La messa alla prova: riparazione degli effetti del reato

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Indice

1. Brevi cenni sull’applicabilità dell’istituto ai soggetti imputati minorenni

L’istituto è nato ed istituito preliminarmente per gli imputati minorenni, regolato dagli artt. 28 e 29 del D.P.R. n. 448/1988. In questi anni di applicazione l’istituto ha dato una risposta positiva come vera alternativa al carcere minorile: il suddetto beneficio è applicabile nei confronti dei minori imputati di reati di qualsiasi gravità e a prescindere da una esplicita dichiarazione di responsabilità in merito al fatto commesso, l’esito favorevole della prova comporta l’estinzione del reato. Dopo l’esito positivo della prova il delitto così “riparato” esclude il bisogno di pena, il processo perde la sua ragion d’essere e si arresta con una declaratoria di estinzione del reato.
La valutazione circa l’applicabilità o meno della messa alla prova è rimessa alla discrezionalità del Giudicante ma per circoscrivere la sua operatività sono stati dettati alcuni presupposti: l’accertamento della responsabilità penale del soggetto e la prognosi favorevole circa l’evoluzione della sua personalità attraverso il progetto di intervento attuabile nei confronti dell’imputato. Non meno importante è il consenso di questi alla sua applicazione, che va inteso come chiara volontà di sottoporsi al programma elaborato (Mazza Galanti /Patrone) o almeno come esplicita disponibilità ad assoggettarvisi. (Tribunale di Genova 11-6-1963).
Va altresì valutata la maturità del minore da non confondersi con l’imputabilità ma come attitudine alla maturità dopo la commissione del fatto e per il comportamento futuro. Maturità significa altresì che l’imputato -persona minore- sia in grado di capire il significato dell’istituto, il cui presupposto è la sua capacità di intendere e di volere che deve esistere al momento del fatto e deve permanere al momento del processo.
Oggetto del consenso dell’imputato minorenne è un progetto curato dai servizi sociali dell’amministrazione della giustizia, cui il minore aderisce in tutti i suoi elementi.
In riferimento all’impegno (di cui all’art. 27 comma 2 lett. B disp. attuazione) che il minorenne assume verso il progetto, quest’ultimo si identifica in una norma di condotta che responsabilizza il minore e nel contempo gli procura opportunità di studio, di lavoro, di risocializzazione. L’esito positivo della prova comporta emissione di sentenza che dichiara estinto il reato ex art. 29 cpp min. Attraverso tale istituto lo Stato rinuncia alla affermazione della responsabilità penale del soggetto e alla realizzazione della propria pretesa punitiva ove risulti probabile la rieducazione del soggetto e un suo reinserimento sociale.

