L’esibizione delle prove nelle azioni di risarcimento del danno antitrust alla luce dei nuovi indirizzi della Commissione europea

Redazione 16/12/19
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di Enrico Spagnolello

La Commissione europea ha posto in consultazione pubblica il testo della “Comunicazione sulla protezione delle informazioni riservate per l’applicazione a livello privatistico del diritto della concorrenza dell’UE da parte dei Giudici nazionali” (“Comunicazione”), documento che si lega al percorso di potenziamento delle azioni risarcitorie in materia antitrust, intrapreso con la Direttiva 2014/104/UE (“Direttiva”) recante la disciplina sul risarcimento del danno derivante dalla violazione degli articoli 101 (intese e pratiche concordate restrittive della concorrenza) e 102 (abuso di posizione dominante) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”).

Ratio della Direttiva, recepita nel nostro ordinamento con il Decreto legislativo del 19 gennaio 2017, n. 3, è quella di garantire un’efficace applicazione, a livello privatistico, delle norme che regolano il diritto della concorrenza, affidando anche ai privati la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla legislazione antitrust e fornendogli specifiche regole processuali e sostanziali da far valere dinanzi al Giudice nazionale.

L’impostazione voluta dal legislatore europeo e nazionale mira a incentivare la tendenza a promuovere dinanzi al Giudice civile le azioni risarcitorie che, nell’ambito del diritto antitrust, si differenziano in follow-on action o stand alone action. Il primo caso si ha quando l’iniziativa dell’attore segue l’accertamento di un illecito da parte di un’Autorità antitrust, che varrà quale “prova privilegiata” con riferimento almeno all’esistenza della violazione della normativa, rimanendo in capo all’attore l’onere di provare i residui elementi costitutivi della propria domanda. Nel caso delle azioni risarcitorie promosse in assenza di accertamento da parte di un’Autorità antitrust, sulle cui conclusioni non è possibile pertanto fare affidamento, l’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ. impone all’attore di provare tutti gli elementi costitutivi della propria domanda e il Giudice adito sarà chiamato a valutare e, se del caso, accertare l’esistenza di una violazione del diritto della concorrenza prima di valutare se l’attore abbia subito un danno, quantificarlo e ordinare il risarcimento.

In entrambe le ipotesi, l’accesso alle prove costituisce un elemento essenziale per poter garantire un’efficace tutela giurisdizionale dei soggetti che si ritengono danneggiati dalla violazione degli articoli 101 e 102 del TFUE e/o 2 e 3 della Legge del 10 ottobre 1990, n. 287 recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”.

Per tale ragione, la normativa europea e nazionale sopra citata riserva ampio spazio a specifiche disposizioni concernenti l’esibizione delle prove. In particolare, queste attengono, sia alla divulgazione delle prove ordinata dal Giudice nei confronti delle parti e dei terzi (cfr. artt. 5 della Direttiva e 5 del Decreto), sia all’accesso agli atti del fascicolo istruttorio dell’Autorità antitrust. Vi è, infatti, l’esigenza di rimediare alla quella condizione di asimmetria informativa che, solitamente, caratterizza la posizione degli attori, garantendo loro il diritto di ottenere la divulgazione delle prove rilevanti per la loro richiesta, senza che sia necessario specificarne i singoli elementi (cfr. considerando 21 della Direttiva).

Spesso, infatti, solo una della parti è in possesso delle prove utili a fornire evidenza del danno subito. In altri casi, ancora, le prove necessarie possono rinvenirsi in documenti acquisiti dall’Autorità antitrust procedente durante l’istruttoria o possono essere nella disponibilità del solo convenuto o di una società da esso controllata.

Il Giudice nazionale, dunque, una volta verificata la plausibilità della domanda, sarà chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di divulgazione delle prove richieste. Per tale attività, il Legislatore europeo ha posto l’attenzione, anzitutto, sulla proporzionalità della divulgazione delle prove, evidenziando che ai fini di tale requisito il Giudice nazionale deve valutare la portata e i costi della disclosure, al fine di scongiurare il rischio che la ricerca generica di informazioni si traduca in una dispendiosa e infruttuosa ricerca della documentazione richiesta. In altri termini, occorre prevenire eventuali tentativi di acquisizione generalizzata di informazioni e di ricerca in base a criteri eccessivamente ampi che probabilmente non rivestono interesse per le parti del giudizio.

Il giudizio sulla proporzionalità della richiesta, tuttavia, non esaurisce l’analisi cui è chiamato il Giudice nazionale a fronte della richiesta di divulgazione delle prove. In tale fase istruttoria, emerge infatti la necessità di operare un doveroso bilanciamento di interessi volto a tutelare i requisiti di riservatezza o di segretezza che potrebbero essere compromessi dall’accesso a determinate informazioni e a determinati documenti, senza tuttavia impedire l’effettivo accesso alla giustizia delle parti.

