Misure di contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale: normativa italiana

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Il fenomeno del finanziamento al terrorismo ha assunto, nelle ultime decadi, universale importanza. Infatti, riuscire a controllare i traffici economici volti al finanziamento di associazioni terroristiche significa colpirle duramente, togliendo loro i flussi di capitale necessari per l’organizzazione delle attività criminali. Sia a livello internazionale che europeo sono state predisposte misure di prevenzione e contrasto alla circolazione dei capitali, con l’obiettivo di uniformare su più livelli la normazione di questo fenomeno. La legislazione italiana sul tema risulta essere l’attuazione di interventi provenienti dagli ordinamenti sovraordinati.

Definizione del fenomeno

Per quanto concerne l’ordinamento giuridico italiano, la legge 15 dicembre 2001, n. 438 modificò l’art. 270 bis c.p., introducendo tra le fattispecie che integrano il reato di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, il finanziamento dell’associazione. Esso deve essere posto in essere allo scopo di mantenere e rafforzare l’associazione terroristica o progettare attacchi terroristici; per questo motivo, si deve trattare di un apporto consistente. Tuttavia, la definizione di finanziamento del terrorismo fu indicata successivamente dal decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109, art. 1, c. 1, lett. a, come: “qualsiasi attività diretta, con qualsiasi mezzo, alla raccolta, alla provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione di fondi o risorse economiche, in qualunque modo realizzati, destinati ad essere, in tutto o in parte, utilizzati al fine di compiere uno o più delitti con finalità di terrorismo o in ogni caso diretti a favorire il compimento di uno o più delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale, e ciò indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione dei delitti anzidetti”.

Tale fenomeno include, dunque, tutte quelle attività che coinvolgono risorse di natura lecita o non destinate ad attività delittuose di terrorismo. Dev’essere innanzitutto specificato che quando si parla di spostamento di ingenti flussi finanziari si fa riferimento al livello di macrofinanziamento, in cui la protagonista è l’organizzazione principale e non tanto il livello di microfinanziamento o anche detto di autofinanziamento, in cui gruppi minori provvedono in maniera autonoma a trovare i fondi. Per attività si intende un insieme di fasi facenti parte di un unico processo: raccolta, provvista, deposito, custodia, erogazione di fondi o di altre risorse economiche. Solitamente le maggiori fonti finanziarie provengono da attività illecite come il narcotraffico o il favoreggiamento della dell’immigrazione clandestina. Le risorse sono il denaro riciclato, quindi l’utilizzo di proventi frutto di attività criminose (cd. money laundering) o denaro “pulito”, il cui solo successivo utilizzo è illecito (cd. money dirtyng). Recentemente appaiono utilizzate anche le nuove tecnologie come i bitcoins, che rendono difficile individuare i soggetti che eseguono le transizioni. In ogni ipotesi è palese l’intento di celare la reale provenienza del denaro.

Il legame tra terrorismo e riciclaggio appare, dunque, molto forte perché il primo può essere considerato il suo reato presupposto e riciclare il denaro è un modo per re immetterlo nel circuito economico occultandone l’origine.

Va, tuttavia, ricordato che l’azione può essere finanziata anche tramite attività lecite come donazioni o la costituzione di imprese.

I metodi di contrasto al finanziamento del terrorismo

Due sono i principali metodi di contrasto al finanziamento del terrorismo: il cd. black listing e le misure di congelamento.

Con la Risoluzione n. 1267/1999, con il fine di contrastare Al-Qaeda, il Consiglio di Sicurezza  dell’ONU introdusse la procedura di congelamenti di fondi e altre risorse economiche; gli individui sarebbero stati riconosciuti grazie all’inserimento di una cd. black-list gestita dal Comitato per le Sanzioni. Oltre a queste funzioni, esso aveva il generale scopo di impedire con ogni mezzo le attività dei gruppi terroristici. A livello comunitario, la risoluzione fu prima attuata prima con la Posizione Comune 2002/402/PESC e poi tramite Regolamenti. Ad oggi è confluita nel Regolamento CE n. 881/2002.

