Libertà fondamentali della persona e indagini tributarie tra costituzione e convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

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Sommario: 1. Libertà fondamentali della persona e indagini tributarie. 2. L’esercizio dei poteri ispettivi: aspetti di interesse. 3. L’attività ispettiva del fisco e la Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.

 

1. Libertà fondamentali della persona e indagini tributarie

Durante il controllo fiscale si assiste ad una contrapposizione di esigenze: quella del fisco di esercitare i poteri di investigazione finalizzati alla tutela degli interessi tributari, da una parte, quella del contribuente di evitare che un incontrollato ed eccessivo esercizio dei poteri pubblici di indagine possa intaccare la propria libertà personale ed altri diritti fondamentali, dall’altra.

Le richiamate esigenze trovano la fonte nello stesso precetto costituzionale: al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 della Costituzione).

Dall’esame dei poteri istruttori che gli organi di investigazione possono utilizzare allo scopo di ottemperare alle investigazioni di rispettiva competenza, tra cui, fondamentalmente quelli di cui al D.P.R. n. 633/1972 (artt. 51 – Attribuzione e poteri degli Uffici dell’Imposta sul valore aggiunto – e 52 – Accessi, ispezioni e verifiche) e al D.P.R. n. 600/1973 (artt. 32 – Poteri degli uffici – e 33 – Accessi, ispezioni e verifiche), emerge in maniera evidente che tra i diritti inviolabili “sacrificabili”, sia pur entro i circostanziati margini ammessi dalla norma, si annoverano quelli riguardanti alcune libertà fondamentali, quali l’inviolabilità della libertà personale (art 13, primo comma Cost.), l’inviolabilità del domicilio (art. 14, primo comma Cost.), l’inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15, primo comma Cost.)1.

La libertà personale esclude qualunque forma di detenzione, ispezione o perquisizione personale e “qualsiasi altra forma di restrizione alla libertà personale”2.

L’art. 13 prescrive che la materia delle limitazioni della libertà personale è coperta da riserva assoluta di legge e che le singole limitazioni, compiute in applicazione della legge, possano essere realizzate esclusivamente a seguito di un atto motivato e proveniente dall’autorità giudiziaria. Prevede, inoltre, che soltanto in via provvisoria, in casi di necessità ed urgenza tassativamente previsti dalla legge, sono ammissibili limitazioni della libertà personale ad opera dell’autorità di pubblica sicurezza e comunque, i relativi provvedimenti devono essere comunicati entro un termine massimo di quarantotto ore all’autorità giudiziaria e perdono ogni effetto se questa rifiuta di convalidarli o non li convalida entro le quarantotto ore successive dal ricevimento della comunicazione (art 13, terzo comma Cost.).

Una forma di attuazione del principio di tutela della persona e di sviluppo della libertà personale deve individuarsi nel “diritto alla riservatezza” che, pur non essendo esplicitamente previsto dalla Carta costituzionale, risulta tuttavia presupposto da parecchie sue disposizioni e pertanto è da considerarsi come principio costituzionale non scritto3.

L’inviolabilità del domicilio (art 14 Cost.) è dettata dall’assunto secondo cui esso rappresenta l’ambito spaziale in cui l’individuo esercita la propria personalità; ne deriva che la sua tutela è legata da un vincolo di stretta strumentalità alla tutela della libertà personale.

L’inviolabilità del domicilio è garantita dalla riserva assoluta di legge e dalle garanzie della libertà personale, cui si è fatto cenno. Sono ammesse deroghe per le ispezioni o gli accertamenti originati da motivi di sanità e di incolumità pubblica o decisi in vista del perseguimento di fini economici o fiscali4.

Analogamente inviolabile è la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art 15 Cost.), questa intesa come qualunque messaggio avente uno o più destinatari determinati. L’individuo può, attraverso tale strumento di comunicazione, manifestare anche il proprio pensiero e le proprie opinioni.

