L’impugnazione dei provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. Nota a Cass. Civ., Sez. II, 17 aprile 2019 n. 10758

Redazione 25/09/19
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di Giorgio Mazzone*

* Avvocato

Sommario

1. Rilievi introduttivi

2. Le modalità di attuazione dei provvedimenti cautelari

3. Il caso di specie e la soluzione della Corte di Cassazione

4. Considerazioni conclusive

1. Rilievi introduttivi

La recente sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. II, 17 aprile 2019 n. 10758 consente di approfondire le tematiche relative all’attuazione delle misure cautelari ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. con particolare riferimento alla problematica dell’impugnazione dei relativi provvedimenti.

L’art. 669 duodecies c.p.c., rubricato “Attuazione” dispone che “Salvo quanto disposto dagli articoli 677 e seguenti in ordine ai sequestri, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito“.

La norma introdotta nel codice di rito con la Legge 26 novembre 1990 n. 353 recante “Provvedimenti urgenti per il processo civile” prevede ora una disciplina organica di attuazione di tutti i provvedimenti cautelari[1], laddove in precedenza era regolamentata esclusivamente l’attuazione dei provvedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto (di cui all’abrogato art. 689 c.p.c.) e l’esecuzione dei sequestri di cui agli artt. 677 e ss c.p.c., disposizioni, queste ultime, che, invece, sono rimaste in vigore.

La novella legislativa di cui all’art. 669 duodecies c.p.c. si estende, quindi, a tutti i provvedimenti cautelari contemplati dal codice di rito, dal codice civile e dalle leggi speciali cui si applica il procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669 bis e ss c.p.c.[2], con particolare riferimento ai provvedimenti d’urgenza (per effetto della contestuale abrogazione dell’art. 702 c.p.c.) ed a quelli possessori (in forza del richiamo operato dall’art. 703, comma 2, c.p.c.).

Per espressa esclusione legislativa, le descritte regole sull’attuazione non trovano applicazione con riferimento ai sequestri per i quali il legislatore ha ritenuto di non elidere la specifica disciplina speciale che si sostituisce, pertanto, a quella generale.

[1] In dottrina è stato osservato da Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2001, 19, che per “attuazione” si deve intendere “l’adeguamento di una concreta situazione di fatto al contenuto precettivo del provvedimento“.

[2] Così in dottrina, Treglia-Tarzia-Saletti, Il processo cautelare, Padova, 2008.

2. Le modalità di attuazione dei provvedimenti cautelari

La prima questione da analizzare riguarda i modi di attuazione delle misure cautelari.

Al riguardo la disposizione normativa in commento distingue due diverse ipotesi in ragione dell’oggetto della cautela; più in particolare l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme dell’espropriazione forzata a norma degli artt. 491 e seguenti c.p.c. “in quanto compatibili“, mentre quella dei provvedimenti aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare “avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione“.

In relazione alla prima fattispecie, occorre rilevare che il richiamo normativo unicamente alla sezione seconda del titolo secondo del codice di rito, rubricata “Del pignoramento“, esclude l’applicazione alle misure cautelari in oggetto delle disposizioni relative alla fase preparatoria all’esecuzione, sicché non sarà necessaria la spedizione in forma esecutiva del provvedimento, né la notificazione del precetto[3]; si applicano, quindi, al caso di specie le sole norme relative al pignoramento, al concorso dei terzi, alla vendita, all’assegnazione e alla distribuzione.

La previsione normativa ha, dunque, l’evidente ratio di rispettare la par condicio creditorum rispetto agli altri creditori del debitore che subisce l’attuazione del provvedimento, nonché per tutelare il diritto di difesa dell’obbligato e dei terzi eventualmente coinvolti[4].

Ciò induce a ritenere che il richiamo normativo si debba estendere[5] anche alle norme in materia di intervento dei terzi, di opposizione all’esecuzione[6] ed agli atti esecutivi (naturalmente solo quelle successive e non quelle preventive, mancando, come si è appena evidenziato, la fase prodromica e preparativa all’esecuzione) e del giudice dell’esecuzione.

Sotto quest’ultimo profilo, la conferma della competenza esclusiva di questo magistrato per l’attuazione della misura cautelare a contenuto pecuniario, si evince anche dalla lettura a contrario dell’art.669 decies c.p.c., disposizione che – specificando che solamente l’esecuzione delle misure aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice della cautela – ribadisce la competenza del giudice dell’esecuzione per l’attuazione delle misure di condanna al pagamento di una somma di denaro[7].

