L’espropriazione del bene in comunione legale per crediti personali di un solo coniuge: evoluzione della giurisprudenza di merito e di legittimità a partire dalla sentenza della Cass. civ., Sez. 3, n. 6575/2013

Redazione 06/05/19
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di Giulia Baruffaldi

Sommario

I. Introduzione

II. La sentenza Cass. civ., Sez. 3, n. 6575 del 14.03.2013

III. Le interpretazioni e le soluzioni adottate dai Tribunali

IV. L’orientamento dominante della Suprema Corte

V. Considerazioni finali

I. Introduzione

L’espropriazione del bene facente parte della comunione legale dei coniugi nel caso in cui un solo coniuge rivesta la qualità di debitore è un tema particolarmente delicato poiché, ad oggi, non è mai stato oggetto di alcuna specifica disciplina codicistica né di alcun testo di legge.

Il nostro legislatore, infatti, non ha finora regolamentato la predetta questione, lasciando la materia al dibattito dottrinale ma, soprattutto, alla costruzione giurisprudenziale di merito e di legittimità.

Ciò ha portato e comporta una incertezza circa la corretta modalità di aggredire esecutivamente un bene ricadente nella comunione legale fra i coniugi di cui un solo debitore, sia per la già dedotta mancanza di disciplina ad hoc, sia per l’avvertita necessità di contemperare, da un lato, le legittime pretese dei creditori del coniuge debitore e, dall’altro, di limitare il sacrificio subito, suo malgrado, dal coniuge non debitore.

La particolarità della questione risiede principalmente nella qualità del bene aggredito, facente parte della comunione legale tra i coniugi ex artt. 177 c.c. e seguenti, il cui regime non deve confondersi con quello della comunione ordinaria.

Infatti, la comunione legale non può essere considerata come una fattispecie di contitolarità del diritto di proprietà, come avviene nel caso della comunione ordinaria, bensì una speciale forma di comproprietà senza quote, come precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 311 del 17.03.1988[1].

Per la Consulta, inoltre, la quota non era un elemento strutturale della comunione legale, ma aveva soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione potevano essere aggrediti dai creditori particolari.

Da tale autorevole interpretazione è derivata, sino al 2013, la possibilità per il creditore particolare del coniuge di poter procedere al pignoramento del bene in regime comunione legale – solitamente la casa coniugale – aggredendo soltanto la “quota” di spettanza del coniuge debitore, avendo quest’ultima la sola funzione di delimitare la quantità di bene aggredibile.

In altre parole, il creditore di un coniuge era legittimato a promuovere l’espropriazione di un bene in comunione legale soltanto per la metà, quale “quota ideale” di proprietà del debitore.

1 Cfr. Corte Cost., 17 marzo 1988, n. 331, in Giur. Cost., 1988, I, p. 1299, secondo cui: “Dalla disciplina della comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria. Questa è una comunione per quote, quella è una comunione senza quote; nell’una le quote sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti (arg. ex art. 2825 cod.civ.) e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune (art. 1103); nell’altra i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, secondo comma). Nella comunione legale la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194)“. In particolare, nel caso in esame, la Consulta ha deciso in merito alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 184, primo comma, cod.civ. per contrasto con gli artt. 3, 24, primo comma, 29, secondo comma, e 42, secondo comma, Cost., e dell’art. 184, secondo comma, per contrasto con l’art. 24, primo comma, Cost., questione sollevata con ordinanza del 14.01.1987 dal Tribunale di Bari, il quale riteneva che la predetta norma “non appare inserita razionalmente nel sistema“: secondo la tesi del Giudice a quo la norma indeboliva il diritto di proprietà del coniuge sul bene comune e imponeva una diversità di trattamento ingiustificata della comunione legale rispetto alla comunione ordinaria. La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione di legittimità infondata, precisando nella propria motivazione le profonde differenze tra la comunione legale e la comunione ordinaria.

