L’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione ex art 2394 del codice civile e la questione delle s.r.l.

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Tra le diverse tecniche concepite, in guisa di egida dei creditori sociali, rivestono un ruolo fondamentale le modalità organizzative della società. Esse implicano un obbligo conoscitivo-previsionale – in ottica di continuità aziendale – a carico dell’organo gestorio, onde limitare la discrezionalità degli amministratori nel perseguimento dello scopo sociale. Tale vincolo, si è constatato, tutelerà, sia pur indirettamente, i terzi estranei al corpo societario, rispettando la teoria dello shareholder model.

La nostra disamina intende appurare se una ‘garanzia’ più stringente – in condizioni recessive o di imminente insolvenza – sia riconosciuta dall’ordinamento giuridico italiano.

Il patrimonio sociale

Nella fattispecie, una disciplina applicabile esclusivamente alle società per azioni era rinvenibile nell’articolo 2394 del Codice civile, prescrivente “l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”[1].

Suddetta disciplina permette di inferire l’esistenza di un ubi consistam normativo applicabile a vantaggio dei creditori sociali[2].

Tuttavia, tale argomento prestava i fianchi ad un’obiezione: esso, infatti, implicava un ‘ribaltamento’ dello status quo, poiché – occorre evidenziare – l’obbligo di cui all’articolo 2394 del Codice civile ineriva esclusivamente alle società per azioni; a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge delega numero 155 del 2017, con l’articolo 14 primo comma lett. a, è stata estesa però l’applicabilità della disposizione anche alle società a responsabilità limitata.

Pertanto, va ammessa la sua elevazione a disciplina di rango generale, estensibile a tutte le species di società di capitali.

La limitata applicabilità dell’articolo 2394 C.c., si riverberava soprattutto sulle società a responsabilità limitata, strumento densamente e tradizionalmente impiegato nel ‘tessuto’ socio-economico italiano, caratterizzato da piccole e medie imprese – generalmente, a conduzione familiare.

Un analogo obbligo di conservazione del patrimonio sociale – introdotto dalla riforma del diritto societario del 2003 – non era contemplato nella disciplina della s.r.l. riservante la tutela esclusivamente alla società, al socio ed al terzo direttamente danneggiato.[3]

Una prima soluzione prospettata dalla dottrina,adottava’ la responsabilità interna degli amministratori verso la società qualora gli interessi dei soci e dei creditori coincidessero[4]; una seconda soluzione indicava come possibile strumento di tutela i rimedi provenienti dall’area dell’autonomia privata.[5]

La querelle dottrinaria ha sollecitato il ‘nomoteta’ ad estendere la disciplina anche per le s.r.l.; ciò ha prodotto la disposizione di cui all’articolo 14, 1° comma, lettera a della legge delega numero 155 del 2017.

Essa sancisce l’applicabilità dell’articolo 2394 del Codice civile alle società a responsabilità limitata ponendo fine alle tensioni ermeneutiche e alle pregresse ricostruzioni.

Queste ultime, tuttavia, consentono di desumere come l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale – nonostante la sua diversa formulazione nelle ipotesi di s.p.a. e di s.r.l. – costituisca un importante incentivo, una ‘misura di profilassi’ che mira a prevenire situazioni recessive o di insolvenza – o, addirittura, a gestirle.

Le istanze creditorie

Analizzando la disposizione in esame, si può constatare come la ratio essendi dell’azione non sia la tutela delle singole pretese creditorie ma la garanzia patrimoniale idonea a soddisfare le istanze dei creditori[6].

In secondo luogo, il dovere di gestione conservativa è espressione di un diverso modus operandi del più generale obbligo di conduzione ‘razionale’ della società; officium adempiuto con diligenza e funzionale a un duplice obiettivo: a) realizzare il fine di lucro per gli azionisti; b) evitare perdite capaci di deprimere il patrimonio sociale a detrimento dei creditori[7].

Poiché in situazioni di piena solvenza della società, gli interessi degli azionisti e dei creditori, tendenzialmente coincidono, il dovere di assicurare un sagace management societario si traduce: a) nell’officium di perseguire lo scopo prefissato; b) nell’obbligo di non dissipare il patrimonio sociale ‘centrando’ il target societario.[8]

Tali doveri comportano valutazioni prognostiche sulla fattibilità di atti gestori miranti a conseguire l’oggetto sociale. Così, essi si atteggiano alla stregua di obblighi informativi-previsionali indispensabili per scongiurare la depressione del patrimonio sociale e del suo valore.[9]

Il cardine resta il dovere di evitare atti gestori dannosi per il patrimonio sociale, con il concomitante obbligo di minimizzare le perdite patrimoniali, in caso di pregiudizio dello stesso, sull’assunto di un’importante pronuncia giurisprudenziale[10].