2. Imputati maggiorenni

L’utilità dell’istituto in ambito minorile ha permesso una sua possibile estensione anche agli imputati maggiorenni, come regolamentato dagli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater c.p.: perché il principio della rieducazione del condannato ha anche rilievo costituzionale e il luogo della risocializzazione non può che attuarsi fuori dal carcere. L’istituto è stato introdotto con legge 28/04/2014 n. 67. Il percorso finale di introduzione della messa alla prova è giunto solo dopo la condanna dell’Italia da parte della CEDU che imponeva allo Stato Italiano di rivisitare il sistema carcerario, contenendone il sovraffollamento attraverso misure volte ad evitare -ex ante- lo stesso ingresso nella struttura penitenziaria nel circuito penitenziario. Il nuovo istituto divenne dal punto di vista sostanziale una nuova causa di estinzione del reato, e dal punto di vista processuale un procedimento speciale. Ha una funzione speciale preventiva ed una natura premiale: sotto il primo profilo l’incentivo è di riparare le conseguenze del proprio reato ed a recuperare i rapporti con la persona offesa; sotto il secondo profilo, il carattere premiale è dato dalla estinzione del reato per esito positivo della prova.
E così, anche la messa alla prova per i maggiorenni è applicabile a prescindere da una pronuncia sulla responsabilità dell’imputato e in una fase anticipata del procedimento, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p. o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio oppure entro ancora il termine e con le forme stabilite dall’art. 458 co.1 c.p.p. se è stato notificato il giudizio immediato o con l’atto di opposizione, nel procedimento per decreto come prevede l’art. 464  bis c.p.p.
La messa alla prova non può essere concessa più di una volta. Tuttavia una seconda concessione può essere concessa solo per reati commessi anteriormente al primo provvedimento di sospensione.
La concessione della misura è subordinata alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità: il lavoro di pubblica utilità è una attività non retribuita a favore della collettività, di durata minima di 30 giorni anche se non continuativi, da svolgere presso Stato, Regioni, Province, Comuni e Onlus; tale prestazione deve essere svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato.
L’imputato presenta l’istanza di sospensione anche a mezzo di procuratore speciale. Il programma di trattamento è elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), programma sufficientemente dettagliato che deve prevedere le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare, del suo ambiente; le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato; le condotte volte a promuovere ove possibile la mediazione con la persona offesa. I contenuti minimi del programma di trattamento sono disciplinati dall’art. 464 bis c.p.p.

3. Compiti per il giudicante

La messa alla prova è sotto la supervisione dell’organo giudicante – il quale, ai sensi degli artt. 464-quater e 464-quinquies c.p.p., dovrà valutare
l’idoneità del programma di trattamento, disporne le modifiche o le integrazioni ritenute necessarie e vigilare sull’eventuale necessità di variazioni al programma ‘in corso. Restano così al giudice competente ampi margini di discrezionalità – allo scopo di bilanciare le esigenze rieducative dell’autore del reato e quelle di sicurezza delle persone – sia nella fase di ammissione, sia in relazione all’esito della prova, con possibilità di disporre, anche motu proprio, la revoca appunto dell’ordinanza di sospensione del processo.

4. Il parere del PM

La richiesta di ammissione alla messa alla prova avanzata in sede di indagini preliminari va depositata in cancelleria del GIP che la trasmette al PM per il parere, il cui dissenso o consenso, va prestato entro 5 giorni (art. 464 ter co. 1 c.p.p.).

5. Compiti per l’ufficio di esecuzione della pena

All’ufficio locale di esecuzione penale esterna sono affidati compiti essenziali di impulso all’attività del giudice e di controllo nello svolgimento della prova. Questi uffici predispongono il programma di trattamento, informano ogni tre mesi sull’attività svolta, sul comportamento dell’imputato e se necessario propongono modifiche al programma e/o la revoca del provvedimento di sospensione. A tali compiti possono cooperare la polizia giudiziaria e altri enti pubblici.
Il Giudice valuta l’esistenza dei presupposti necessari circa la misura della messa alla prova, come la responsabilità dell’imputato, la prognosi favorevole, l’idoneità del programma; ai fini dei contenuti risocializzanti del programma, il Giudice può assumere ogni informazione tramite la P.G, i servizi sociali, altri enti pubblici, ogni altra ulteriore e diversa informazione riguardo la vita sociale, familiare ed economica dell’imputato.

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6. Limiti di applicabilità della misura

Ai sensi del comma 9 dell’art. 656 c.p.p. la misura della sospensione non si applica ai condannati per delitti di grave allarme sociale; non si applica nei confronti di coloro che si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva; non si applica nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata, prevista dall’art. 99 4 comma c.p.

7. Revoca della messa alla prova ai sensi dell’art. 168 quater c.p.

Tre ipotesi
1)Grave e reiterata violazione delle prescrizioni imposte
2)Rifiuto della prestazione di lavoro per pubblica utilità
3)Commissione durante il periodo di prova di un delitto non colposo o di un reato della stessa indole per cui si procede.
Tutte e tre le ipotesi sarebbero la dimostrazione del mancato rispetto della fiducia accordata dall’ordinamento. Il giudice una volta accertati i presupposti di revoca non può compiere alcuna valutazione in ordine alla possibilità di proseguire la prova. Il riscontro giurisdizionale della verifica dei presupposti di revoca è compiuto all’esito della udienza camerale ai sensi dell’art. 464 octies comma 2 c.p.p. Dopo l’eventuale revoca, disposta con ordinanza, il processo riprende il suo corso.

