspetti, non solo connessi ad una salute biologica e psicologica, ma anche a criticità legate al confronto-raffronto con l’ambiente lavorativo.

In questo modo comincia a prendere corpo ciò che noi definiamo “benessere organizzativo”.

La principale novità è consistita nello spostamento dell’interesse dalla prevenzione degli infortuni e malattie alla “conservazione attiva” della salute.

La salute, difatti, diventa un bene primario e solo in assenza di essa si può parlare di infortunio o malattia. Questi ultimi, infatti, non diventano più un fatto a se stante così come scaturito da un evento morboso, ma come un’interruzione della continuità del proprio stato di equilibrio naturale.

Questa diversa concezione della salute ha portato a politiche attive volte al miglioramento ed alla conservazione del benessere fisico e psichico.

Il ruolo delle persone, in tal caso, alla capacità di essere attori primari delle attività di prevenzione, con il miglioramento (o in certi casi, il cambiamento) dei propri stili di vita (bere, mangiare, attività fisica, etc.).

Secondo una certa letteratura, intervenuta dai primi anni del nuovo secolo, il comportamento dei dipendenti è strettamente collegato alle priorità che il management mostra di seguire.

Lo sforzo che il manager deve fare non è tanto cause esterne al sistema come fattore di aumento di infortuni e malattie, quanto, piuttosto affrontare questi aspetti come nell’ottica di comprendere le cause interne che generano aspetti negativi. Ragionare, cioè, in termini di pianificazione e problem solving.

Pertanto, da una semplice “cultura della sicurezza” si è passati, progressivamente, ad una cultura della “salute all’interno dell’organizzazione”.

Il passo successivo è consistito nel porre maggiore attenzione ad un bilanciamento ottimale tra vita lavorativa e vita privata, preludio ad una nuova cultura: l’importanza, per la salute nelle organizzazioni, di aspetti quali il clima e la cultura organizzativa.

Gli elementi che sono stati fattori caratterizzanti di questo nuovo tipo di approccio fanno riferimento ad un ambito di studi legati ai fattori di stress nel mondo lavorativo, all’importanza di aspetti ed osservazioni facenti riferimento ai problemi di sicurezza occupazionale ed soprattutto da mutate esigenze sorte nelle organizzazioni aziendali.

La psicologia delle organizzazioni interviene su alcuni fattori chiave, che combinati male insieme possono condurre a situazioni di criticità: l’ambiente di lavoro, l’individuo, la combinazione tra ambiente familiare e quello lavorativo. Si comincia, quindi, a parlare di “salute dell’organizzazione”.

Una successiva letteratura ha posto la necessità di stabilire una soglia dello stato di salute di un’organizzazione, al di sotto della quale si necessita di un (ex post) intervento correttivo. È stata introdotta anche la necessità di “misurarsi” su un’osservazione di lungo periodo, nella quale si deve considerare non solo l’efficienza lavorativa ma anche la possibilità di crescere e migliorarsi.

Metodologia del Benessere Organizzativo

Il benessere organizzativo deve strutturarsi sulla base di osservazioni e/o interventi in ambiti multidisciplinari i quali spaziano dai vari fattori ambientali, fisici (legati cioè alla singola persona) e sociali (che coinvolgono, cioè, il complesso di relazioni che il lavoratore ha sia nella sua situazione lavorativa che in quella legata alla sfera degli interessi sia personali che affettivi).

L’analisi pertanto deve focalizzarsi su questi principali fattori di intervento, osservando quelle che sono le principali categorie di reazione del lavoratore alla vita aziendale nonché ad eventuali cambiamenti.

Uno dei primi fattori è lo stress, sorvolando sulla descrizione che quest’ultimo ha nel campo della medicina, possiamo definirlo in questo modo: “Lo stress rappresenta la “pressione” di eventi psicologici che causano, nell’organismo, una reazione generale di adattamento agli stessi”.

Oltre ad un “evento psicologico” possiamo estendere questa definizione anche come la reazione ad un semplice fattore di cambiamento, interno od esterno.