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Note

[1] L’articolo 2394 del Codice civile dispone che: “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”.

       [2] Ampio è il dibattito sulla natura contrattuale o extracontrattuale dell’azione, così come sulla sua natura autonoma o surrogatoria rispetto all’azione sociale. Se parte della dottrina, da un lato, propende per la natura contrattuale dell’azione, da cui discende la necessità di provare la violazione dell’obbligo (imposto ex lege), il danno prodotto ed il nesso causale tra condotta ed evento, i fautori della tesi della natura extracontrattuale basano le loro motivazioni del principio neminem laedere, ex articolo 2043 del Codice civile. Per quanto attiene invece alla natura autonoma o surrogatoria, la norma, al 3° comma, dispone che “La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali.”. Inoltre il curatore esercita entrambe le azioni ex articoli 2393 e 2394 del Codice, ponendo l’accento sull’autonomia delle stesse, così come la collocazione diversa delle prescrizioni delle due azioni. Tra i diversi Autori che hanno trattato la materia, si veda M. FABIANI, Fondamento e azione per la responsabilità degli amministratori di s.p.a. verso i creditori sociali nella crisi dell’impresa, in Riv. soc., 2015, pp. 272 ss.

[3] Nel testo originale del Codice civile del 1942, la disciplina delle società a responsabilità limitata richiamava totalmente la disciplina delle società per azioni. Nella fattispecie, l’articolo 2487 del Codice civile, relativo alle s.r.l., rinviava alle responsabilità previste per le s.p.a., neutralizzando di conseguenza i dibattiti in tema di azione dei creditori. Così M. MOZZARELLI, Responsabilità degli amministratori e tutela dei creditori nella s.r.l., Torino, 2007, pp. 3 e ss.

[4] La differenza di disciplina in materia di responsabilità a tutela dei creditori tra s.p.a. e s.r.l., sta nella considerazione secondo cui nelle s.r.l., i rapporti tra le parti avvengono in un’ottica di vicinanza comune, laddove invece nelle s.p.a., il rapporto tra board e creditori si realizza attraverso ‘l’intermediazione’ del patrimonio sociale. Sul punto F. BRIZZI, Doveri degli amministratori nel diritto societario della crisi e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, p. 178.

[5] M. MOZZARELLI, Op. cit., Torino, 2007, pp.17 e ss., dispone un correttivo alla insufficienza della Binnenveranwortung, attraverso la esplicita previsione dell’azione di responsabilità in favore dei creditori, oltre ai costosi rimedi self help.

[6] Tale ricostruzione rispecchia il principio del neminem laedere, implicante la natura extracontrattuale dell’azione. Se si fosse asserita la violazione di uno specifico obbligo previsto ex lege, si parlerebbe di natura contrattuale.

[7] Bisogna sottolineare come la violazione dell’obbligo di gestione conservativa, nell’ottica creditoria, si realizza esclusivamente quando la società subisce perdite del patrimonio sociale, escludendo dunque una eventuale violazione per il mancato realizzo di profitto in favore dei soci.

[8] Non si dimentichi che i creditori potranno agire solo in caso di insufficienza patrimoniale, tale da non garantire la soddisfazione delle pretese creditorie. Sul punto G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. Diritto delle società, A.A.V.V., a cura di M. CAMPOBASSO, Utet giuridica, Milano, 2017, pp. 381 e ss.

[9] Sul punto F. BRIZZI, La mala gestio degli amministratori in prossimità dello stato di insolvenza e la quantificazione del danno risarcibile, in Riv. dir. comm, 2008, p. 2450.

[10] Il Tribunale di Milano, con sentenza del 2004, ha sancito che “in sede di azione sociale di responsabilità incombe sull’attore la prova articolata su tre elementi: inadempimento dell’amministratore di uno o più obblighi, nesso causale tra condotta e danno, danno (danno emergente e lucro cessante), commisurandolo al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo non fosse stato compiuto.”

Antonio Mastrangelo

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