L’errore su legge extrapenale. Rilevanza in tema di norme penali in bianco, con particolare riguardo all’errore su norme sub primarie richiamate dalla norma primaria

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Premessa

La tematica dell’errore assume preminente rilievo nell’ambito di un diritto penale governato dal principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. Quest’ultimo da intendersi in un’accezione ampia  la quale comprende, oltre al divieto di essere puniti per un fatto altrui, altresì, la necessità che il soggetto possa essere chiamato a rispondere unicamente di quei fatti che gli sono ascrivibili quanto meno a titolo di colpa, come da costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale[1]. Pertanto, posto che la volontà consapevole dell’agente presuppone la conoscenza in ordine a tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, occorre valutare a quale condizioni l’errore nel quale egli è incorso può far venir meno l’elemento soggettivo del reato e, dunque, escludere la punibilità.

La distinzione fra errore sul fatto ed errore di diritto

L’ipotesi più semplice è quella dell’error facti, vale a dire, una condizione di divergenza fra il fatto che l’autore si è rappresentato ed ha voluto e quello invece descritto dalla norma incriminatrice. Esso rinviene la propria disciplina nell’art. 47 co. I c.p. il quale afferma che “l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. La scelta di una simile impostazione da parte del legislatore è ben comprensibile laddove si consideri l’errore di fatto nei termini opposto concettuale alla categoria del dolo[2] che, ai sensi dell’art. 43 c.p., costituisce la forma ordinaria di responsabilità penale. Detta divergenza rappresentativa può essere determinata da ignoranza, ovvero da falsa rappresentazione della situazione fattuale nella quale il soggetto si trova ad operare. Emerge, dunque, che si tratta di un errore il quale incide sul processo formativo della volontà e, per tale ragione, esso viene definito anche con l’espressione di errore-motivo (da tenersi distinto dalla categoria dell’errore-inabilità che ricorre, invece, nella fase esecutiva-attuativa del proposito criminoso, aprendo al coacervo dei reati aberranti). All’errore la dottrina e la giurisprudenza usano, ormai unanimamente, equiparare l’ignoranza ogni qual volta essa si traduca in un difetto di conoscenza determinante conseguenze analoghe a quelle frutto di erronea persuasione. Viceversa, il predetto analogismo non opera circa lo stato di dubbio, poiché quest’ultimo, per sua stessa definizione, implica uno stato di incertezza e, quindi, il permanere di un conflitto rappresentativo entro la sfera volitiva dell’agente. Come già accennato, affinché operi il meccanismo di esclusione della punibilità descritto dall’art. 47 c.p., l’errore (così come l’ignoranza laddove vi sia equiparabile) deve investire gli elementi essenziali della fattispecie incriminatrice: tutte quelle componenti tipizzate dal legislatore nella fattispecie astratta la cui mancata conoscenza impedisce la sussunzione di quanto rappresentato e voluto dal soggetto nel modello legale. Inoltre, può sempre residuare uno spazio operativo per una responsabilità colposa, ogni qual volta si tratti di reato punito anche a titolo di colpa e l’errata conoscenza sia rimproverabile, cioè causata da negligenza, imprudenza od imperizia, ovvero dall’inosservanza di norme precauzionali. Del tutto irrilevante ai fini dell’esclusione della punibilità sarà, pertanto, l’errore che cade su elemento secondari: error in persona (in ipotesi di scambio fra soggetti), l’error in obiecto (ove l’erronea percezione concerne l’oggetto del reato), l’errore sul nesso causale, nella misura in cui non faccia venir meno il collegamento fra l’evento realizzato ed il potenziale evento attivato dalla condotta dell’autore.