Tali diritti fondamentali costituiscono un insieme di “libertà negative” in quanto finalizzate ad evitare che nella sfera individuale si verifichino interferenze da chiunque provenienti, dunque sia ad opera di privati che della stessa pubblica autorità5.

Ai diritti fondamentali spettanti al cittadino, sia come singolo, sia nell’ambito delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, si contrappone il principio di solidarietà, richiamato dalla seconda parte dell’art. 2 della Costituzione (ma anche in altre disposizioni della Carta fondamentale), a mente del quale “la repubblica (…) richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Così come la prima parte dell’art. 2 evidenzia i caratteri generali che sono alla base delle disposizioni, costituzionali e legislative, che trattano dei singoli diritti, alla stessa stregua la seconda parte pone le basi delle disposizioni riguardanti i doveri; queste ultime, pur non essendo tutte di rango costituzionale, tuttavia devono necessariamente trovare giustificazione nella Costituzione “(…) qualora comportino una deroga al principio di eguaglianza oppure ad altre disposizioni costituzionali che garantiscano diritti”6.

L’aggettivo “inderogabili”, riferito ai doveri, si accosta, diametralmente, all’inviolabilità dei diritti, quasi a voler significare la centralità di tali diritti e doveri nell’assetto costituzionale; un’eventuale cambiamento del sistema basato sul delicato connubio stravolgerebbe il sistema politico intaccando i principi basilari della Costituzione materiale, “rovesciandola”7.

Tra “i doveri inderogabili” si annota, per quanto interessa in questa sede, quello del pagamento dei tributi (che pur rappresentando la principale manifestazione del dovere di prestazione patrimoniale, non è l’unica che se ne possa configurare), solennizzato nell’art. 53 della Costituzione, il quale dispone che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

L’articolo 53 va letto in correlazione con l’art. 23 che copre la materia con una riserva relativa di legge, secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (tale riserva si ritiene riguardi non soltanto riduttivamente le sole prestazioni patrimoniali o personali, ma sia da inquadrarsi quale supporto basilare a sostegno del generale principio solidaristico, per cui ogni richiesta di adempimento di un dovere al cittadino deve trovare fondamento in una disposizione di legge).

 

2. L’esercizio dei poteri ispettivi: aspetti di interesse

L’esercizio dei poteri ispettivi del fisco (tra i quali, emblematicamente quello di accesso, il quale si concretizza in un’attività molto invadente della sfera giuridica del destinatario), rientra nel novero delle cosiddette ispezioni economiche che, a propria volta, si collocano nell’alveo delle più generiche ispezioni amministrative: per quanto rileva in questa sede, le ispezioni economiche sono svolte da un soggetto pubblico nei riguardi di un soggetto privato (un imprenditore oppure un esercente un’arte o una professione che versa, nel contesto, in una situazione di obbligo di cooperazione), estraneo alla struttura amministrativa8. Ne consegue che il fine di tale attività è sempre lo scopo economico incidendo sulla realtà economica di coloro che la subiscono.

Fermo restando che oggetto dell’indagine rimane la realtà economica del soggetto ispezionato, l’attività ispettiva promana pur sempre dall’apparato amministrativo, dunque da una struttura pubblica; è inevitabile, pertanto, che allo scopo economico, cui è preordinata, vada accostato il fine pubblicistico che, in ambito fiscale, non di raro presenta un marcato supporto sociale9.

L’affermazione trova agevole conferma nell’assunto secondo cui, posto che l’attività ispettiva del fisco si prefigge, tra l’altro, la verifica del rispetto della normativa tributaria e dei principi che ne sono alla base, tra i quali, evidentemente, quello della capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, lo scopo di un efficiente esercizio delle potestà fiscali è finalizzato a realizzare anche una giustizia sociale: è giusto, dunque, che chi abbia una maggiore capacità contributiva, dunque una maggiore forza economica, contribuisca più di altri al supporto delle spese dello Stato; è altrettanto giusto che chi abbia una minore capacità contributiva dia un apporto inferiore o non contribuisca affatto a tali spese se addirittura privo di ogni attitudine a sostenerle in quanto titolare di un reddito ritenuto minimale ed appena sufficiente per sopravvivere. Tutto questo, evidentemente, perché di massima il sacrificio che grava sul più ricco nell’affrontare le spese dello Stato è inferiore rispetto a quello che onera il meno ricco, per cui si impone, là dove è possibile, un sistema progressivo tributario. Il fine sociale sta proprio in questo: trattare in maniera diversa soggetti che versano in differenti condizioni economiche10.