8. La probation è un istituto di origine anglosassone

La vera origine dell’istituto della messa alla prova deriva dal sistema di legislazione inglese, la probation, così come detta, risulta tra le misure alternative alla detenzione e prevede la possibilità di scontare una condanna ad un regime di libertà vigilata. Ed esiste un ufficio di probation competente per territorio che valuta se il soggetto è idoneo a svolgere il progetto o i programmi di riabilitazione.
In Italia la MAP (messa alla prova) è stata introdotta con la legge 28 aprile 2014 n. 67. Il legislatore ha voluto introdurre tale strumento quale ulteriore mezzo di deflazione processuale per contrastare l’annoso problema della sovrappopolazione carceraria. Imposto anche dalla Corte Edu dopo il caso della Sentenza Torregiani con cui si condannava l’Italia   l’08/01/2013, ma ha guadagnato attenzione come apertura alla giustizia riparativa e quindi a vantaggio della sua funzione di risocializzazione dell’autore e della riparazione e di mediazione con la persona offesa.
Il lavoro di pubblica utilità costituisce un contenuto indefettibile del programma di trattamento elaborato ai fini della MAP. Al fine di individuare compiutamente le organizzazioni presso cui gli imputati sottoposti a MAP possono adempiere a tale prescrizione, il decreto del Ministero della Giustizia 8 giugno 2015, n. 88 ha previsto la necessità di stipulare convenzioni ad hoc con i singoli enti ospitanti. Tuttavia a causa dell’ampia platea di richiedenti la MAP e della esigua disponibilità di strutture disposte ad accogliere i soggetti sottoposti a probation, nella prassi di molti uffici giudiziari la prestazione lavorativa può essere svolta anche presso enti non convenzionati. Per esempio le relative valutazioni qualitative circa la prassi della MAP presso il Tribunale di Como, inducono a guardare con favore ad un innalzamento dei limiti edittali di operatività della misura e all’eventuale integrazione dei limiti applicativi di carattere oggettivo e soggettivo della MAP, con un criterio di carattere tipologico che, in base alla natura dell’offesa, identifichi in modo puntuale i reati in relazione ai quali consentire l’applicabilità dell’istituto .

9. La messa alla prova alla luce della riforma Cartabia

La Riforma Cartabia si è occupata anche della disciplina dei riti alternativi. Le novità consistono in un ampliamento delle possibilità di accesso ai riti speciali e in aumento dei vantaggi premiali connessi alla loro scelta.
Per quanto riguarda invece l’innovazione della messa alla prova, l’art. 1 comma 22, L. 27 settembre 2021, n. 134 ha  attribuito al Governo la delega per estendere l’ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con  messa  alla  prova  dell’imputato, oltre ai casi previsti dall’articolo 550, comma 2 c.p.p., ad ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel  massimo  a  sei  anni,  che  si  prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore,  compatibili  con l’istituto; è stata altresì prevista l’introduzione della possibilità che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla  prova  dell’imputato possa essere avanzata anche dal Pubblico Ministero,  a seguito della chiusura delle indagini preliminari con la possibilità per l’indagato di accettare il rito nel termine di venti giorni.
L’indagato e/o l’imputato (a seconda della fase processuale) dovrà sempre dare il suo consenso: l’istituto è incentrato sull’adesione volontaria di quest’ultimo soggetto processuale, il cui mancato consenso, anche solo parziale, è causa di nullità di ordine generale a regime intermedio dell’ordinanza di ammissione alla messa alla prova e di tutti i provvedimenti conseguenti. Affinché possa essere espresso un valido consenso, la volontà dell’imputato è espressa volontariamente oppure a mezzo di procura speciale del difensore dell’imputato. All’istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione del predetto programma. Il programma prevede anche le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa e lo svolgimento di programmi di giustizia riparativa. Anche se il rito diventa una partita “a due” dove PM e indagato si confrontano, alla parte offesa viene concessa la facoltà, a patto concluso, di presentare memorie scritte, entro 10 giorni, ex art. 464 ter 1 co. 3, prima che il Giudice si pronunci, ex art. 464 ter 1 co. 4 c.p.p.