II. La sentenza Cass. Civ., Sez. 3, n. 6575 del 14.03.2013

La sentenza in commento (Cass. Civ., Sez. 3, n. 6575 del 14.03.2013) riveste p>

Come noto, la sentenza de qua, ribadendo la natura di comproprietà senza quote della comunione legale tra i coniugi, ha espressamente stabilito che il creditore personale di uno solo di essi avrebbe dovuto pignorare l’intero bene e non la sua metà, come sempre avvenuto sino a quel momento, con conseguente diritto del coniuge non debitore alla metà di quanto ricavato dalla vendita del bene stesso.

Vale la pena citare la massima della sentenza in commento: “La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione (principio affermato ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ.)“.

Le ricadute derivanti dall’applicazione di tale principio sulle esecuzioni già in corso al momento di pubblicazione della predetta sentenza sono state diverse ed hanno avuto connotati problematici, aggravati dalla pletora di differenti soluzioni adottate – ed in concreto adottabili – dai giudici di merito italiani.

Si trattava, infatti, di esecuzioni che, in linea al precedente orientamento giurisprudenziale, erano state promosse solo nei confronti della metà del bene in comunione legale, quindi solo sulla “quota” astrattamente riferibile al coniuge debitore.

E’ interessante esaminare come i giudici di merito abbiano interpretato ed applicato il nuovo principio dal 2013 ad oggi, nonché tentare di capire quale sia l’orientamento ad oggi dominante. La questione, del resto, non può dirsi del tutto esaurita, essendo tuttora pendenti procedimenti esecutivi iniziati prima del 2013.

III. Le interpretazioni e le soluzioni adottate dai Tribunali

Vi sono essenzialmente due diverse linee interpretative ed applicative del nuovo principio espresso dalla sentenza n. 6575 del 2013.

Da un lato alcuni tribunali hanno optato per la dichiarazione di improcedibilità e di estinzione dei procedimenti esecutivi pendenti e promossi solo sulla metà del bene in comunione legale, sostenendo come in realtà il principio dell’assenza di quote fosse già stato statuito dalla Corte Costituzionale nella già citata sentenza n. 311/1988 e come, pertanto, avrebbe dovuto già essere nota ai creditori procedenti l’impossibilità di aggredire esecutivamente solo la metà del bene in comunione legale; in altre parole, avendo già la Consulta stabilito che la comunione legale fosse una comunione senza quote, i creditori particolari non avrebbero potuto promuovere il pignoramento sulla sola “quota” di spettanza di un coniuge nemmeno prima della pronuncia del 2013, con conseguente dichiarazione di improcedibilità delle procedure aventi ad oggetto non l’intero bene ma solo la sua metà (vedasi Tribunale di Napoli, quinta sezione civile, ordinanza 11.11.2013; Tribunale di Massa Carrara, circolare 20.05.2013, dott. Giampaolo Fabbrizzi; Tribunale di Piacenza, sentenza 12.10.2011).

Al contrario, altri Tribunali hanno optato per la sopravvivenza dei procedimenti già iniziati prima della decisione della Suprema Corte, consentendo al creditore che avesse pignorato solo la metà del bene di promuovere la rinnovazione e/o la estensione del pignoramento anche nei confronti del coniuge non debitore (Tribunale di Enna, ordinanza 4.05.2015; Tribunale di Campobasso, circolare 17.05.2013, dott.ssa Elena Quaranta; Tribunale di Cassino, ordinanza 17.03.2014 Tribunale di Pordenone, circolare 30.09.2014, dott. Francesco Petrucco Toffolo; Tribunale di Crotone, circolare 8.01.2015, dott.ssa Arcangela Stefania Romanelli; Tribunale di Catania, ordinanza 20.02.2018).

Quest’ultima sembra essere stata la soluzione più seguita, chiaramente in favore delle esigenze di economia processuale.

In concreto, altresì, diversi Tribunali hanno individuato i punti fermi che devono connotare la estensione o rinnovazione del pignoramento nei confronti del coniuge non debitore o, ab origine, il pignoramento dell’intero compendio.