Da quanto fin ora evidenziato, si desume che è sempre opportuna una comparazione dei diversi interessi in gioco: è necessario, di volta in volta, che venga trovato il giusto equilibrio tra le divergenti esigenze oggetto di tutela che fanno capo sia ai diritti della persona sia agli altri valori di natura pubblicistica inerenti il procedimento tributario. Dalla misura in cui a tale equilibrio più o meno armoniosamente si perviene, potrà dirsi rispettato o meno il dettame costituzionale.

Nel novero delle liberta fondamentali già la stessa Costituzione, come visto, pone delle deroghe in relazione alla compromissione della libertà personale (art. 13, primo e secondo comma), del domicilio (art. 14, primo e secondo comma) e della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15, secondo comma). Ma al di là degli spazi consentiti è preclusa ogni invasione della sfera individuale. Un’illegittima intromissione consente al titolare dei diritti di reagire attraverso un potere di azione.

La limitazione dei diritti a seguito dell’esercizio dell’azione amministrativa del fisco durante la fase delle indagini va vista in un contesto di temporaneità. La potestà pubblica non debella definitivamente tali libertà ma può sacrificarle, entro determinati margini, nella misura e per il tempo strettamente necessario per raggiungere l’interesse pubblico. Ogni eccessiva manifestazione di tali poteri è illegittima e pone il soggetto leso nella condizione, appunto, di reagire11.

Ogni limitazione di tali diritti deve essere circoscritta dalla legge. È questo il principio di legalità che trova origine nell’art. 97, primo comma della Costituzione, a detta del quale “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizione di legge(…)”12. Tale principio va letto in sistematico legame con l’art. 101, secondo comma della Costituzione, secondo cui “I giudici sono soggetti soltanto alla legge” e con l’art. 113, il quale stabilisce che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”. Ne consegue che l’esercizio di ogni potere di investigazione tributaria deve trovare fondamento nella legge13. Non solo: anche le singole modalità tecniche di tale esercizio devono trovare la propria linfa nel dato normativo, per di più laddove vengono poste in “ballo” libertà fondamentali che, in quanto tali, hanno indotto dottrina e giurisprudenza ad assumere una posizione tendenzialmente garantista per il contribuente.

L’esercizio dei poteri fiscali volto ad incidere su tali posizioni giuridiche costituzionalmente tutelate e che debordi dagli stringenti vincoli normativi, fa nascere, in capo alla pubblica autorità, un obbligo di astensione colorandosi, il suo comportamento, di margini di evidente antigiuridicità che, intaccando i diritti inviolabili della persona tutelati e riconosciuti dall’art. 2 della Costituzione, pone il contribuente nella condizione di censurarne l’illegittimo comportamento14. In tali casi il rimedio è rappresentato dall’azione inibitoria15, attraverso la quale il soggetto leso richiede al giudice competente una tutela cautelare immediata finalizzata alla sospensione dell’attività lesiva ed alla restituzione degli elementi probatori acquisiti irritualmente con diffida di un loro utilizzo per gli scopi probatori a supporto dell’istruttoria pendente16.

 

3. L’attività ispettiva del fisco e la Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali

L’attività ispettiva del fisco deve “fare i conti”, a ragione, anche con la Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai paesi fondatori del Consiglio d’Europa17.

Nel Titolo primo (diritti e libertà) sono collocati sia il Diritto alla libertà e alla sicurezza (art. 5), sia il Diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8).

In particolare alla luce dell’art. 5 “ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà (…)”, salvo che in casi tassativamente previsti e sempre nei modi prescritti dalla legge.