Passando ora alla seconda fattispecie disciplinata dall’art. 669 duodecies c.p.c. si deve evidenziare che per la fase attuativa dei provvedimenti aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare, il legislatore ha stabilito di non avvalersi della relativa procedura esecutiva, ritenendo più opportuno affidare il controllo e le modalità di attuazione al giudice della cautela[8].

La norma conferisce al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare un’ampia discrezionalità nell’individuare il modus procedendi per l’attuazione della misura, prevedendo una sorta di esecuzione in forma libera da eseguirsi nel rispetto del principio del contraddittorio e di difesa dell’intimato e dei terzi coinvolti nella fase di attuazione.

Il giudice[9], dunque, contestualmente alla concessione della misura[10] o in un momento successivo, determina liberamente le forme dell’attuazione ai sensi degli artt. 121 e 131 c.p.c.[11], che siano idonee a rendere celere la procedura cautelare.

Con riferimento ai controlli, diversamente da quanto si è sopra evidenziato in relazione alle misure a contenuto pecuniario, si deve escludere che nell’attuazione dei provvedimenti aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare possano trovare applicazione le norme sulle opposizioni, tanto quelle di opposizione all’esecuzione che agli atti esecutivi[12].

Il concetto di difficoltà che costituisce il presupposto per la tutela di cui all’art. 669 duodecies c.p.c. è del tutto affine al significato che esso assume negli artt. 610 e 613 c.p.c. (rispettivamente nei procedimenti di espropriazione per consegna e rilascio ed esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare) ed attiene ad impedimenti insorti sull’uso dei poteri propri dell’ufficio esecutivo, i quali possono essere sia di natura puramente materiale, sia giuridica relativi all’interpretazione del titolo, alla sua portata soggettiva e all’identificazione dei beni oggetto dell’esecuzione[13].

Le “contestazioni” riguardano, invece, i vizi afferenti alla regolarità formale della procedura e alla validità degli atti (ossia quelle irregolarità che, di regola, si fanno valere con lo strumento delle opposizioni agli atti esecutivi), che – per tale ragione – possono essere decise in modo sommario e “deformalizzato” nell’ambito del procedimento cautelare[14].

Infine “le questioni” di cui all’ultimo inciso dell’art. 669 duodecies c.p.c. sono rappresentate da quei punti controversi che devono necessariamente decidersi con un giudizio a cognizione piena, come le censure inerenti all’esistenza/inesistenza del diritto alla cautela[15].

[3] Secondo parte della dottrina (Treglia-Tarzia-Saletti, cit., 559; Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Digesto civ., XIV, Torino, 1996, 428 ss.; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 84; Carratta, Procedimento cautelare uniforme, Bologna, 2013), l’esclusione degli adempimenti preparatori al pignoramento deriva dalla negazione della natura di titolo esecutivo a formazione giudiziale dell’ordinanza cautelare. Secondo altra dottrina (Vullo, cit., 151) ciò, invece, risponde all’esigenza di garantire maggiore celerità di attuazione rispetto ai tempi richiesti per l’esecuzione di una sentenza.

[4] Così, Carratta, cit., 400; Verde, L’attuazione della tutela d’urgenza, in Riv. dir. processuale, 1985, 725; Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. processuale, 1991, 703; Tommaseo, Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Corr. giur., 1991, 106; Delle Donne, L’attuazione delle misure cautelari, Roma, 2012, 112.

[5] Così Montesano, Attuazione delle cautele, in Riv. dir. processuale, 1991, 940; Saletti, Attuazione delle misure cautelari, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1992, 459.

[6] In dottrina (Andolina, Profili della nuova disciplina dei provvedimenti cautelari in generale, in Foro it. 1993, V, 65 e ss; Merlin, cit., 426) si è sostenuto che è possibile proporre opposizione ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c. per far valere l’impignorabilità dei beni, per la già avvenuta attuazione satisfattiva del credito, oppure per l’eccessività del cumulo dei mezzi di espropriazione, ma non per contestare l’ingiustizia del provvedimento che potrà essere censurata solamente tramite il reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c.

