Messa alla prova e incendio boschivo colposo: no della Consulta

La Corte costituzionale esclude l’illegittimità dell’art. 168-bis c.p.: resta preclusa la messa alla prova per l’incendio boschivo colposo.

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La Consulta dichiara non illegittimo costituzionalmente l’art. 168-bis, co. 1, cod. pen. sulla messa alla prova: vediamo in che modo. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

Corte costituzionale – sentenza n. 191 del 17-11-2025

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Indice

1. Il caso concreto e la richiesta di messa alla prova in udienza preliminare


Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Cagliari stava procedendo in sede di udienza preliminare, a carico di una persona accusata di avere commesso il reato di incendio boschivo colposo, dovendo altresì decidere sull’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova presentata dall’imputato. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

2. Il dubbio di costituzionalità sull’art. 168-bis c.p. e il parametro dell’art. 3 Cost.


Alla luce della situazione venutasi a determinare, il G.U.P. di Cagliari sollevava, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, nella parte in cui «non consente la sospensione del processo con messa alla prova in relazione al delitto di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, secondo comma, c.p.».
In particolare, ad avviso del rimettente, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. sarebbe stata rilevante nel giudizio a quo in quanto, pur risultando soddisfatte le condizioni in presenza delle quali poteva essere disposta la messa alla prova, tuttavia, il citato art. 168-bis cod. pen. limita l’operatività dell’istituto in esame alle ipotesi in cui si proceda «per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale» mentre, dal canto suo, l’incendio boschivo colposo è punito con la pena massima di cinque anni di reclusione e non rientra nel novero di quelli a cui, ai sensi del menzionato comma 2 dell’art. 550, si applica il procedimento per citazione diretta a giudizio, il che preclude la concessione della messa alla prova.
Ciò posto, in ordine invece alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo riteneva che l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. violi l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza.
In effetti, una volta fattosi presente che il rinvio della norma censurata all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen. «[fa] sì che l’accesso all’istituto sia consentito per delitti dolosi più gravi, per limiti di pena minima e massima, di reati colposi […] che non permettono la sospensione del processo con messa alla prova», si notava però che tale effetto «non deriva da valutazioni discrezionali del legislatore sul reato specifico», bensì dall’applicazione di un criterio, quello dell’accertamento processuale, che è «eccentrico rispetto alla ratio dell’ammissibilità o no della messa alla prova», che dovrebbe fondarsi sulla gravità del reato, tenuto conto altresì del fatto che, se il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) ha notevolmente ampliato il catalogo dei reati di cui all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., includendovi fattispecie criminose dolose, caratterizzate dalla «semplicità dell’accertamento processuale» e punite con una pena edittale massima fino a sei anni di reclusione, ad ogni modo, il medesimo decreto, invece, non ha attuato la delega legislativa laddove prevedeva l’estensione dell’ambito applicativo della messa alla prova a reati che, pur puniti con pena superiore, nel massimo, a quattro anni di reclusione e non compresi nei casi di «citazione diretta» a giudizio, «si prest[assero] a percorsi risocializzanti o riparatori».
In conclusione, ad avviso del rimettente, sarebbe stata dubbia la «razionalità dell’esclusione dall’istituto di un reato come quello in analisi, che rientra nel limite di pena di sei anni e che si presta certamente a percorsi risocializzanti o riparatori, innanzitutto per la sua natura colposa», osservandosi al contempo come non vi sarebbero stati «i presupposti per la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale in relazione [al parametro] della finalità rieducativa della pena», essendo stata la analoga censura già dichiarata non fondata dalla sentenza n. 146 del 2023.

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3. La discrezionalità legislativa e la tecnica del rinvio mobile secondo la Consulta


