L’IGNORANZA SCUSABILE DELLA LEGGE PENALE: RILIEVI COSTITUZIONALI

Redazione 27/08/03
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Bisogna premettere che il codice penale vigente, chiamato codice Rocco, è stato promulgato con Regio Decreto il 19 ottobre 1930 con n. 1398 e reso esecutivo il 1° gennaio 1931; la Carta Costituzionale è in vigore, invece, dal 1° gennaio 1948.

Il codice Rocco, nato per rinnovare il codice Zanardelli in senso ideologico fascista, come prevedibile, è stato novellato più volte a causa della conflittualità normativa del regime democratico. Le novellazioni sono avvenute tout court ad opera di leggi abrogative, sia esplicite che implicite, che ad opera delle sentenze della Corte Costituzionale chiamata a statuire dal Giudice a quo.

In particolare tratterò brevemente dell’art. 5 c.p. e dei rilievi costituzionali che, recentemente, hanno novellato implicitamente questo articolo di fondamentale importanza obbligandoci ad una rilettura in chiave costituzionale.

L’art. 5 c.p. statuisce che nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale.

Nella esegesi giuridica si deve rispettare il principio della gerarchia delle fonti, secondo i principi specialistici e cronologici.

Tali principi non si applicano per la comparazione Costituzionale perché la Costituzione, nel nostro ordinamento, prevale su ogni atto legislativo.

Gli articoli costituzionali da contrapporre all’art. 5 c.p. sono precisamente:

l’art. 3, comma I che sancisce il principio di uguaglianza come il trattamento paritario davanti alla legge. Da questo principio si evince che si deve trattare allo stesso modo casi uguali e in modi diversi casi disuguali. Secondo quest’ultima accezione si riscontrerebbe la violazione ex art. 3 Cost. nel caso in cui, imputati di diversi reati e di diversa gravità e qualificazione delinquenziale, a norma dell’art. 133 c.p. per la valutazione discrezionale della pena, venissero trattati allo stesso modo e cioè venissero condannati alla stessa pena immotivatamente. Da qui la rilevanza dell’art. 5 c.p. considerato che non possono essere della stessa stregua chi veramente conosceva la norma incriminatrice al momento della commissione del fatto costituente reato e chi invece, di fatto, non la conosceva. Il codice Rocco è tassativo e non riconosce alcuna giustificazione dell’ignoranza.

l’art. 25, comma II statuisce la punibilità di un fatto preveduto dalla legge come reato solo se l’agente lo ha commesso, in tutti i suoi elementi essenziali, dopo l’entrata in vigore della legge che lo determina. Si tratta in poche parole del principio della irretroattività della legge penale in cui non ci soffermiamo in quanto vi sono casi specifici derogabili e complessi di cui rimando all’art. 3 c.p. e all’istituto della successione della legge penale nel tempo. Vale comunque il principio cronologico e cioè che un fatto non è reato se la legge così non prevede. Attenzione: ho usato la locuzione non prevede proprio perché la norma penale è una norma negativa ed oggettiva (mentre la norma civile è soggettiva). Nel nostro ordinamento c.d. negativo, a differenza di quello fascista c.d positivo, tutto è lecito tranne quello che la legge vieta. Questo in armonia al principio di libertà.

l’art. 73, comma III sottopone la vitalità della legge alla promulgazione e immediatamente alla pubblicazione del testo. Ma ancora la legge non è efficace, essa deve rimanere “latente” fino al termine della vacatio legis che, costituzionalmente ma non obbligatoriamente, è fissata in 15 giorni. In questo tempo tutti i cittadini, gli stranieri e gli apolidi (che la legge solo in ambito penale equipara ai cittadini) possono prendere visione delle nuove disposizioni. Tralasciamo gli effetti del decreto legge che, sui generis, non ha vacatio.

Da questi rilievi nasce spontaneo il dubbio che l’art. 5 c.p. corrisponda effettivamente al dettato costituzionale. Difatti, solo recentemente, la Corte si è espressa su rinvio incidentale processuale ad opera di un gruppo di avvocati.

La sentenza cost. n. 364/88 ha pubblicato la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non prevede l’ignoranza inevitabile della legge penale. Attenzione: l’articolo non è stato novellato formalmente ma solo sostanzialmente, nel senso che dalla lettura nulla si evince e sembrerebbe ancora sussistere l’ignoranza assoluta. Invece la norma deve essere riconsiderata in senso relativo perché la sentenza de qua individua alcuni casi generici in cui l’ignoranza può essere eccepita come esimente di un reato.

In primo luogo deve trattarsi di un reato artificiale, cioè non dettato dalla natura delle cose, dalla nostra coscienza, come insegna la dottrina giusnaturalistica; per esempio tutti sanno che l’omicidio è un atto commesso contro natura nel senso che la nostra stessa coscienza, l’istinto umano, ci informa della asocialità dell’atto stesso.

In secondo luogo l’errore diventa inevitabile qualora il testo legislativo sia assolutamente oscuro, o l’atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari sia gravemente caotico o quando le persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare (es: avvocati) pronuncino delle assicurazioni erronee.

L’errore deve rispondere al criterio della c.d. generalizzazione e cioè ponendo qualsiasi altra persona di media cultura e intelligenza nella posizione dell’imputabile, anch’essa deve cadere vittima dello stesso errore.

Ci sarebbero molte altre cose da dire ma vorrei terminare augurandomi che il processo di costituzionalizzazione della nostra società o viceversa, la decostituzionalizzazione di norme desuete o anacronistiche e vissute dalla società matura come limiti di libera espressione e manifestazione della personalità sociale e personale, avvenga più rapidamente e senza pregiudizi.

Mauro Di Fresco

Bibliografia

Corso di Diritto Penale, Fabrizio Ramacci, Giappichelli Editore, Torino, 2001.

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