10. Riflessioni finali

Possiamo concludere che l’intenzione del legislatore è diretta verso una concezione sempre più innovativa del procedimento penale, non più incentrata sull’irrogazione di una pena, in chiave retributiva e general preventiva (nell’accezione negativa), bensì caratterizzata da una maggiore sensibilità rispetto all’adozione di percorsi alternativi, volti a perseguire l’obiettivo costituzionalmente previsto della rieducazione del reo attraverso strumenti del tutto avulsi dal circuito carcerario. Oltre all’esigenza di auspicare un modello sempre più snello del sistema penale, come si deduce dalla relazione allegata al D.Lgs n. 150/2012, l’obiettivo principale della messa alla prova resta la rieducazione, il reinserimento del reo nel tessuto sociale attraverso lo svolgimento di prestazioni accessorie di volontariato, riparative e rieducative volte al recupero dei valori condivisi della società civile, prevenendo la commissione di nuovi reati non attraverso la minaccia della pena ma mediante la riaffermazione di tali valori.
Una riflessione: l’auspicio è che proseguendo sulla scia delle riforme in atto, è che vada mantenuta la pena detentiva in carcere solo per i reati gravissimi, quelli che mettono a repentaglio la vita, l’integrità personale fisica e psichica e la dignità delle persone, così da poter giungere ad un sistema penale minimo, basato sulla razionalità punitiva, sulla umanizzazione della pena, che abbia come finalità specifica quella del reinserimento del reo nella società.
E promuovendo una possibile estensione della operatività della MAP anche ai reati più severamente puniti in astratto, si potrebbe giungere alla  realizzazione dell’obiettivo della diminuzione carceraria ben rispondendo anche a quelle istanze di risocializzazione e di riparazione nei confronti della persona offesa dal reato che hanno accompagnato, sin dall’inizio, l’introduzione della MAP proprio per  la gestione della criminalità degli adulti. In ultimo non parrebbe una ipotesi residuale, potenziare l’istituto della pena pecuniaria, sia perché non inciderebbe in modo diretto sulla libertà personale dell’individuo sia perché risulterebbe fortemente deterrente per il motivo della compromissione della sfera patrimoniale del reo. Il tutto a vantaggio, da un lato, della funzione repressiva dei comportamenti antisociali e dall’altro dell’adempimento di quel dovere del rispetto della persona umana che non è solo imposto dalla Costituzione, ma che è precipuo obbligo umano e morale.

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Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2016

Bibliografia

  • Il processo penale minorile- Glauco Giostra – Giuffrè Editore
  • La messa alla prova per adulti- Giovanni Zaccaro -Missione Giustizia
  • Riscontri applicativi in sistema penale “ Messa alla prova per adulti”-a cura di Grazia Mannozzi, Viola Molteni , Francesca Civiello
  • Diritto e procedura penale minorile  -Santo Di Nuovo -Giuseppe Grasso- Giuffrè Editore
  • Sentenza Corte Cass. Penale n. 19226 del 25/06/2020
  • Rivista “La Magistratura” a cura dell’Associazione Nazionale Magistrati
  • Altalex del 5/12/2022 “Riforma processo penale”
  • Dis Crimen del 13/12/2022 articolo di Alessandra  Sanna

Savina D’Amore

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