Lo stress è un fenomeno soggettivo, in quanto ognuno percepisce e reagisce a possibili stressors, ovvero situazioni percepite potenzialmente stressanti.

Il termine generico stress viene distinto in distress, come stress “negativo” e disadattativo, che può condurre anche a reazioni patologiche, ed in eustress come stress “positivo”, che deriva dall’attivazione ed energia che gli impegni derivanti dalle pressioni ambientali stimolano nel soggetto.

Oltre però ad osservare come la persona sia in grado o meno di gestire e di affrontare situazioni stressanti, l’analisi deve spostarsi anche sul “come” certi ambienti lavorativi possano provocare o alleviare stati di disagio e di forte pressione.

L’analisi dello stress, difatti, si confronta con l’analisi della struttura organizzativa. Devono infatti valutarsi i dovuti pesi che una determinata modalità di lavoro porta sulla persona con riguardo alle condizioni singole del lavoratore stesso.

L’approccio ottimale, relativamente a questo tipo di analisi, consiste nell’individuare determinate aree di intervento: una diretta al singolo, una diretta all’organizzazione, una diretta al binomio organizzazione-individuo, inteso come l’insieme delle relazioni personali volte a favorire gruppi di lavoro.

L’approccio alla singola persona consente di potenziare le risorse individuali necessarie ad affrontare con maggiore efficacia le situazioni ritenute stressanti. L’approccio all’organizzazione, invece, può favorire i cambiamenti nella struttura stessa o nella selezione e formazione dei lavoratori, o a politiche aziendali flessibili e orientate al coinvolgimento positivo delle persone.

L’analisi orientata ai gruppi di lavoro dà la possibilità di agire sui rapporti interpersonali e sul rapporto uomo-ambiente di lavoro. In tal caso si può intervenire in base ad almeno tre livelli: uno primario (riduzione dei fattori causanti lo stress), secondario (gestione dello stress), terziario (assistenza e supporto al lavoratore).

Il livello primario, a differenza degli altri, si fonda sulla prevenzione, cercando di eliminare una probabile fonte di stress prima che quest’ultimo si manifesti. Dunque, invece di agire sulle conseguenze, si modificano quei fattori organizzativi ritenuti possibili cause di stress.

Un’organizzazione che sia in salute non necessiterebbe di interventi di secondo e terzo livello poiché interverrebbe direttamente sulle potenziali cause di stress e non sulle relative conseguenze.

Al fine di poter valutare lo “stato di salute” di un’organizzazione lavorativa bisogna effettuare un’analisi del clima organizzativo, e valutare una serie di indicatori di “benessere” o “malessere” organizzativo.

L’Analisi del Clima Organizzativo

Il termine “clima organizzativo” indica la percezione di un determinato ambiente da parte delle persone, percezione che è in grado di condizionare e influire sull’andamento delle attività in quell’ambiente e sui vissuti di quelle stesse persone.

Tenendo conto che non sono solo i membri dell’organizzazione a percepire un clima, ma anche i soggetti esterni. Tali sensazioni sono ampiamente condivise dei membri della stessa unità lavorativa, ma nella stessa azienda possono esistere climi molteplici poiché l’ambiente organizzativo può essere percepito diversamente da membri appartenenti a livelli diversi, di diversa posizione gerarchica, oppure di uffici diversi ma nella stessa posizione.

L’analisi del clima organizzativo è condotta seguendo il metodo della ricerca-intervento: si raccolgono e analizzano dati allo scopo di intervenire sul sistema osservato. Può essere a causa di una situazione generalizzata, oppure di un cambiamento recente che ha modificato gli equilibri esistenti in azienda e a cui è necessario far fronte.