Maggiormente complessa è la vicenda dell’error iuris che ricorre laddove sussista una erronea conoscenza di una norma giuridica, penale od extrapenale. In particolare, esso presuppone che l’autore del fatto lo abbia voluto e preveduto ma, per errore od ignoranza sul precetto, non fosse consapevole della sua illiceità. Questa forma di divergenza è priva di rilievo ai sensi dell’art. 5 c.p., quale espressione del generale principio per il quale “ignorantia legis non excusat”. Tuttavia, la norma citata è stata investita da una pronuncia della Consulta[3] che ne ha sancito la illegittimità costituzionale, nella parte in cui non prevedeva la scusabilità dell’ignoranza inevitabile. Nell’ambito di tale sentenza, il Giudice delle Leggi, ha sposato un’impostazione contrattualistica del rapporto Stato-cittadini, desunto da una lettura ampia del II comma dell’art. 25 cost. secondo la quale lo Stato ha il dovere di informare previamente i consociati di quanto potrà renderli punibili e, d’altro canto, questi sono onerati di conoscere ed informarsi su quanto potrà scaturire dalle loro condotte. Sulla scorta di tale insegnamento, la più attenta dottrina ha elaborato una serie di criteri, sui quali parametrare il giudizio di inevitabilità. In relazione ai parametri oggettivi, ancorati al principio di legalità ex art. 25 cost (nelle sue declinazioni di precisione, tassatività e determinatezza), si fa riferimento all’oscurità del testo legislativo, alla presenza di dubbi interpretativi attinenti la norma e non agevolmente risolvibili, nonché, ad una frammentarietà di vedute inerenti la fattispecie da parte della giurisprudenza. Accanto ad essi, sono stati, altresì, individuati profili soggettivi come, ad esempio, una esplicita carenza di socializzazione dell’agente dovuta al mancato rispetto, in capo all’apparato statale, di quel dovere di uguaglianza sostanziale proclamato dal II comma dell’art. 3 cost. In ogni caso, il carattere della evitabilità o meno dell’ignorantia legis dovrà essere valutato alla luce della diligenza esigibile dall’uomo comune; quest’ultimo oggi da intendersi non con il vecchio paradigma dell’agente modello quanto, piuttosto, secondo quello della pluralità di agenti, differenziati a seconda dello specifico settore di volta in volta rilevante.

L’errore su legge extrapenale

L’ultimo capoverso dell’art. 47 c.p. recita che “l’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato”. In primo luogo, occorre precisare che il legislatore, con l’espressione “legge diversa dalla legge penale” ha inteso riferirsi a norme extragiuridiche di natura etico-sociale (nei limiti in cui assumono preminenza ai fini della concreta valutazione della fattispecie incriminatrice); norme giuridiche non penali, espressamente richiamate dalla disposizione penale. Dal tenore letterale è facilmente percepibile che questa tipologia di errore esclude la punibilità ogni qual volta si converta in errore sul fatto, talchè torna a trovare applicazione il I comma dello stesso art. 47 c.p. Al di fuori di tale circostanza, l’errore su legge extrapenale assume i caratteri della irrilevanza, al pari dell’errore di diritto. Pertanto, emerge il problema del coordinamento fra il III comma dell’art. 47 c.p. ed il principio tracciato dall’art. 5 c.p., nei termini sopra esposti. Sul punto, si registrano tesi divergenti in dottrina e giurisprudenza. Da un lato, infatti, si schiera l’opinione giurisprudenziale[4] secondo la quale la distinzione deve essere fata tra norme extrapenali integranti la norma penale incriminatrice  e norme extrapenali che non la integrano. Le prime, costituendo il presupposto della disposizione penale, finiscono per essere inglobate dalla medesima in modo che l’errore che le concerne diviene un vero e proprio errore sul precetto, alla stregua di quanto previsto dall’art. 5 c.p. Le seconde, viceversa, rimanendo distinte dalla fattispecie penale, sono suscettibili di acquisire efficacia scusante nella logica del I comma dell’art. 47 c.p. al pari di un qualsiasi errore sul fatto. Dall’altro lato, la teoria proposta dalla dottrina muove dall’idea che le norme extrapenali integranti il precetto penale finiscano sempre per essere assorbite da quest’ultime di modo che un errore sulle prime si traduce in errore sul precetto con il limite all’operatività dell’art. 5 c.p. sulla scorta di una lettura innovativa del III comma dell’art. 47 c.p. che lo designa nei termini di espressa deroga al principio dell’inescusabilità. Peraltro, autorevoli autori pongono a fondamento di una simile ricostruzione dogmatica la circostanza che le ipotesi di errore su legge extrapenale siano, di fatti, del tutto marginali, nonché citano argomenti politico-criminali legati al minor disvalore sociale di quanto commesso dall’agente a causa di una simile errata conoscenza.