Inoltre, a mente dell’art. 8 “ogni persona ha il diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”.

Gli artt. 5 e 8 trovano immediato ingresso tra i diritti e le libertà che originariamente, attraverso la costituzione della Convenzione, sono stati recepiti all’interno di un documento normativo che abbraccia i principi appartenenti alla sfera etico-morale del comune sentire umano (unitamente, in sintesi, al diritto alla vita, al divieto di tortura, al divieto della schiavitù e dei lavori forzati, al diritto ad un equo processo, al principio del nullum crimen sine lege, alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, alla libertà di espressione, alla libertà di riunione e di associazione, al diritto di sposarsi, al diritto ad un ricorso effettivo, al divieto di discriminazione, al divieto di abuso di diritti).

Con una modifica apportata alla Convenzione in data 11 maggio 1993, attraverso la firma a Strasburgo del cosiddetto “undicesimo protocollo”, entrato in vigore il 1^ novembre 1998, ratificato dall’Italia con la legge n. 296 del 28 agosto 1997, nasce la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, competente a giudicare sulle violazioni della Convenzione e che, sostituendo i due precedenti organi giurisdizionali (Commissione e Corte), accorpandone le funzioni, si prefigge, tra l’altro, una sensibile riduzione dei tempi della giustizia ed un consolidamento della propria giurisprudenza quale punto fermo per la tutela dei diritti umani18.

In quest’ottica si è pronunciata su un caso che riguarda il secondo comma dell’art. 8, in ordine all’ingerenza nell’esercizio del diritto del rispetto della vita privata e del domicilio della persona a seguito dell’agire della pubblica autorità. Tale ingerenza è possibile unicamente se prevista “dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale (…), per il benessere economico del Paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati (…), o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”(art. 8, secondo comma). La Corte ha precisato che tale ingerenza potrebbe anche “estendersi a locali o attività aziendali o commerciali piuttosto che ad altri casi”19.

Alla luce di tale assunto giurisprudenziale, che trova conferma anche in alcune pronunce della Corte di Giustizia20, il diritto al domicilio, essendo interpretabile come estendibile anche ai locali aziendali delle società, sia pure nei limiti e per gli esclusivi fini di cui al secondo comma dell’art. 8, implica che l’attività ispettiva del fisco che si estrinsechi in un accesso nei (soli) locali aziendali e non anche in quelli adibiti “ad abitazione” debba comunque essere assistita da adeguate garanzie.

Sembrerebbe, dunque, che in un’ottica soprannazionale le garanzie per il contribuente, in veste di persona giuridica e non fisica, in relazione alla tutela domiciliare, assuma un carattere più stringente per la pubblica autorità rispetto a ciò che accade in ambito domestico, se – per quanto rileva in questa sede – il fisco si accinga ad eseguire un’ispezione o comunque ad esercitare un’attività investigativa potenzialmente invasiva dei diritti e delle libertà fondamentali.

Infatti, alla luce del dato giurisprudenziale sopranazionale per ultimo citato, emerge che l’estensione del diritto al domicilio anche alle realtà aziendali, sia pur con i limiti di cui al secondo comma dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, faccia riflettere molto sull’avvertita necessità di un’estensione – magari attraverso sfumature graduate all’occorrenza – di alcune delle garanzie costituzionali attualmente a presidio della tutela domiciliare delle singole persone fisiche, anche alle “realtà domiciliari aziendali”.

In quest’accezione non sembrerebbe eccessivo affermare che la vita privata del contribuente si svolge, oltre che nella propria abitazione, anche in altri contesti materiali quali, ad esempio, nell’ufficio della propria azienda; un’interpretazione del genere, tuttavia, farebbe nascere il fondato sospetto che alcuni passaggi del vigente quadro normativo nazionale di riferimento potrebbero essere in attrito con il postulato europeo.