La Corte costituzionale – dopo avere ripercorso le argomentazioni sostenute nell’ordinanza di rimessione e reputate le eccezioni prospettate dall’Avvocatura dello Stato non meritevoli di accoglimento – reputava la questione sollevata dal rimettente infondata.
In particolare, il Giudice delle leggi osservava a tal proposito innanzitutto che l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. delimita l’ambito applicativo della sospensione del procedimento con messa alla prova sia mediante il riferimento al limite di pena del reato per cui si procede («pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni», oltre che, in ipotesi, solo pena edittale pecuniaria), «sia mediante il rinvio mobile a tutti i reati indicati dal comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen.» (sentenza n. 139 del 2025), il cui elenco «si è arricchito di numerosi reati, tutti puniti mediamente con pena edittale di cinque anni di reclusione, talora anche di sei anni; quindi oltre la soglia di quattro anni di cui [al medesimo art.] 168-bis, primo comma» (sentenza n. 146 del 2023).
Premesso ciò, si notava oltre tutto come la Consulta abbia « già più volte riconosciuto al legislatore “un’ampia discrezionalità nella definizione dei limiti oggettivi” – ad esempio riferiti ai limiti di pena o a “specifici titoli di reato (individuati nominativamente o, come in questo caso, attraverso il richiamo a una categoria definita da altra disposizione)” – entro i quali possono trovare applicazione gli istituti del diritto penale punitivo “non carcerario”, sempre che la scelta normativa non risulti manifestamente irragionevole, creando insostenibili disparità di trattamento (così, da ultimo, sentenza n. 139 del 2025)» (sentenza n. 157 del 2025).
Pertanto, la circostanza – denunciata dal rimettente – che «l’accesso all’istituto [della messa alla prova è] consentito per delitti dolosi più gravi, per limiti di pena minima e massima», ad avviso della Consulta, non comporta la violazione dell’art. 3 Cost. posto che rientra, nella logica stessa della tecnica del rinvio mobile all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen. – «tecnica comune nell’ordito del codice penale» (sentenza n. 139 del 2025) – , la possibilità che la messa alla prova sia consentita per fattispecie criminose il cui massimo edittale superi la soglia stabilita dal citato art. 168-bis.
La determinazione dei limiti oggettivi di applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova, «mediante il rinvio mobile a tutti i reati indicati dal comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen.» (sentenza n. 139 del 2025), è espressione, insomma, per la Corte, di una scelta di politica criminale di per sé non manifestamente irragionevole (sentenze n. 157 e n. 139 del 2025, e n. 146 del 2023) visto che, sempre in sede di giustizia costituzionale, è stato chiarito che attiene all’ampia discrezionalità del legislatore fare uso «[d]ella tecnica dell’individuazione (nominativa, o tramite richiamo ad altre disposizioni [nel caso di specie, l’art. 550, comma 2, cod. proc. pen. appunto] di reati inclusi nella [messa alla prova]» (sentenza n. 139 del 2025), anche perché «rientra nella logica del sistema penale che, nell’adottare soluzioni diversificate, vengano presi in considerazione determinati limiti edittali, indicativi dell’astratta gravità dei reati», ovvero determinati titoli di reato (sentenza n. 207 del 2017).
Del resto, sempre ad avviso dei giudici di legittimità costituzionale, né la denunciata irragionevolezza è desumibile dalla natura colposa del reato di incendio boschivo.
In effetti, una volta notato che il rimettente muoveva dall’assunto che il reato colposo si presti, di per sé, a percorsi di risocializzazione del reo – che individua peraltro come unica ratio della messa alla prova – con la logica conseguenza che tutti i delitti colposi, e non solo l’incendio boschivo, dovrebbero rientrare nel campo di applicazione dell’istituto, per la Corte costituzionale, tuttavia, se è vero che l’istituto in esame ha finalità risocializzanti e la colpa costituisce uno degli elementi di cui il legislatore può tener conto nel fissarne l’ambito applicativo, va rilevato, da un lato, che la messa alla prova persegue anche finalità sanzionatoria e deflattiva, dall’altro, che – come è più volte stato affermato in sede di giustizia costituzionale – il legislatore, nella sua ampia discrezionalità, può ben valutare, oltre all’elemento soggettivo, altri fattori, come il bene giuridico tutelato, la condotta incriminata o il trattamento sanzionatorio, senza, peraltro, considerare che proprio il rilievo qui assegnato dal legislatore all’elemento soggettivo della colpa attesta l’importanza del bene giuridico tutelato.
Tra l’altro, sempre ad avviso del Giudice delle leggi, quanto sin qui esposto non vale a escludere in assoluto che la tecnica normativa del rinvio a una norma che disciplina un diverso istituto possa, in taluni casi, creare «insostenibili disparità di trattamento» o condurre «a risultati manifestamente sproporzionati» rispetto a specifiche ipotesi di reato (sempre, sentenza n. 139 del 2025), che risultano ammesse alla, o escluse dalla, messa alla prova in modo manifestamente incongruo rispetto al conseguimento delle «finalità risocializzanti, da un lato, e deflattive, dall’altro», proprie dell’istituto (sentenza n. 90 del 2025), dovendosi a tal proposito ribadire che «le fattispecie di reato […] elencate nell’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., al quale, come detto, rinvia l’art. 168-bis cod. pen. […] presentano elementi di notevole disomogeneità, tanto che è problematico individuarne un’univoca e coerente ratio ispiratrice» (sentenza n. 157 del 2025) e sono, pur sempre, individuate per delimitare l’ambito applicativo di un istituto processuale – il rito speciale della citazione diretta a giudizio – avente natura e funzione non sovrapponibili a quelle sottese alla messa alla prova.
D’altronde, osservavano sempre i giudici di legittimità costituzionale nella pronuncia qui in esame, se, a eventuali disarmonie di sistema derivanti da tale tecnica di individuazione dei reati inclusi nella messa alla prova, la medesima Consulta può porre rimedio, come già accaduto con la sentenza n. 90 del 2025, valutando in concreto se il reato escluso dall’ambito applicativo dell’istituto e sottoposto al suo sindacato meriti invece di esservi ricompreso, in virtù della sua struttura e della sua oggettività giuridica, e anche mediante un’analisi comparativa con le fattispecie criminose incluse nell’elenco di cui all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., tuttavia, con l’odierna questione, il rimettente non aveva chiamato la Corte costituzionale a una tale valutazione in concreto con riferimento alla specifica fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, ma ha censurato, in via astratta e generale, la legittimità costituzionale della tecnica del rinvio mobile al citato comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen., costituendo ciò una legittima forma di esercizio della discrezionalità del legislatore nella determinazione dei limiti oggettivi di applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova.
I giudici di legittimità costituzionale, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, ritenevano come la questione di legittimità costituzionale summenzionata fosse infondata.

4. Esclusione della messa alla prova e conferma della legittimità costituzionale


Fermo restando che l’art. 168-bis, co. 1, cod. pen., com’è noto, prevede che, nei “procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova”, con la sentenza qui in commento, la Consulta ha reputato tale precetto normativo non in contrasto con la Costituzione (e, segnatamente, l’art. 3 Cost.), nella parte in cui «non consente la sospensione del processo con messa alla prova in relazione al delitto di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, secondo comma, c.p. che, com’è risaputo, dispone che, se “l’incendio di cui al primo comma (vale a dire l’incendio boschivo ndr.) è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da due a cinque anni”.
Di conseguenza, per effetto di questo provvedimento, continua a non essere possibile adire siffatto rito speciale laddove si proceda per un reato di questo genere.
Questa è in sostanza la novità che connota il provvedimento qui in commento.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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