[7] Così Montesano, cit., 935; Capponi, Sull’esecuzione-attuazione dei provvedimenti d’urgenza per condanna a pagamento di somme, in Riv. dir. processuale, 1989, 116; Proto Pisani, cit., 362; Vullo, cit., 153; Carratta, cit., 401; Balbi, Provvedimenti d’urgenza, in Digesto civ., XVI, Torino, 1997, 73 ss. In giurisprudenza vds. Cass. Civ., Sez. III, 15 gennaio 2003 n. 481.

[8] In dottrina è stato osservato come questa scelta legislativa si giustifica per il fatto che l’attuazione in forma specifica è più semplice rispetto a quella dei provvedimenti aventi ad oggetto una somma di denaro e che, in ogni caso, la deformalizzazione della procedura di attuazione in forma specifica è volta a soddisfare esigenze di informalità e celerità della tutela cautelare (al riguardo si veda, Vullo, cit., 182).

[9] Al riguardo dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che con l’espressione “giudice che ha emesso il provvedimento cautelare” contenuta nell’art. 669 duodecies c.p.c. non si intende il giudice persona fisica che ha pronunciato la misura cautelare, bensì l’ufficio giudiziario di cui egli fa parte. Così, in giurisprudenza, Cass. Civ., Sez. III, 26 febbraio 2008 n. 5010; Cass. Civ., Sez. III, 12 gennaio 2005 n. 443; in dottrina, Vullo, cit., 188; Carratta, cit., 409.

[10] Al riguardo si veda Trib. Roma, 20 dicembre 1999.

[11] L’art. 121 c.p.c. rubricato “Libertà di forme” dispone “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo“, mentre il successivo art. 131 c.p.c. rubricato “Forma dei provvedimenti in generale” stabilisce ai commi 1 e 2 che “1. La legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza, o decreto. 2. In mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo“.

[12] Questa opzione interpretativa è rafforzata dalla mancanza del rinvio alle norme sul processo esecutivo (a differenza dell’attuazione delle misure aventi ad oggetto somme di denaro) e dall’inciso di cui all’art. 669 duodecies c.p.c. secondo il quale il giudice “ove sorgano difficolta o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni. Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito“; così in dottrina, Tarzia-Saletti, Processo cautelare, inEnc. dir., Milano, 2001, 859; Carratta, cit., 414; Proto Pisani, cit., 365; Scarselli, La tutela del terzo avverso I‘esecuzione per consegna e rilascio, in Foro it., 1997, I, 2119. In giurisprudenza, Cass. Civ., Sez. III, 12 dicembre 2003 n. 19101.

[13] In dottrina, vds., Mandrioli, Esecuzione per consegna o rilascio, in Digesto civ., VII, Torino, 1991, 616 ss; Luiso, Esecuzione forzata in forma specifica, in Enc. giur., II, Roma, 1989.

[14] Si veda, Cass. Civ., Sez. III, 26 agosto 2014 n. 18257; in dottrina, Vullo, cit., 186.

[15] Così, Carratta, cit., 416 ss.

3. Il caso di specie e la soluzione della Corte di Cassazione

Caio e Caia avevano proposto una domanda di reintegra nel possesso al fine di conseguire l’eliminazione di talune opere che il Tribunale di La Spezia aveva accolto, disponendo l’immediato ripristino dello stato dei luoghi.

Dopo l’emissione del provvedimento possessorio interdittale – parzialmente modificato in sede di reclamo – nessuna delle parti ha chiesto la prosecuzione del giudizio possessorio ai sensi dell’art. 703 quarto comma c.p.c.

Tizio, Mevia e Sempronia, destinatari dell’interdetto possessorio, hanno, invece, agito in via petitoria per far dichiarare la legittimità delle opere oggetto del provvedimento di reintegra, domanda che è stata respinta dal medesimo Tribunale con sentenza depositata in data 14 ottobre 2014, con la condanna di Tizio, Mevia e Sempronia alla riduzione in pristino.

Successivamente Caio e Caia hanno chiesto al Tribunale di La Spezia di adottare le misure necessarie per l’attuazione del provvedimento di reintegra nel possesso ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c., ma il giudice adito – preso atto della sentenza emessa nella controversia petitoria – ha dichiarato la cessazione della materia del contendere ed ha condannato Tizio, Mevia e Sempronia al pagamento delle spese di lite, rilevando che la richiesta di attuazione si era resa necessaria a causa dell’inottemperanza, da parte di questi ultimi, al provvedimento possessorio interdittale e che gli stessi erano risultati soccombenti in base all’esito finale del giudizio.