1 Autorevole dottrina ha ritenuto che il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo ad opera dell’art. 2 della Costituzione e l’accenno in esso contenuto allo svolgimento della sua personalità, ripreso e rafforzato nell’art. 3, secondo comma e in altre disposizioni della Costituzione, determina che fra i principi supremi costituzionali venga incluso quello che garantisce la libertà personale, intesa tanto in senso fisico che morale, da alcuni denominato “principio personalista” (Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionale, Roma, 1984, 169. In argomento, Mortati, Raccolta di Scritti, Milano, 1972, I, 155; Messinetti, Personalità (diritti della), in Enc. dir., Vol. XXXIII, 362 ss.

2 Per un approfondimento in dottrina del principio, Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, 1967; Allegretti, in Riv trim. dir. pubbl., 1976, 473 ss.; Chiavario, Processo e garanzie della persona, 1982; Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, 1976; Elia, Chiavario, La libertà personale, 1977; Vassalli, in Mortati, Raccolta di Scritti, Milano, 1972, III, 1097 ss.; Conso, in Attual. costit., 207 ss.; Corso, L’ordine pubblico, 1979; Carlassare, in Giur. costit., 1982, I, 98; Pinna, ivi, 1983, I, 592 ss.

3 In questi termini, Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionale, cit., 184.

4 In dottrina, Tedeschi, Domicilio, residenza e dimora, voce del Noviss. Digesto, appendice; Traverso, in Studi Amorth, II, 485 ss.; Faso, La libertà di domicilio, 1968.

5 Si veda G.M. Lombardi, Potere privato e diritti fondamentali, 1970; Di Majo, in Giur. it., 1980, I, 439 ss.; Barbera, in Mortati, Raccolta di Scritti, cit., I, 26 ss.

In merito alla contrapposizione tra le cosiddette “libertà positive” e “libertà negative”, Constant, De la liberté des anciens comparée a celle des modernes, 1819; Bobbio, Politica e cultura, 1974, 160 ss.

6 In questo senso, Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionale, cit., 187. Si confronti Mortati, Raccolta di Scritti, cit., II, 1138; Barbera, in Commentario Branca, sub art. 2, 97 ss; Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, 1967; Carbone, I doveri pubblici individuali nella Costituzione, 1968.

7 Analogamente, Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionale, cit., 187. L’Autore precisa che “(…) il principio di solidarietà si concreta in quattro regole fondamentali desumibili dai singoli passi della Costituzione ed identificabili, da un lato, nell’affermazione del dovere che ciascun singolo cittadino ha di istruirsi al fine di sviluppare la propria personalità, per sé stesso per rendersi utile alla società (…), del dovere di << svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorrano al progresso materiale e spirituale della società >> (art. 4, secondo comma), e del dovere di <<essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi >> (art. 54, secondo comma), nonché, dall’altro, nella limitazione per cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

8 Dall’assunto ne consegue che dall’ispezione economica “restano dunque immediatamente escluse tutte le ispezioni amministrative che si espletino (ad onta del contenuto oggettivamente economico dell’operazione, come avviene – tra i controlli di gestione – per quello di economicità) all’interno della stessa organizzazione pubblica, solitamente poste in essere da un ufficio gerarchicamente sovraordinato o comunque avverso altro soggetto pubblico collocato in posizione di strumentalità rispetto alla struttura procedente” (Passalacqua, Ispezioni economiche. Tipologie, procedimenti e approcci sistemici, Padova, 2005, 338, 339).

9 Il soggetto pubblico che effettua l’ispezione è stato ritenuto che “si propone, con l’ispezione, di conformare il diritto di impresa in modo che questo non leda altri interessi costituzionalmente rilevanti, quali il dovere di solidarietà economica, la tutela del lavoro, della sicurezza, libertà e dignità umana ovvero altri interessi a cui corrispondono diritti costituzionalmente garantiti come il diritto alla salute e all’ambiente salubre” (Passalacqua, Ispezioni economiche. Tipologie, procedimenti e approcci sistemici, cit., 338, 339). Inoltre, “(…) i fini economici di molte delle ispezioni dell’economia coincidono con il perseguimento di quei fini sociali per cui l’iniziativa economica privata conosce limitazioni ai sensi dell’art. 41, c. 2 e 3 Cost., alle quali, in certi casi va pure a sommarsi in positivo la tutela del risparmio disposta dall’art. 47 Cost.” (Passalacqua, Ispezioni economiche. Tipologie, procedimenti e approcci sistemici, cit., 338, 339).

