Lo stato della giurisprudenza in tema di responsabilità dell’amministrazione per insidie o trabocchetti

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  1. Responsabilità per insidie stradali: principi generali

Si parla di insidia stradale nel momento in cui l’anomalia si trova su una strada di apparente normalità e riveste le caratteristiche di un pericolo occulto, non visibile e non evitabile. Non ogni danno provocato dall’insidia da luogo al risarcimento ma solo ove è dimostrato dal danneggiato che il pregiudizio subito non era evitabile e prevedibile con l’utilizzo dell’ordinaria diligenza.

“L’insidia stradale non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto”

-Cass. Civ., 13 Luglio 2011, n. 15375

Solo in tal caso il danno può configurare la responsabilità della pubblica amministrazione e il conseguente sorgere dell’obbligazione risarcitoria a suo carico e favore del cittadino danneggiato.

1.1. La definizione di insidia o trabocchetto

Affinché si possa parlare di insidia o trabocchetto, la giurisprudenza, ormai pacifica sul punto, ritiene necessaria la ricorrenza di due requisiti:

oggettivo: la non visibilità del pericolo

-soggettivo: la non prevedibilità del pericolo (valutata secondo le regole ordinarie in tema di diligenza)

1.2.Il fondamento giuridico della responsabilità per insidia stradale

Per anni la giurisprudenza si è interrogata sul fondamento giuridico della responsabilità della PA per i danni prodotti dalle insidie stradali. Dottrina e giurisprudenza nel corso del tempo hanno proposto orientamenti diversi: una parte degli interpreti configuravano tale responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c.; un’altra parte, invece, riconducevano tale fattispecie nell’alveo della responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 c.c.

a)Responsabilità ex art. 2043 c.c.

L’orientamento dominante in passato riteneva che la responsabilità dell’amministrazione fosse da ricondurre sempre nell’ambito della generale responsabilità extra-contrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., la quale richiede come requisito fondamentale ai fini della sua configurabilità, l’elemento soggettivo della colpa. Invero, la PA nell’attività di vigilanza e controllo di natura discrezionale, trova un limite oltre che nelle norme di legge, nella comune prudenza e diligenza e nel principio del neminem laedere. Le ragioni alla base di tale indirizzo si fondavano sulla asserita impossibilità per la PA di vigilare su di un bene così ampio e oggetto di utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, quale sarebbe la rete stradale.

“La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici ogni qual volta il bene, sia esso demaniale o patrimoniale, per le sue caratteristiche (estensione e modalità d’uso) sia oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, che limiti in concreto le possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa; in questi casi, l’ente pubblico risponde secondo la regola generale dettata dall’art. 2043 c.c., e quindi può essere ritenuto responsabile per i danni subiti da terzi a causa di una insidia stradale solo quando l’insidia stessa non sia visibile, e neppure prevedibile”.

Nella specie, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità di un Comune per il danno subito da un ciclista a seguito dell’urto contro un paletto conficcato nel manto stradale, ritenendo che il paletto fosse visibile, e quindi evitabile, in quanto l’incidente si era verificato in pieno giorno e il paletto sporgeva di circa un metro dal suolo, e ritenendo, per contro, non rilevante che esso fosse inclinato e di colorazione simile a quella dell’asfalto.

(Cass. Civ., 1 dicembre 2004, n. 22592)

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b)Responsabilità oggettiva del custode ex art. 2051 c.c.

Dato che la giurisprudenza rilevò quanto fosse gravoso l’onere di provare la colpa dell’amministrazione nella vigilanza e manutenzione della rete stradale, si iniziò a considerare applicabile a tali fattispecie anche la disciplina prevista dall’art. 2051 c.c., ovvero la responsabilità oggettiva del custode, con tutte le conseguenza in tema di regime dell’onere probatorio. Ad aprire per la prima volta a tale possibilità è stata la Corte Cost. con la sent. 156/1999.