Con il termine black list si intende un elenco di persone o gruppi coinvolti in attività di stampo terroristico che, vengono qui inserite sulla base dell’individuazione da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU e della decisione di una competente autorità giudiziaria, solitamente presa in seguito all’apertura di indagini per atti terroristici o l’avvenuta condanna. Inoltre, l’iter di inserimento prevede la presentazione di una proposta che va esaminata e approvata da parte del Consiglio. Lo stesso organo si occupa, una volta ogni sei mesi di riesaminare i nominativi e l’opportunità del loro mantenimento.

L’inserimento comporta l’applicazione di misure restrittive quali il congelamento di capitali e di attività finanziarie e le misure rafforzate di cooperazione di polizia e giudiziaria. Va ricordato che mentre le prime coinvolgono anche soggetti di paesi terzi, le seconde riguardano esclusivamente soggetti appartenenti alla UE.

I soggetti inseriti vengono informati tramite lettera di notifica, di fronte alla quale posso reagire in vario modo. Posso chiedere al Consiglio che il loro caso venga riesaminato proponendo documenti giustificativi; impugnare la decisione di inserimento e/o quella riguardante le misure restrittive.

Lo scopo di quest’azione di contrasto, basata sulla cooperazione internazionale, è evidentemente quella di predisporre misure preventive che ostacolino il già possibile le condotte prodromiche agli attentati terroristici. Esse sono chiamate cd. smart o targeted sanctions, per il fatto che sono rivolte non a Stati ma a singole persone, siano esse fisiche o giuridiche.

Per quanto riguarda il congelamento, la disciplina europea si è dimostrata decisamente più compiuta rispetto a quella internazionale. Infatti, né la Risoluzione n. 1276/1999, primo passo nella lotta al terrorismo internazionale né la Risoluzione n. 1373/2001, che aveva esteso l’applicabilità della misura e aveva disciplinato in maniera più dettagliata, ne avevano fornito una definizione.

A livello europeo essa è rinvenibile all’art. 1 del Regolamento CE n. 2580/2001 “relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo”: «Congelamento di capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche»: divieto di spostare, trasferire, alterare, utilizzare o trattare i capitali in modo da modificarne il volume, l’importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura e la destinazione o da introdurre altri cambiamenti tali da consentire l’uso dei capitali in questione, compresa la gestione di portafoglio».

Nonostante, la legge 31 luglio 155, n. 2005, promulgata in seguito agli attentati terroristici che colpirono Londra nello stesso anno, avesse già esteso a quest’ambito le misure già previste per contrastare la criminalità organizzata, è solo con il d.lgs. 22 giugno 2007, n. 109, emanato in attuazione della direttiva 2005/60/CE, che la materia in questione trovò una più completa sistemazione.

Innanzitutto, il decreto legislativo fornisce una serie di definizioni normative, disciplinate ex art. 1. Il testo di legge fa riferimento sia al congelamento di fondi che di risorse economiche. Per congelamento di fondi, ex art. 1, comma 1, lett b, si intende: «divieto di movimentazione, trasferimento, modifica, utilizzo o gestione dei fondi o di accesso ad essi, così da modificare il volume, l’importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura, la destinazione o qualsiasi altro cambiamento che consente l’uso degli stessi, compresa la gestione di portafoglio». Per fondi, la lettera f dello stesso articolo prevede le «attività ed utilità finanziarie di qualsiasi natura» anche possedute per interposta persona, sia essa fisica o giuridica. Diversamente da questi, la lettera i definisce le risorse economiche come tutto quelle attività che possono essere utilizzate «per ottenere fondi, beni o servizi, possedute, detenute o controllate, anche parzialmente, direttamente o indirettamente, ovvero per interposta persona fisica o giuridica, da parte di soggetti designati, ovvero da parte di persone fisiche o giuridiche che agiscono per conto o sotto la direzione di ultimi». In generale ciò che viene sottoposto a congelamento non può costituire oggetto di atti di trasferimento, di disposizione o utilizzo, anche nel caso in cui queste operazioni siano fatte a vantaggio di terzi, pena nullità degli atti.