10 In argomento, Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionale, cit., 142, secondo il quale “assicurato a tutti il minimo vitale che consente in ogni caso il rispetto della personalità individuale, l’esercizio dei diritti di partecipazione politica, delle libertà civili ed economiche, ecc., la Costituzione si preoccupa altresì di contenere le disparità delle condizioni economiche e sociali derivanti dalle diversità di reddito entro limiti equi ed a tal fine prevede che coloro che sono forniti di tali redditi sopportino in misura più che proporzionale gli oneri connessi all’organizzazione della società (come è esplicitamente stabilito con riferimento al sistema tributario dall’art. 53, 2° comma, da cui è ricavabile un principio generale della <<Costituzione economica >>”.

11 Da qui la sensibilità palesata dal legislatore dello Statuto dei diritti del contribuente da cui emerge la doverosità per il fisco, che si trova a dover scegliere tra l’esercizio di diversi poteri, alcuni più invasivi della sfera giuridica del destinatario, altri meno, ma accomunati da un similare grado di efficacia nel risultato auspicato, di utilizzare unicamente quelli che cagionino meno disagio al destinatario.

12 L’organizzazione di pubblici uffici secondo disposizione di legge va vista in un contesto non solo statico, ma anche dinamico; dunque il vincolo della legge riguarda anche l’esercizio esterno dell’agire della Pubblica amministrazione.

13 In argomento, Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, cit., secondo cui “L’autonomia sub-procedimentale delle ispezioni, e dell’attività istruttoria in genere, può essere spiegata anche in ragione della circoscritta finalità che queste si propongono. In altri termini, ciò che consente di riconoscere la natura ispettiva di una determinata attività è proprio la finalità di acquisizione di conoscenza che essa persegue. Tale finalità, ancorché raggiungibile con una varietà di strumenti difficilmente codificabile, può essere tuttavia perseguita o mediante l’esercizio di poteri autoritativi o attraverso metodi atipici di matrice non autoritativa (basti pensare all’attività di mera raccolta di informazioni e di notizie liberamente accessibili). Con una differenza fondamentale: nel primo caso, la relativa potestà richiede una espressa previsione normativa (secondo il principio di legalità), nel secondo caso, invece, la ricerca può considerarsi libera nei limiti del rispetto dell’altrui privicy”.

Una posizione interpretativa tendenzialmente elastica in merito al principio di legalità, è attribuibile a Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, 105, ss., il quale è del parere che “(…) l’imposizione “legalistica” non implica che l’organo pubblico possa interferire nella sfera giuridica dei terzi solo nei casi in cui la legge lo consente in modo espresso. Più precisamente, ciò è vero solo quando gli atti di indagine incidono su diritti tutelati dalla Costituzione: quando invece l’attività di ricerca tocca diritti di altra natura, bisogna senza dubbio riconoscere che la titolarità del relativo potere può fondarsi non solo su un’attribuzione esplicita, ma anche su principi che regolano in generale il settore o sull’analogia”.