Non è fondata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2051 cod. civ. – in quanto non applicabile anche alla P.A. per i beni demaniali soggetti ad uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini – dell’art. 2043 cod. civ. – in quanto prevede che l’inerzia colposa della P.A., atta a creare e a non rimuovere situazioni di pericolo, sia causa di responsabilità della stessa solo in presenza di una situazione di “insidia” stradale – e dell’art. 1227, comma 1, cod. civ., in quanto esclude, ove sia presente detta “insidia”, un accertamento del concorso di colpa del danneggiato – sia perché, relativamente all’art. 2051 cod. civ. – ai sensi del quale il proprietario delle cose che abbiano cagionato danno a terzi è responsabile solo in quanto ne sia custode e dunque sia stato oggettivamente in grado di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sulle cose stesse – l’interpretazione, secondo cui alla P.A. non è applicabile tale disposizione, allorché sul bene di sua proprietà non sia possibile, per la notevole estensione di esso e le modalità di uso, diretto e generale, da parte dei terzi, un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti, rimane indubbiamente nell’ambito del sistema codicistico della responsabilità extracontrattuale, venendosi solo a precisare, in conformità alla evidente “ratio” dello stesso art. 2051 cod. civ., i limiti di operatività di uno dei particolari criteri di imputazione previsti dal codice civile in luogo di quello generale posto dall’art. 2043 cod. civ.; sia perché, relativamente all’art. 2043 cod. civ., nell’ambito di questa disposizione – interpretata nel senso che colui, il quale intenda far valere la responsabilità contrattuale della P.A. deve, una volta esclusa, nei limiti chiariti, l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ., dimostrare che l’evento dannoso sia eziologicamente ricollegabile ad una “insidia” (o trabocchetto), cioè ad una situazione di fatto che rappresenti pericolo occulto per l’utente del bene demaniale, e segnatamente della strada aperta al pubblico – la nozione di “insidia stradale” viene a configurarsi come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall’esperienza giurisprudenziale mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, col preciso fine di meglio distribuire fra le parti l’onere probatorio, secondo un criterio di “semplificazione analitica” della fattispecie generatrice della responsabilità in esame; sia perché, relativamente all’art. 1227, comma 1, cod. civ. una volta acclarata la responsabilità della P.A., l’inapplicabilità di tale disposizione dipende da evidenti ragioni di incompatibilità logica fra un possibile concorso di colpa del danneggiato e la stessa nozione di “insidia”, essendo questa contraddistinta dai caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità del pericolo; sia, infine, perché l’utilizzazione giurisprudenziale della suddescritta figura sintomatica di colpa non è estranea neanche alla responsabilità extracontrattuale dei privati, convenuti per il risarcimento dei danni conseguenti a difetto di manutenzione dei loro immobili, e tale difetto, al di fuori di specifici obblighi di legge o contrattuali (e salvo quanto precisato con riguardo all’art. 2051 cod. civ.), rileva unicamente sotto specie di violazione del principio del “neminem laedere” allo stesso modo per la P.A. e per i privati, eventuali diversità di giudizio dovendosi ricollegare soltanto alle peculiarità del bene, influenti sulla relativa manutenzione”. (Corte Cost. n.156/1999)

Tuttavia, la Cassazione nel 2006 ha precisato che la disciplina in tema di responsabilità da cose in custodia non è applicabile qualora non possa essere garantito un efficiente potere di controllo del custode sulla res a causa della notevole estensione del bene.

Tale difficoltà di controllo e di vigilanza deve essere valutata in concreto, caso per caso e avendo riguardo a più aspetti della res. Inoltre, la Suprema Corte chiarisce che tali indici non sono da intendere come rigidi criteri preclusivi all’applicazione dell’art. 2051 c.c. in tema di insidie stradali, bensì come meri indici di cui il giudice dovrà tenere conto nella sua decisione.

