Le riprese di fatti percepibili anche ad occhio nudo non costituiscono intromissione nella sfera privata altrui

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La Corte di cassazione, con la sentenza 45662/2012, ribadisce che riprendere scene di vita quotidiana tramite un impianto di videosorveglianza non è un presupposto sufficiente per il configurarsi del reato di indebite intromissione nella vita privata (ex art. 615-bis CP).

La sentenza trae origine da una telecamera installata su una struttura aziendale che riprendeva il traffico di automezzi presso la proprietà del vicino imprenditore, senza che fossero stati installati strumenti per captare elementi non percepibili ad occhio nudo, quali ad esempio un teleobiettivo od un visore notturno.

La suprema Corte ha affermato che non si realizza il reato penale invocato dalla controparte, in quanto le scene riprese erano pacificamente visibili anche a occhio nudo da parte di chiunque si fosse collocato sulla tettoia, di pertinenza del soggetto che riprendeva.

In tema di immagini abbiamo già avuto modo di ricordare in un articolo pubblicato su www.professioneprivacy.it che le immagini sono dati personali, o meglio possono essere dati personali, nel caso in cui contengano degli elementi che siano riconducibili ad una persona fisica identificata o identificabile; tale principio è stato ribadito anche dal Tribunale di Trieste il 1° aprile 2011 e dal Tribunale di Monza con la sentenza 3255 del 7 dicembre 2011.

Aggiungevamo inoltre che le fotografie possono essere anche dati personali sensibili, infatti dal ritratto di una persona che indossa un determinato copricapo religioso è deducibile la sua fede, oppure dalla ripresa di un ragazzo che indossa una maglietta riportante un simbolo è facilmente deducibile il suo orientamento politico. Il Tribunale di Milano, con la tanto discussa sentenza di condanna di Google n° 1972/2010, ricorda che anche la raffigurazione di un ragazzo diversamente abile configura le riprese come dato sensibile. Recentissimamente questa sentenza è stata in parte disconosciuta dalla Corte di Appello che ha assolto i vertici di Google; tuttavia tale decisione non dovrebbe aver scalfito il concetto sopra esposto, ma aspettiamo di leggere le motivazioni.

Ricordavamo inoltre che il Garante ha avuto modo di ribadire i concetti sopra esposti in numerosi provvedimenti, sancendo tra l’altro che le immagini possono contenere dati personali, anche sensibili, che i dati possono inoltre essere relativi al chiamante, al chiamato o a terzi nel caso delle videochiamate (tanto pubblicizzate quanto poco utilizzate vista la loro invasività) ed infine che le riprese possono essere loro stesse dei dati personali.

Ritornando alla sentenza novembrina della Cassazione, giova ricordare che il principio in essa contenuto era già stato espresso dagli Ermellini nella sentenza 47165/2010, dove si affermava che è lecito effettuare delle riprese se i fatti sono visibili anche ad occhio nudo, mentre è illecito quando si adottano sistemi per superare quei normali ostacoli che impediscono di intromettersi nella vita privata altrui, nel caso di specie. IL pronunciamento del 2010 stabiliva che “è necessario bilanciare l’esigenza di riservatezza (che trova presidio nella normativa costituzionale quale espressione della personalità dell’individuo nonché la protezione del domicilio, pur esso assistito da tutela di rango costituzionale, che dispiega severa protezione dell’immagine), e la naturale compressione del diritto imposta dalla concreta situazione di fatto o, ancora, la tacita, ma inequivoca rinuncia al diritto stesso, come accade nel caso di persona che, pur fruendo di un sito privato, si esponga in posizione visibile da una pluralità indeterminata di soggetti“.

Sul tema in oggetto, il Garante aveva avuto modo di affermare, nella Relazione 2009, che normalmente quando le immagini ritraggono persone in luoghi pubblici, aperti al pubblico o comunque visibili da terzi, la loro diffusione è lecita. Tuttavia anche questa può incontrare dei limiti qualora leda i diritti della persona”.

L’Autorità precedentemente, intervenendo sulla diffusione di immagini che ritraevano un famoso attore statunitense, aveva statuito che non rientravano nella sua sfera di competenza le fotografie rientranti soggetti che si trovavano in luoghi pubblici (es. in una pubblica via, in visita a un santuario nei pressi del Lago di Como ecc.) o aperti al pubblico (es. al ristorante).

Infatti, il Garante ricordava che a suo tempo la Corte di cassazione aveva affermato che “la ripresa fotografica da parte di terzi lede la riservatezza della vita privata ed integra il reato di cui all’art. 615-bis, cod. pen., sempre che vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall’esterno, essendo la tutela del domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei. Ne consegue che se l’azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza” (40577/2008). La decisione del 2009 continuava, ricordando che “il caso su cui si è pronunciata la Suprema Corte riguardava una ripresa fotografica dalla strada pubblica di due persone che uscivano di casa e si trovavano in un cortile visibile dall’esterno. Analoghi principi sono stati affermati dalla stessa Corte in relazione a un caso in cui con una videocamera posizionata su un balcone veniva ripresa l’area di accesso di un’abitazione limitrofa (Cass. Pen. Sez. V, sent. 21 ottobre 2008, n.44156). Muovendo dai principi espressi dalla giurisprudenza non può, ad avviso di questa Autorità, ritenersi “normalmente” osservabile un luogo se, per vedere ciò che in esso avviene, è necessario superare, fisicamente o con strumenti tecnologici, una barriera visiva. La delimitazione di un luogo di privata dimora attraverso muri e/o siepi ha infatti,  in linea di principio, lo scopo di escludere o comunque di limitare la visibilità dall’esterno di ciò che in esso avviene e può ragionevolmente fondare un’aspettativa di intimità e riservatezza in chi si trovi in tale luogo”. 

Sempre il Garante, in due provvedimenti del 2007 [doc. web n. 1400655 e 1409488], ricordava che invece il teleobiettivo si considera quale uso non corretto di una tecnica invasiva con conseguente violazione della privacy e potenziale intromissione nella sfera privata altrui.

Recchia Antonio

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