A tale fine, la Commissione europea ha elaborato una Comunicazione funzionale a guidare i Giudici nazionali nel trattare le richieste di divulgazione di informazioni riservate nell’ambito delle azioni di private enforcement. Al pari degli altri strumenti di soft law, la Comunicazione della Commissione non è vincolante per i Giudici nazionali e deve essere applicata compatibilmente alle norme procedurali vigenti in ciascuno Stato membro.

Nella Comunicazione la Commissione, anche in base alla giurisprudenza e alla prassi in materia di procedimenti amministrativi e giudiziari, elabora talune misure che, compatibilmente con le normative processuali nazionali, possono essere utilizzate dai Giudici nel bilanciamento tra l’interesse a un accesso effettivo agli strumenti risarcitori forniti dall’ordinamento e la tutela delle informazioni riservate e commercialmente sensibili che possono trovarsi all’interno dei documenti oggetto dell’istanza di divulgazione.

Una prima misura individuata dalla Commissione è quella della c.d. cerchia di riservatezza o confidentially club, in base alla quale specifiche categorie di informazioni riservate sono rese disponibili dalla parte tenuta alla disclosure che consente la divulgazione esclusivamente a determinate categorie di individui. Tale misura può essere utilizzata per garantire la divulgazione di dati e/o informazioni commerciali che, pur essedo essenziali per la parte attrice, perderebbero il loro valore probatorio se ostese in forma aggregata o se parzialmente secretate. Limitando la divulgazione al c.d. confidentially club le informazioni riservate, da un lato vengono divulgate, ma, dall’altro, il potenziale pregiudizio alla riservatezza dell’impresa controinteressata è ridotto al minimo.

La misura in questione, inoltre, sembra in grado di assicurare una maggiore efficienza e speditezza della discolsure, in particolare, quando il numero dei documenti richiesti è ingente e le parti sono in grado di concordare un elenco ristretto di documenti considerati rilevanti ai fini della domanda attorea. In tali ipotesi, infatti, le parti tenute alla divulgazione potrebbero evitare di opporre esigenze di riservatezza e/o rappresentare versioni non riservate dei documenti (se non in misura molto limitata) poiché la documentazione richiesta circolerà solamente all’interno di una ristretta cerchia di individui. Così, attuando tale accorgimento, il Tribunale di primo grado, al fine di conciliare, da un lato, l’esigenza a una effettivo ricorso ai rimedi risarcitori e, dall’altro, l’interesse alla riservatezza della documentazione richiesta, ha limitato la consultazione delle informazioni fornite dalla Commissione ai soli avvocati della ricorrente e l’ha subordinata all’assunzione di un impegno di riservatezza da parte loro (cfr. Ordinanza del presidente del Tribunale del 29 luglio 2011, Cementos Portland Valderrivas, SA contro Commissione europea, causa T-296/11).

Secondo quanto rilevato dalla Commissione, una volta ritenuto di ricorrere alla c.d. cerchia di riservatezza, il Giudice nazionale dovrà, in primo luogo, individuare gli elementi di prova specifici o le categorie di informazioni da includere nel confidetially club. Nelle azioni di private enforcement, ad esempio, nella cerchia di riservatezza possono confluire la versione riservata della decisione dell’Autorità antitrust, le informazioni presentate dalla parte tenuta alla divulgazione durante il procedimento antitrust o, ancora, le informazioni da quest’ultima ottenute durante le fasi di accesso agli atti del fascicolo istruttorio.

In secondo luogo, il Giudice nazionale dovrà individuare i soggetti che avranno accesso al confidetially club a seconda del grado di riservatezza che Tribunale vorrà assicurare (e.g. legali esterni e/o interni, rappresentanti delle imprese interessate, consulenti tecnici esterni ), con facoltà di individuare il personale giudiziario che deve essere presente durante l’accesso alle informazioni. Così, in linea generale, nel caso in cui il Giudice nazionale intenda offrire un elevato grado di riservatezza alla documentazione oggetto di divulgazione, l’accesso alle informazioni potrà essere limitato soltanto ai legali esterni dell’impresa parte attrice. Il legale interno o altri rappresentati interni della società attrice, infatti, potrebbero essere coinvolti direttamente o indirettamente nelle decisioni strategiche dell’impresa e sarebbe vivo il rischio che le informazioni acquisite vengano utilizzate dalla parte attrice nelle decisioni aziendali. Si pensi al caso in cui le parti del giudizio si trovano in un rapporto di concorrenza, attuale o potenziale, e l’accesso a informazioni commercialmente sensibili possono fornire un indebito vantaggio competitivo.

Una volta individuate le informazioni da divulgare e i soggetti legittimati a prendere visione dei documenti, il Giudice, su richiesta motivata della parte tenuta alla disclosure, potrà imporre talune restrizioni in relazione all’accesso di determinati membri della cerchia a specifici documenti e/o informazioni.