Ove l’oggettiva impossibilità della custodia renda inapplicabile la disciplina di cui all’art. 2051 c.c., l’amministrazione pubblica sarà comunque tenuta a rispondere dei danni causati dai beni demaniali agli utenti della strada, secondo la regola generale di cui all’art. 2043 c.c.

“La presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 cod. civ., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile – all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto – esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell’impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio, con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia dev’essere esaminata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti. Ne deriva che, alla stregua di tale criterio, mentre in relazione alle autostrade (di cui già all’art. 2 del d.P.R. n. 393 del 1959, ed ora all’art. 2 del d.lgs. n. 285 del 1992), attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, si deve concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile, generalizzata, conclusione, in quanto l’applicazione dei detti criteri non la consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche. In quest’ottica, per le strade comunali – salvo il vaglio in concreto del giudice di merito – circostanza eventualmente sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune”. (Cass. Civ., 6 luglio 2006, n. 15383)

Dei due orientamenti appena esposti, attualmente, la giurisprudenza è maggiormente orientata a ricondurre la responsabilità dell’amministrazione per i danni cagionati dalle insidie stradali nell’alveo della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.. Inoltre, i limiti individuati dalla Suprema Corte nel 2006, sono stati ritenuti superati dalla stessa giurisprudenza di legittimità.

“la responsabilità dell’ente proprietario della strada prescinde dalla maggiore o minore estensione della rete e deve invece esser accertata o esclusa in concreto in relazione alle caratteristiche della stessa, alle condizioni in cui solitamente si trova, alle segnalazioni di attenzione, e all’affidamento che su di esse fanno gli utenti, tra cui gli interventi di manutenzione, secondo criteri di normalità”. (Cass. Civ., n. 24793/2013).

Approfondisci con:”La esimente del caso fortuito nella responsabilità del custode”

  1. Elementi fondamentali della responsabilità da cose in custodia

2.1 L’onere probatorio e nesso di causalità

Tale modello di responsabilità cd. oggettiva, presenta a tutti gli effetti un inversione dell’onere probatorio. Infatti, se sul danneggiato grava esclusivamente l’onere di provare l’evento dannoso e il relativo nesso di causalità tra la res e il danno subito,  la colpa dell’amministrazione, si presume. Ad assumere rilievo nell’evento lesivo, in sostanza, è la mera sussistenza del rapporto di custodia, quale “relazione di fatto, e non semplicemente giuridica, tra il soggetto (custode) e la cosa, che legittima una pronunzia di responsabilità ex art. 2051 c.c., fondandola sul potere di governo della cosa”. La PA, dunque, ha l’onere di dimostrare che la verificazione dell’evento e del danno sia dipeso da caso fortuito, integrabile dal comportamento colposo dello stesso danneggiato.

2.2 Una sola possibilità per la PA: La prova liberatoria del caso fortuito

Qualora sia dimostrato dal danneggiato il danno e il nesso di causalità tra questo e l’insidia stradale, l’unico modo per negare la sussistenza di una responsabilità a carico del custode della rete stradale è che quest’ultimo dimostri che l’evento è accaduto per intervento del caso fortuito.

Infatti, la PA può esimersi dalla responsabilità, superando la presunzione di colpa, se dimostra che il pericolo sia insorto improvvisamente o che all’evento dannoso è concorso il comportamento colposo dello stesso danneggiato.

Il comportamento colposo del danneggiato, inteso come atteggiamento negligente o imprudente, può essere tale da interrompere il nesso causale tra la cosa custodita e il danno patito e di conseguenza concorrere con la responsabilità della PA, o talvolta escluderla del tutto.

Infine, la condotta del danneggiato se non fosse sufficiente ad interrompere il nesso di causalità tra l’insidia e il danno, potrebbe comunque rilevare sotto il diverso profilo dell’entità del danno subito e di conseguenza sulla quantificazione del risarcimento da parte della PA.