Gli ambienti di indagine potrebbero riguardare:

  • sicurezza, comfort, igiene dell’ambiente di lavoro;
  • trasmissione (intesa non solo come comunicazione ma come “funzione pedagogica”), ai vari livelli gerarchici sottoposti, degli scopi e delle modalità degli obiettivi raggiunti;
  • grado di “trasparenza” delle decisioni assunte (perché si è deciso così ? Per quale motivo ?);
  • ambito di sviluppo e promozione delle potenzialità dei dipendenti (incoraggiamento o scoraggiamento al proseguimento degli studi ? Valorizzo gli interventi esterni nei convegni, o in pubblicazioni, dei dipendenti ? O invece vengono scoraggiati ?);
  • grado di circolazione, delle informazioni anche le più elementari;
  • ambito di collaborazione (o, in alternativa, siamo in presenza di un ambito di lavoro concepito come un bene di proprietà in cui nessuno può “metterci le mani” ?);
  • politiche retributive, nei limiti del consentito;
  • sentimento di utilità sociale dei dipendenti;
  • predisposizione alle innovazioni;
  • eventuale grado di conflittualità.

Un’analisi del clima aiuterebbe non poco all’individuazione degli indicatori necessari, essa serve a capire, o meglio a testare il buonumore/malumore dei dipendenti, individuare le aree critiche sui cui bisogna intervenire e quelle su cui si può sorvolare.

L’analisi del clima, da effettuare mediante questionari, deve essere fatta in forma assolutamente anonima, favorendo però una forma di “auto-selezione” delle risposte in modo non da individuare chi ha dato le risposte ma quale tipologia di dipendente le fornisce con una certa omogeneità e le motivazioni che possono spingere ad eventuali malumori.

Una proposta di analisi del clima può essere riassunta nella tabella 1:

Tabella 1

Domande

redatte in

forma sintetica

Anni di

servizio nella

struttura

organizzativa

Giudizio Indicatori

dei

fattori negativi

Indicatori

Dei

fattori positivi

Suggerimenti di miglioramento o innovazione
Domanda 1 ………….. ………….. ………….. …………..
Domanda 2 ………….. ………….. ………….. …………..
Domanda 3 ………….. ………….. ………….. …………..
………….. ………….. ………….. ………….. …………..
………….. ………….. ………….. ………….. …………..

Le domande redatte in forma sintetica devono essere il meno generalizzate possibili, proprio perché ciò che si vuole comunicare al lavoratore deve essere esplicito, trasparente e lampante, così come la risposta che ci aspettiamo.

Gli anni di servizio nell’ente servono proprio ad una forma di “auto-selezione” del dipendente che garantisce anche l’anonimato. Sapere da quanti anni una persona lavora nello stesso ente ci aiuta a dare una prima valutazione della credibilità o meno dei giudizi espressi.

Esempio: un neo-assunto (da uno o due anni) tenderà a dare una maggioranza di risposte positive, poiché il grado di soddisfazione raggiunto per l’assunzione avvenuta lo porteranno a guardare anche i fattori critici con un occhio più positivo.

Viceversa chi ha diversi anni di servizio (ed è prossimo al pensionamento) tenderà non tanto a dare giudizi troppo critici ma, essendo interessato al mantenimento dello status quo esistente, tenderebbe a lasciare in bianco la colonna dei suggerimenti di eventuali miglioramenti o innovazioni.

Questi esempi appena descritti sarebbero pertanto da considerare in modo molto marginale rispetto a chi ha anni di servizio intermedi e soprattutto riesca ad elencare in modo preciso i fattori negativi e quelli positivi da lui riscontrati e formuli proposte di miglioramenti/innovazioni ragionevoli e non irrazionali o irragionevoli.

Indicatori di benessere e/o di malessere

Combinando i risultati aggregati dell’analisi del clima con osservazioni e/o indagini su fatti e comportamenti si possono individuare quei fattori che ci indicano in modo puntuale gli aspetti di criticità su cui occorre intervenire, o, viceversa, gli oggetti positivi da valorizzare.