Il Tribunale di La Spezia ha, quindi, ritenuto definitivo il provvedimento possessorio ed ha escluso che fosse ammissibile la proposizione di un’autonoma lite al solo fine di ottenere il rimborso degli oneri processuali, essendo altrimenti leso il principio di ragionevole durata del processo.

Tizio, Mevia e Sempronia hanno proposto ricorso per cassazione avverso il richiamato provvedimento del Tribunale di La Spezia del 27 gennaio 2015, affidato a cinque motivi tutti incentrati sulla violazione dell’art. 669 duodecies c.p.c., anche con riferimento alla pronuncia sulle spese di lite.

Con la sentenza in commento[16] la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso atteso che i provvedimenti emessi dal giudice ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. “sono impugnabili con i rimedi contemplati dalla disciplina del procedimento cautelare uniforme, che trova applicazione anche alle azioni possessorie, nei limiti di compatibilità, ai sensi dell’art. 703, comma terzo c.p.c.“.

Secondo “l’insegnamento di questa Corte, nei provvedimenti emessi dal giudice, in forma diversa dalla sentenza, per regolare l’attuazione delle misure cautelari (ai sensi dell’art. 669, duodecies c.p.c.) non è ravvisabile il carattere della decisorietà, poiché detti provvedimenti hanno natura strumentale e non sono idonei al giudicato, sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale“.

Il provvedimento di attuazione di misure cautelari ex art. 669 duodecies c.p.c., dunque, non poteva essere oggetto di un ricorso in cassazione, ma “era suscettibile di reclamo al collegio, al pari della pronuncia sulle spese in esso contenuta“.

[16] Cass. Civ., Sez. II, 17 aprile 2019 n. 10758.

4. Considerazioni conclusive

La Corte di Cassazione ribadisce un orientamento ormai consolidato in subiecta materia in forza del quale i provvedimenti emessi dal giudice della cautela per determinare l’attuazione delle misure cautelari ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. sono privi del carattere della decisorietà e, avendo natura strumentale, sono inidonei ad assumere l’efficacia di cosa giudicata sia dal punto di vista formale, che da quello sostanziale, con conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso i medesimi ex art. 111 Cost.[17].

Secondo la Corte Suprema, dunque, questi provvedimenti sono impugnabili con i rimedi tipici previsti dalla disciplina del procedimento cautelare uniforme, applicabile anche alle azioni possessorie, nei limiti di compatibilità ai sensi dell’art. 703, comma 3, c.p.c. e dunque, esclusivamente con il reclamo al collegio ex art. 669 terdecies c.p.c.

Anche sotto il profilo della pronuncia sulle spese, la Corte di Cassazione richiama un altro orientamento consolidato[18] e ribadisce che “già con riferimento alla disciplina precedente all’entrata in vigore dell’art. 50, L. 69/2009 (che ha abrogato, per i giudizi proposti dal 4 luglio 2009, l’opposizione prevista dall’art. 669 septies, comma terzo, c.p.c.), questa Corte, sulla base di una lettura coordinata degli artt. 669 septies, comma terzo e 669 terdeciesc.p.c. con i principi introdotti dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 253/1994, aveva stabilito che avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza cautelare, con pronuncia sulle spese, fosse ammissibile il reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.Le modifiche introdotte dalla L. 69/2009 non hanno inciso sull’esperibilità del reclamo anche per contestare la statuizione sulle spese assunta in prima istanza“.

In conclusione, dunque, il provvedimento di attuazione di misure cautelari ex art. 669 duodecies c.p.c. non è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., ma deve essere impugnato esclusivamente con il reclamo al collegio, ai sensi e nei termini di cui all’art. 669 terdecies c.p.c., al pari della pronuncia sulle spese in esso contenuta.

[17] Ex multis, Cass. Civ., Sez. I, 2 febbraio 1998 n. 1028; Cass. Civ., Sez. I, 26 luglio 2000 n. 9808; Cass. Civ., Sez. III, 8 agosto 2002 n. 12014; Cass. Civ., Sez. III, 20 novembre 2009 n. 24543; Cass. Civ., Sez. I, 13 settembre 2013 n. 21034.

[18] Si veda, al riguardo, Cass. Civ., Sez. Un. 28 dicembre 2001 n. 16214; Cass. Civ., Sez. I, 10 gennaio 2003 n. 151; Cass. Civ., Sez. III, 26 febbraio 2009 n. 4497.

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