Si ritiene che il dato normativo non debba limitarsi ad attribuire poteri all’Esecutivo in assenza di una dettagliata disciplina circa il loro esercizio; un asettico rinvio all’esercizio di tali poteri da parte della Pubblica amministrazione di fatto ne preclude al giudice il controllo e quindi l’aderenza al principio di legalità. Per cui “(…) se la legge non contiene alcun elemento idoneo a circoscrivere la discrezionalità dell’Amministrazione, essa non è più utilizzabile in sede giurisdizionale come termine di confronto per giudicare della legittimità degli atti successivamente emanati” (Carlassare, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova, 1966, 153, ss.). Concordemente, Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, cit., 53, per il quale “non solo la funzione amministrativa (e cioè, in definitiva, le finalità che la stessa attività amministrativa si propone) deve essere stabilita dalla legge, ma anche i singoli poteri mediante i quali sia possibile esercitare quella funzione (e, quindi, perseguire concretamente le finalità ad essa proprie) devono essere parimenti oggetto di specifica previsione legislativa”. In argomento si confronti Fois, Legalità (principio di), in Enc. dir., vol. XXIII, Milano, 690, per il quale “la competenza degli organi dell’esecutivo-amministrazione a manifestazioni di volontà aventi comunque rilevanza esterna deve essere determinata – e delimitata anche nel suo oggetto – dalla legge, dall’altro lato, sempre dalla legge deve essere precisato il tipo e la natura delle attribuzioni”.

14 Sul punto, concordemente Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, cit., 53. Si confronti, inoltre, Santamaria, Le ispezioni tributarie, Milano, 1993, 100, il quale ammette che i diritti fondamentali “toccati” da una ispezione tributaria, se è vero che degradano a meri interessi legittimi in concomitanza con l’esercizio della pubblica potestà riconosciuta allo Stato in materia ispettiva-tributaria, è altrettanto vero che essi sono destinati a riespandersi in tutto il loro vigore nel momento in cui viene a cessare l’esigenza ispettiva del fisco. Fino a tale momento comunque è riconosciuta “una seppur limitata tutela. Una tutela indiretta, avente per oggetto la conformità dell’azione amministrativa alla legge. La degradazione dell’interesse del privato intanto è legittima in quanto i presupposti e l’attività ispettiva medesima corrispondono ai canoni legislativamente previsti”.

15 In merito ai presupposti che sono alla base dell’azione inibitoria, Messinetti, Personalità (diritti della), cit., 389 ss.

16 In argomento, Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, cit., 54, il quale, in merito all’individuazione dell’autorità giudiziaria cui il soggetto passivo leso è tenuto a presentare la propria richiesta, precisa che questa debba individuarsi “nella giurisdizione amministrativa, nella misura in cui la situazione soggettiva violata sia configurabile quale interesse legittimo: il che accade tutte le volte in cui la violazione sia connessa ad atti o ad attività soggettivamente ed oggettivamente riferibili alla Pubblica Amministrazione”. Concordemente, Accarino, L’impugnabilità degli atti istruttori lesivi, in Il nuovo accertamento tributario tra teoria e processo, in AA.VV., Roma, Milano, 1996, 332. In giurisprudenza, Cass., SS.UU., 5 agosto 1975, n. 2979, in I Quattro codici della Riforma Tributaria big, Cd-rom, IPSOA.

17 Il Consiglio d’Europa trova origine a Londra il 5 maggio 1949 all’indomani delle devastanti esperienze dei conflitti mondiali, con la firma del relativo Trattato tra Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi bassi, Regno Unito e Svezia. Lo scopo era quello di creare un’organizzazione internazionale in cui ogni paese aderente fosse propenso ad accettare solennemente il principio della preminenza del diritto in genere e, in particolare, della garanzia che ad ogni persona sottoposta alla sua giurisdizione fosse assicurato il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In effetti “(…) il trattato firmato a Londra il 5 maggio 1949, quattro anni dopo la fine di una guerra che aveva straziato l’Europa, era un vero e proprio atto costituente. Non si limitava ad instaurare legami di amicizia, interesse o alleanza tra le parti: mirava a salvaguardare e promuovere una serie di valori e di principi da esse condivisi attraverso un quadro istituzionale internazionale in grado di influire sullo sviluppo delle società in Europa” (Dichiarazione della Presidenza dell’Unione Europea del 5 maggio 1999 – in occasione del 50^ anniversario della nascita del Consiglio d’Europa – in Bollettino UE, 1999 – Politica estera e di sicurezza comune – 19/19).