I maggiori indicatori da considerare ed analizzare possono essere i seguenti:

Indicatori di benessere

Elemento osservato Significato
Senso di appartenenza. Dà indicazione di soddisfazione per sentirsi parte di un team e ne condivide la mission.
Voglia di impegnarsi per l’organizzazione. Desiderio di lavorare per l’organizzazione, anche oltre il richiesto, voglia di fare il più possibile e di riqualificarsi, se richiesto, nell’organizzazione.
Voglia di andare al lavoro. Piacere quotidiano piacere nel recarsi al lavoro, “nessun senso di peso” nel recarsi il giorno al lavoro.
Elevato coinvolgimento. Sensazione di essere importanti per l’azienda; di essere stimati e tenuti in considerazione.
Speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali. Fiducia nelle proprie possibilità di poter suggerire o contribuire con il management per superare criticità osservate.
Rapporto tra vita lavorativa e privata. Compatibilità tra gli impegni di lavoro e il tempo richiesto dalla propria vita privata (esigenze familiari, studio, hobbies, etc.).
Relazioni interpersonali. Ottimo rapporto con i colleghi, caratterizzato dal buon andamento dei rapporti lavorativi, ma anche da una buona relazione extralavorativa (amicizia, cordialità, condivisione dei coffe-break e delle pause pranzo, etc.)
Valore della gerarchia. Condivisione del ruolo che intercorre tra superiorità gerarchiche e subordinati e dei valori generali espressi dall’organizzazione.
Immagine del complesso dell’organizzazione. Fiducia nelle capacità realizzative dell’organizzazione, dell’efficacia e dell’efficienza della sua azione.

Indicatori di malessere

Elemento osservato Significato
Insofferenza nell’andare al lavoro. Nessun piacere quotidiano nel recarsi al lavoro. Sensazione di “non aver voglia di alzarsi dal letto” per recarsi al lavoro. Indicato uno scarso senso di identificazione con l’azienda.
Disinteresse per il lavoro. Scaturisce da scarsità di motivazioni per effettuare efficacemente il proprio lavoro; possono essere motivate da vari fattori quali: mancato incentivo retributivo o da mancate attitudini per le mansioni richieste.
Desiderio di cambiare lavoro. Il desiderio di cambiare lavoro è un elemento naturale quando è legato a legittime aspirazioni di miglioramento professionale o retributivo. Diventa un aspetto “patologico” quando è ricercato senza motivazioni particolari, con insistenza, o legato a fattori organizzativi.
Covare risentimento verso l’organizzazione. Il dipendente prova rancore-rabbia nei confronti della propria organizzazione fino ad esprimere un desiderio di rivalsa. Può dipendere da discordie pregresse, mancate promozioni, difficoltà di rapporti interpersonali ritenute non curate a sufficienza dall’organizzazione.
Aggressività inabituale e nervosismo. Eccessiva aggressività, anche solo verbale ed irritabilità mostrano difficoltà non solo nei rapporti interpersonali ma anche quelle con il cliente-utente. Può scaturire da scarse attitudine a determinati tipi di lavori, ma anche da eccessivi carichi di lavoro o mancato coordinamento da parte dei superiori.
Disturbi psicosomatici. Sintomi di ansia, depressione e disturbi del comportamento in genere. Possono derivare da fattori soggettivi ma anche essere amplificate da cattiva organizzazione e rapporti interpersonali negativi.
Sentimento di inutilità. La persona percepisce la propria attività come vana, inutile, non riconosciuta nel proprio ruolo, non valorizzata.
Sentimento di irrilevanza. La persona percepisce sé stessa come poco rilevante, inserita in una routine lavorativa dell’organizzazione, e facilmente sostituibile.
Lentezza nel lavoro. I tempi per portare a termine i compiti lavorativi diventano lenti senza una giustificazione. Sentimento di sufficienza nell’affrontare le mansioni lavorative.
Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti, ecc. La persona non ha chiaro “chi fa cosa”, ciò determina disagio, confusione e nervosismo senza che compaia nessun desiderio di porvi rimedio.
Assenza di propositività e/o di osservazioni. E’ assente sia la disponibilità ad assumere iniziative che il desiderio di sviluppo delle proprie conoscenze professionali, oltre ad esprimere chiaramente e correttamente quali sono i fattori critici del lavoro e formulare le proposte di miglioramento.
Aderenza formale alle regole. Nessuna partecipazione emotiva positiva al lavoro. Percezione del lavoro come una “cosa da fare e basta”. Mancato senso di motivazione delle regole, ignoranza dei principi fondamentali del proprie mansioni. Senso di sufficienza ed appiattimento “meccanico” al lavoro svolto

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