In particolare:

– il pignoramento deve essere notificato e trascritto anche nei confronti del coniuge non debitore, il quale assume la qualità di parte processuale pur non essendo personalmente obbligato nei confronti del creditore particolare dell’altro coniuge;

– la documentazione ipocatastale exart. 567 deve essere riferita ad entrambi i coniugi;

– l’avviso di cui all’art. 498 c.p.c. deve essere notificato anche ai creditori particolari del coniuge non obbligato;

– con il decreto di trasferimento dovranno essere cancellate anche le ipoteche eventualmente iscritte contro il coniuge non obbligato;

– il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%;

– per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l’art. 510, ultimo comma, c.p.c.

IV. L’orientamento dominante della Suprema Corte

La Suprema Corte si è assestata sul principio espresso dalla sentenza n. 6575/2013, in quanto dello stesso segno è il tenore delle pronunce successive, non registrandosi nella giurisprudenza di legittimità alcuna pronuncia contraria.

Si cita, sul punto, la sentenza Cass. Civ., Sez. III, 31/03/2016, n. 6230, la quale, pur ribadendo il medesimo principio della sentenza del 2013 già citata, ne indica anche gli aspetti pur sempre incoerenti e problematici: “E deve confermarsi che la soluzione prescelta da Cass. n. 6575/2013 continua ad apparire, finché almeno non riterrà di intervenire il legislatore, la meno incoerente con il sistema, tutelando – mediante la notificazione al coniuge non debitore del pignoramento (ma non potendosi escludere l’efficacia di un qualsiasi atto ad esso equipollente), poiché anche lui, pur non essendovi formalmente assoggettato, risente direttamente degli effetti dell’espropriazione in concreto posta in essere, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato (per debito suo personale o proprio) – almeno il suo diritto a non vedere uscire dalla comunione legale (effetto inevitabile della vendita, a sua volta ineliminabile nell’attuale regime dell’articolo 600 c.p.c. per l’impossibilita’ di vendere una quota che non esiste, così oltretutto inserendovi un estraneo al rapporto di coniugio) un bene, senza percepire quanto meno il controvalore lordo di esso (salve le regole di attribuzione di cui agli articoli 195 c.c. e ss.), in adeguato contemperamento della tutela dei creditori del coniuge debitore e della natura peculiare della sua contitolarità di diritti sui beni aggredibili

Aldilà di questi aspetti problematici, l’assestamento della Suprema Corte sul principio espresso nel 2013 sembra essere, per il momento, consolidato, come si evince anche da una recentissima sentenza del gennaio scorso, Cass. Civ., Sez. II, n. 2047 del 24.01.2019, la quale ha ulteriormente ribadito la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi e che l’espropriazione per crediti personali di uno solo dei coniugi di un bene (o più beni) debba avere ad oggetto detti cespiti nella loro interezza e non per la metà o per una quota.

V. Considerazioni finali

Preso atto della odierna sostanziale uniformità di orientamento da parte della Suprema Corte, nonché dell’indubbio favore dimostrato dai giudici di merito per la sopravvivenza dei procedimenti esecutivi iniziati prima del revirement della Cassazione e promossi solo sulla metà del bene in comunione legale, non si può tacere la necessità di un intervento normativo che regoli specificamente la materia.

La fattispecie, infatti, è indubbiamente caratterizzata da una forte indeterminatezza e le diverse soluzioni adottate, da ultima quella inaugurata dalla nota sentenza n. 6575 del 2013, non sembrano tutelare adeguatamente ed in pieno né le ragioni dei creditori del coniuge debitore né quelle del coniuge non debitore, il quale si trova di fatto ad essere assoggettato, sul malgrado, ad una procedura esecutiva, subendone gli oneri e gli effetti.

La fattispecie, inoltre, è esposta agli eventuali futuri mutamenti della giurisprudenza, che potrebbero ben intervenire ancora sulla delicata questione.

Sarebbe, in definitiva, auspicabile un intervento del legislatore volto a regolamentare in modo puntuale e specifico l’espropriazione del bene in comunione legale per debiti personali di un solo coniuge, fornendo ai creditori strumenti certi per l’aggressione del bene in comunione legale nonché stabilendo delle garanzie e dei meccanismi di tutela della proprietà più stringenti in favore del coniuge non debitore.

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