18 Nel preambolo della Convenzione si legge: “(…) la presente dichiarazione è volta a garantire il riconoscimento e l’applicazione effettiva e universale dei diritti ivi enunciati, rilevato che il fine del Consiglio d’Europa consiste nella realizzazione di una più stretta unione tra i popoli membri, e che il tramite per il raggiungimento di tale fine è dato dalla salvaguardia e dallo sviluppo dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. Il nobile fine viene in rilievo in tutta la sua grandezza laddove si pensi che proprio il rispetto di dette libertà fondamentali rappresenta la base della pace e della giustizia nel mondo: fu dunque sentita la grande necessità di formalizzare un elenco di principi che si opponesse alla supremazia della “ragion di Stato”, garantendo ad ogni individuo la completa tutela dei propri diritti avverso le azioni degli Stati, attraverso una trasparente procedura giurisdizionale e superando l’arcaico principio del “dominio riservato allo Stato” in ordine ai diritti fondamentali. Si deve alla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, attuata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1988, la collocazione ufficiale di tali diritti nel panorama giuridico internazionale, attraverso un meccanismo di naturale evoluzione storica di un iter iniziato il 1215, anno della nascita della Magna Charta, poi proseguito fino al 1776, anno della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, ed ancora fino al 1789, anno della Dichiarazione francese dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.

In dottrina, per generale un approfondimento delle tematiche affrontate dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, De Salvia, Compendium della CEDU, Napoli, 2000 e, dello stesso Autore, La Commissione e la Corte europea dei diritti dell’Uomo: meccanismi e giurisprudenza, in l’Italia e la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, a cura di Grementieri, Milano, 1989; Sirotti Gaudenzi, I ricorsi alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Rimini, 2001; Defilippi, Anselmo, I ricorsi alla nuova Corte europea dei Diritti dell’Uomo, Milano, 2000; Romano, Pellegrini, Parrotta, La nuova Corte europea dei diritti dell’Uomo, Milano, 1999; Carreas, Diritti umani deboli e diritti umani assoluti, in Diritto naturale e diritti dell’Uomo all’alba del XXI secolo, Colloquio internazionale, Roma 10-13 gennaio 1991, in Quaderni di Iustitia, a cura dell’unione Giuristi cattolici italiani, Milano, 1993; Stelachowski, I diritti dell’uomo e il rinnovamento del diritto in vista della Casa comune europea, in Diritto naturale e diritti dell’Uomo all’alba del XXI secolo, Colloquio internazionale, Roma 10-13 gennaio 1991, in Quaderni di Iustitia, a cura dell’unione Giuristi cattolici italiani, cit.; Durante, Pennarelli, I diritti dell’Uomo in Italia, Vol. I, Milano, 1998; De Stefano, La tutela giuridica internazionale dei Diritti umani, Padova, 1997; Espiell, Diritti umani: etica, diritto, politica, in I diritti umani a quarant’anni dalla dichiarazione universale, Padova, 1989; Marterson, L’impegno delle Nazioni Unite per i diritti umani, in I diritti umani a quarant’anni dalla dichiarazione universale, cit.

19 Corte europea Diritti dell’Uomo, 16 aprile 2002, Colas Est e a./Francia, n. 37971/97.

20 Si veda, tra le altre, Corte giustizia CE, 22 ottobre 2002, causa C-94/00, Roquette Frères. Già in altre circostanza, tuttavia, la Corte si era orientata nel riconoscere l’inviolabilità domiciliare sia dei soggetti persone fisiche che persone giuridiche, anche se aveva destato difficoltà a poter concettualizzare principi generali di matrice comunitaria a tutela del domicilio delle imprese, stante la eccessiva eterogeneità dei sistemi giuridici dei vari Paesi membri, in relazione alla natura ed alla misura della tutela dei locali commerciali ed in relazione agli interventi della pubblica autorità (in giurisprudenza, altresì, Corte giustizia CE, 21 settembre 1989, cause riunite C-46/87 e C-227/88, Hechst AG c. Commissione, in Racc., I, 1989, 2859).

Toma Giangaspare Donato

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