L’art. 4 prevede che il provvedimento sia adottato tramite decreto del MEF in concerto con il Ministro degli affari esteri e su proposta del Comitato di sicurezza finanziaria. Questo istituto fu istituito dalla legge 14 dicembre 2001, n. 43. Esso è preposto a varie funzioni: esso adotta i provvedimenti di congelamento dei regolamenti comunitari, vigila sull’utilizzo del sistema finanziario italiano e, forma liste di nominativi che ritiene siano sottoponibili al congelamento, coordina in generale le attività di contrasto al finanziamento del terrorismo.

In questo contesto svolge un ruolo fondamentale anche la UIF, Unità di informazione finanziaria per l’Italia, giacché, ex art. 10, comma 2, è questo organo che diffonde le liste dei soggetti designati dal Consiglio di Sicurezza ONU, dall’Unione Europea e anche dall’OFAC, l’Office of Foreign Asset Control, predisposta dalle autorità statunitensi.

Rapporto tra misure di congelamento e misure preventive nazionali

Per quanto riguarda la realtà nazionale, deve essere sottolineato il rapporto tra misure di congelamento e sequestro e confisca come misure di prevenzione. Al pari delle ultime due che sono sono misure para penalistiche ante-delictum, anche il cd. freezing asset comporta un’anticipazione della soglia di punibilità. Tuttavia la loro applicazione avviene alla fine di un procedimento amministrativo ma non giurisdizionale, ponendo così gravi problemi con i diritti fondamentali e le garanzie processuali, maggiormente prese in considerazione all’interno del nostro ordinamenti. Tali misure incisive sono tuttavia necessarie per un’efficace lotta al terrorismo internazionale.

Ai sensi dell’art. 16, lettera b del Codice Antimafia è previsto che misure di prevenzione siano destinabili alle «persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o ad altro organismo internazionale competente». Le misure preventive sono quindi applicabili a coloro che vengono inseriti nelle liste. Come già anticipato, l’atto di inclusione in tali liste avviene in assenza di contraddittorio tra le parti e non deve essere avvicinato all’indizio di reità, potendo essere al massimo avvicinabile a uno spunto investigativo, posto che la prova della finalità di terrorismo debba formarsi secondo le regole previste dalla legge processuale. Per gli stessi motivi è disposto, inoltre, che il congelamento si concluda in tempi ragionevoli e in due modi tra loro chiaramente alternativi (confisca o restituzione del bene); i beni congelati devono essere conservati; deve essere garantita la possibilità di avvalersi di rimedi giuridici.

Le recenti misure inserite

Riprendendo le parole della relazione del Comitato di Sicurezza Finanziaria del 2015, le procedure di listing delle Nazioni Unite si sono dimostrate lente e farraginose e hanno ispirato una «riflessione sulla opportunità di progettare un sistema di liste nazionali». Con questa consapevolezza, il dlgs n. 90/2017 ha previsto che le autorità nazionali possano esercitare un autonomo potere di controllo, allo scopo di rendere più efficaci e snelli i controlli.

Il nuovo testo di legge ha modificato in larga parte il dlgs 21 novembre 2007, n. 231. In particolare i compiti del MEF e della UIF sono stati notevolmente ampliati, mentre il nuovo titolo II prevede più rigidi obblighi di verifica. Le nuove fattispecie introdotte sono condotte attive e fraudolenti, come i reati di falsificazione, che ancora una volta evidenziano lo stretto legame tra il riciclaggio di denaro e il finanziamento al terrorismo.

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