“Nella determinazione del “quantum” dovuto a titolo di risarcimento del danno prodotto dall’insidia stradale, il mancato uso del casco obbligatorio da parte del motociclista infortunatosi nella caduta comporta un aggravamento delle conseguenze dannose imputabile al creditore, del quale va tenuto conto” (nella specie, nel senso d’un aggravamento del 30 per cento delle conseguenze lesive) (Giudice di Pace di Catanzaro, 19 luglio 2000)

Quanto esposto, trova il suo fondamento giuridico normativo nell’art. 1227 c.c. sul concorso del fatto colposo del creditore, di cui si serve il giudice in sede di accertamento in concreto della responsabilità della PA e del possibile rilievo della condotta colposa del danneggiato.

Secondo tale disposizione, qualora il creditore abbia concorso con la sua condotta colposa a produrre il danno, il suo risarcimento è diminuito relativamente alla gravità della colpa. Quando con l’utilizzo della ordinaria diligenza avrebbe addirittura potuto evitare il danno, il risarcimento è escluso.

La norma codifica il cd. Principio di autoresponsabilità del soggetto danneggiato, in base al quale la sua condotta contraria a diligenza, incidendo sul nesso causale, può essere idoneo a limitare o escludere del tutto la responsabilità dell’amministrazione.

L’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso.

(Nella specie, la S.C. ha ritenuto che non operasse la presunzione di responsabilità a carico dell’ente ex art. 2051 cod. civ., in un caso di sinistro stradale causato da una buca presente sul manto stradale, atteso che il conducente danneggiato era a conoscenza dell’esistenza delle buche, per cui avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitarle). (Cass. Civ., 22 ottobre 2013, n.23919)

  1. Casistica giurisprudenziale: l’elemento centrale nell’accertamento di responsabilità a carico della PA è la condotta del danneggiato

3.1 Casi di rigetto della richiesta di risarcimento danni

  • Rigonfiamento del manto stradale dovuto a radici di alberi: nel caso in oggetto la Suprema Corte ha ritenuto non qualificabile come insidia il rigonfiamento del manto stradale dovuto alla presenza di radici di alberi collocati ai lati della strada: il danneggiato ben avrebbe potuto evitarli mantenendo velocità moderata e conservando la marcia nella propria carreggiata di pertinenza. Ciò soprattutto quando non sia provata la responsabilità del sinistro a carico di un altro veicolo coinvolto e a seguito di indagine risulti essere stato violato l’art. 143 del codice della strada concernente la posizione dei veicoli sulla carreggiata. (Cass. Civ., n.24744/2013)
  • Strada dissestata prevedibile: Va tenuto fermo il principio secondo cui, ricorrendo la fattispecie della responsabilità da cosa in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può – in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art. 2051 cod. civ.). In applicazione di tale principio, la S.C., confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto che il comportamento del soggetto danneggiato – transitato a piedi in una strada talmente dissestata da obbligare i pedoni a procedere in fila indiana – avrebbe dovuto essere improntato ad un onere di massima prudenza in quanto la situazione di pericolo di caduta era altamente prevedibile, ritenendo, pertanto, che l’evento lesivo in concreto verificatasi, conseguente all’inciampo in un tombino malfermo e mobile, fosse da ricondurre alla esclusiva responsabilità del soggetto danneggiato. (Cass. Civ., n.999/2014)
  • Strada dissestata conosciuta dal danneggiato: Nessun risarcimento spetta al cittadino per i danni conseguenti ad una caduta dovuta alla presenza di una buca stradale quando il fatto dannoso è riconducibile alla disattenzione del soggetto, tale da integrare gli estremi del caso fortuito. Nel caso di specie il risarcimento è stato negato dalla Corte poiché il danneggiato conosceva bene il luogo in cui è caduta, inoltre il dissesto era palesemente visibile e facilmente prevedibile e aggirabile data la giovane età della vittima. (Cass. Civ., n.4663/2015)
  • Danni al ciclista per buca al centro della carreggiata: In questa ipotesi, i giudici hanno rigettato il ricorso sottoposto alla loro attenzione, ribadendo, come da consolidato orientamento, che in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c. il danneggiato è tenuto a fornire la prova del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno subito e, solo dopo, il custode deve provare l’eventuale caso fortuito. Nel giudizio affrontato non era stata fornita alcuna prova che il ciclista avesse transitato proprio in prossimità della buca. Peraltro, tendenzialmente le biciclette non transitano al centro ma ai lati della strada, salvo particolari e momentanee circostanze. In assenza della predetta prova, quindi, nessun risarcimento deve essere corrisposto dal custode della strada al danneggiato. (Cass. Civ., n. 18865/2015)