Il Giudice nazionale, ancora, può chiedere ai componenti della cerchia di riservatezza di presentare impegni scritti in merito al trattamento riservato di qualsiasi informazione divulgata nell’ambito della cerchia di riservatezza. Gli impegni possono riguardare, inter alia, il dovere di non divulgare l’informazione riservata a persone diverse da quelle aventi diritto di accedere al confidetially club, l’obbligo di utilizzare le informazioni riservate esclusivamente ai fini del giudizio, nonché l’obbligo di restituire o distruggere eventuali copie di documenti contenenti informazioni riservate. Nel caso in cui alla cerchia di riservatezza partecipino anche soggetti interni all’impresa attrice, il Giudice nazionale può imporre loro impegni anche molto onerosi, quali, tra gli altri, l’obbligo di non operare più nell’area di attività interessata dalla domanda di risarcimento del danno antitrust.

Una seconda misura prospettata dalla Commissione è quella della espunzione, ossia la possibilità di disporre la divulgazione della documentazione richiesta eliminando le informazioni che potrebbero ledere la sfera di riservatezza della controparte o sostituendole con dati anonimo o cifre aggregate. Tale misura, già adottata nel nostro ordinamento, non solo nell’ambito delle diverse giurisdizioni, ma anche dinanzi le Autorità indipendenti, può essere una efficace misure per contemperare i contrapposti interessi in gioco quando, nonostante l’omissione dei dati riservati, i documenti e le informazioni divulgate restano comunque significativi e adeguati per l’esercizio dei diritti della parte che richiede la divulgazione.

L’omissione o espunzione di talune informazioni può essere accordata dal Giudice anche quando il titolare delle informazioni tenuto alla divulgazione sia in possesso di informazioni di terzi la cui riservatezza potrebbe essere compromessa mediante un’ostensione totale dei dati a essi riferibili. Come rilevato dalla Commissione nel parere del 29 ottobre 2015, C(2015) 7682, Sainsbury’s Supermarkets Ltd v MasterCard Incorporated and Others, il fatto che il titolare delle informazioni accordi l’accesso a taluni documenti non significa che anche soggetti terzi, portatori di ulteriori e distinte esigenze di riservatezza, lo accorderebbero. In tali ipotesi, potrebbe rivelarsi necessario che la parte tenuta alla disclosure ottenga il previo consenso dei terzi interessati a divulgare le informazioni riservate o, comunque, sottoponga alla loro approvazione le proposte di espunzione.

Ai fini dell’espunzione, i Giudici nazionali possono fornire alle parti indicazioni generali e/o specifiche funzionali alla procedura di omissione. Una volta presentate le versioni non riservate, spetta al Giudice nazionale decidere se le espunzioni proposte siano o meno accettabili, per l’economica e l’efficacia del giudizio. In caso di divergenze tra quanto proposto dal soggetto tenuto alla divulgazione e le esigenze difensive vantate dalla parte attrice, il Giudice nazionale dovrebbe sentire le parti e gli eventuali terzi interessati per poi prendere una decisione nel merito della disclosure.

Se consentito dalle norme procedurali nazionali, il Giudice può anche decidere di nominare un esperto competente autorizzato ad accedere alle informazioni riservate oggetto di una richiesta di divulgazione. Come suggerito dalla Commissione, tale soluzione può rivelarsi efficace quando le informazioni da divulgare sono caratterizzate da un’elevata sensibilità dal punto di vista commerciale e tecnico (e.g. le informazioni contenute nei libri contabili o i dai sui processi di produzione). In questi casi, infatti, l’esperto nominato dal Giudice nazionale può sintetizzare e/o aggregare le informazioni riservate al fine di renderle accessibili alla parte che richiede la divulgazione.

La nomina di una esperto può risultare opportuna anche quando i dati oggetto di disclosure potrebbero interessare soggetti terzi. In tal caso, anziché avviare una fase di contraddittorio tra i soggetti interessi volta a omissare le informazioni riservate, che comporterebbe inevitabili lungaggini del giudizio, il Giudice può ritenere più efficace nominare esperto che acceda alle informazioni e fornisca un parere in merito alla natura riservata delle stesse.

Come nel caso dei componenti di una cerchia di riservatezza, anche all’esperto nominato il Giudice nazionale può chiedergli di presentare impegni scritti concernenti il trattamento riservate delle informazioni a cui avrà accesso.

Fine ultimo della Comunicazione, dunque, è quello fornire adeguati strumenti processuali funzionali a guidare il Giudice nazionale nel necessario bilanciamento tra gli interessi in gioco, evitando un aprioristico sacrificio delle contrapposte esigenze delle parti del giudizio. La volontà della Commissione di implementare la disciplina del private enforcement, del resto, appare coerente proprio con lo spirito della Direttiva in cui, da un lato, viene più volte sottolineata l’opportunità di prestare una particolare attenzione per prevenire tentativi di acquisizione generalizzata di informazioni che probabilmente non rivestono interesse per le parti del giudizio (cfr. Direttiva, cons. nn. 22 e 23); ma dall’altro, si afferma la necessità di garantire in modo pieno il diritto di accesso alla prova da parte di chi agisce per il risarcimento del danno antitrust (cfr. Direttiva, cons. n. 14).

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