Entrambe le teorie sopra riportate non convincono pienamente in quanto la tesi giurisprudenziale risulta essere troppo vaga, giacché non fornisce sufficienti canoni ermeneutici alla cui stregua valutare quando si possa ritenere la disposizione extrapenale incriminatrice quella penale. Parimenti  superficiale pare essere la lettura offerta dalla dottrina, nella misura in cui omette di dare rilievo a quelle eventualità nelle quali la fattispecie extrapenale integra quella incriminatrice.

Forse sarebbe più opportuno trovare una soluzione condivisibile e nitida volgendo lo sguardo al previgente codice Zanardelli che, dall’applicazione dei principi generali dominanti il diritto penale in tema di responsabilità dolosa, giungeva ad ammettere la piena scusabilità dell’errore in parola, pur in assenza dell’ultimo capoverso dell’art. 47 c.p. e della inescusabilità assoluta dell’errore su legge penale[5]. A ben vedere, infatti, un simile tipo sarebbe tutt’oggi perseguibile sol considerando la più semplice ed accademica definizione di dolo. Se esso è volontà e rappresentazione di tutti gli elementi del fatto utili a ricondurlo nella fattispecie astratta, logico corollario è l’assunto in virtù del quale colui che incorre in errore sul fatto determinato da inesatta interpretazione di norma extrapenale, si trova nella identica situazione di quel soggetto che agisce mosso da un’erronea percezione della realtà materiale.

Errore su norma extrapenale integratrice di una norma penale in bianco

Questa tipologia di errore costituisce una delle più complesse, in relazione alla quale le soluzioni ipotizzate sono fra loro eterogenee.

La dottrina maggioritaria[6] prende le mosse dalla definizione di norma penale in bianco quale disposizione che si limita a fornire una risposta sanzionatoria laddove si registri la violazione di un precetto la cui determinazione sia affidata ad una qualche norma extrapenale. Da tale premessa, detta impostazione giunge a ritenere che la vera norma incriminatrice sia unicamente quella richiamata, talchè un errore su di essa debba essere inquadrato nell’ottica di error iuris ex art. 5 c.p.

Parte minoritaria[7], invece, ritenendo che, in realtà, la norma in bianco già consenga in sé un precetto generico ma, al tempo stesso, sufficientemente determinato, perviene alla conclusione opposta rispetto a quella di cui sopra, qualificando l’errore sulla norma extrapenale nei termini di error facti come tale causa di esclusione del dolo ai sensi dell’art. 47 comma I c.p.

Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità sembra maggiormente propensa ad avallare la teoria dominante, riconducendo l’errore su norma extrapenale integratrice di una norma penale in bianco nell’alveo dell’errore su precetto di cui all’art. 5 c.p., come tale inescusabile, salvo si tratti di ignorantia legis inevitabile.

Conclusioni

Da quanto sopra esposto, emerge un quadro concettuale di non agevole e pronta lettura. In particolare, mentre più nitido appare lo scenario dell’errore sul fatto, assai nebuloso è il campo dell’errore sul precetto, specialmente allor quando la disposizione penale faccia richiamo, in vista della concretizzazione del suo precetto, ad altre norme, afferenti a rami diversi dell’ordinamento giuridico od, addirittura inerenti a valori moralistici.

Se così stanno le cose, in assenza di un’univoca soluzione prospettata dalla dottrina, non resta che augurarsi un intervento della giurisprudenza di legittimità che chiarisca quali siano i criteri da seguire affinché possa valutarsi la tipologia di errore e, da qui, prestarvi le dovute conseguenze che, come abbiamo visto, sono di non poco rilievo, in quanto si riverberano sul piano di quel principio di colpevolezza che funge da baluardo del nostro Stato di diritto.

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Note

[1]Corte Cost. sent. n. 107/1957

[2]G. Fiandaca, E. Musco “Diritto penale-parte generale” VII edizione

[3]Corte Cost. sent. n. 364/1988

[4]Detta tesi è stata inaugurata a partire da una pronuncia della Cass. del 14 febbraio 1975

[5]G. Fiandaca E. Musco “Diritto penale- parte generale” VII edizione.

[6]Fra i sostenitori di detta tesi Grosso, Palazzo, Gallo.

[7]     In particolare Flora e Bettiol.

Francesca Nerli

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