3.2 Casi di concorso di colpa                    

  • Eccesso di velocità e disattenzione alla guida: Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici, il conducente del veicolo incidentato a causa di una buca su strada, che pretendeva il risarcimento del danno da parte del custode, in realtà correva ed era distratto: impossibile sarebbe stato per lui accorgersi della buca incriminata. In questa ipotesi, dunque, la giurisprudenza ha riconosciuto un concorso di colpa a causa della condotta negligente del conducente danneggiato. La responsabilità del Comune, quindi, viene decurtata del 30% a causa della disattenzione al volante dell’uomo e del 30% per eccesso di velocità, con la conseguenza che l’incauto automobilista si è visto risarcito del solo 40% del valore antesinistro del proprio mezzo, per aver con la propria condotta spezzato il nesso causa/effetto tra la carenza di vigilanza dell’ente cui è affidata la custodia della strada e il danno subito. (Giudice di Pace Brindisi, n. 853/2015)
  • Attraversamento pedonale da parte di un ipovedente: Il caso fortuito, rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia ex dell’art. 2051 c.c., può derivare anche dal fatto colposo del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 c.c. Se il pedone ipovedente nonostante la pioggia decide di attraversare comunque la strada e cade in una buca, il risarcimento è a metà. Infatti, anche se dall’istruttoria era emersa la presenza di un’anomalia sulla sede stradale, tale da rappresentare un pericolo per gli utenti, il fatto che, nonostante le condizioni climatiche avverse, l’ipovedente avesse deciso di attraversare, fa diminuire il risarcimento al 50%.

Per la terza sezione civile, è vero che da una parte c’era il comportamento colposo del comune che aveva omesso di rimuovere l’insidia, ma dall’altra assumeva rilievo la condotta imprudente della signora, la quale, benchè ipovedente aveva comunque consapevolmente attraversato la strada, “pur non essendo in grado di avvistare tutti gli eventuali ostacoli presenti sul suo tragitto”. (Cass. Civ., n. 18463/2015)

  • Fondo stradale scivoloso ed eccesso di velocità: Investita sulla questione del risarcimento del danno conseguente alla caduta di un motociclista a causa del fondo stradale scivoloso, la Cassazione ha infatti ricordato innanzitutto che la responsabilità ex articolo 2051 c.c. per cose in custodia ha natura oggettiva e necessita, per la sua configurabilità, del solo rapporto eziologico tra cosa ed evento. Tuttavia, i giudici, però, hanno anche ribadito che tale responsabilità può comunque essere esclusa dal caso fortuito, che può derivare anche dal fatto del danneggiato, laddove questo abbia un’efficacia causale idonea a interrompere del tutto il predetto nesso eziologico o sia tale da porsi come ulteriore contribuito utile nella produzione del danno. Nel caso di specie la velocità oltre i limiti consentiti, secondo la Corte, ha contribuito alla verificazione dell’evento. Di conseguenza, la responsabilità e il relativo risarcimento a carico all’amministrazione negligente, tenuta alla vigilanza e alla manutenzione della rete stradale, è da riconoscersi in misura del 50%.

 

 

 

 

 

Francesco Trapani

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