Le pubbliche amministrazioni ed il ripiano delle perdite nelle società e negli altri organismi partecipati

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Il decreto legislativo n. 175/2016, recante “Testo Unico in materia di società partecipate dalla pubblica amministrazione”, che costituisce oggi la disciplina in materia di società a partecipazione pubblica, prevede che le amministrazioni pubbliche possono provvedere al ripiano delle perdite delle società partecipate entro i limiti definiti dal testo unico e dalla normativa comunitaria sugli aiuti di stato. Nel corso del 2017, tuttavia, il decreto legislativo n. 100/2017 ha apportato alcune rilevanti modifiche alle norme del d. lgs. 175/2016 che regolano gli interventi a sostegno delle società partecipate con i bilanci in rosso, stabilendo condizioni più rigorose e la verifica della compatibilità con le disposizioni dell’Unione europea sui finanziamenti alle imprese, le quali ultime limitano la possibilità di intervento alle società di servizi pubblici.

L’articolo 14 del predetto testo unico – oltre a ritenere le società partecipate soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – al comma 5 stabilisce il divieto per le amministrazioni pubbliche di effettuare aumenti di capitale (salvo che non sia dovuto alla ricostituzione del capitale per abbassamento oltre il limite legale), trasferimenti straordinari, aperture di credito ovvero rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali.

Tale previsione è poi specificata dall’articolo 21 del medesimo testo unico, secondo cui “nel caso in cui società partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali comprese nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 [elenco Istat], presentino un risultato di esercizio negativo, le pubbliche amministrazioni locali partecipanti, che adottano la contabilità finanziaria, accantonano nell’anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione.” La norma prevede inoltre che l’importo accantonato ritorni in disponibilità al bilancio della pubblica amministrazione, sempre in misura proporzionale alla quota di partecipazione, nei seguenti casi:

  • l’ente partecipante ripiani la perdita o dismetta la partecipazione;
  • il soggetto partecipato sia posto in liquidazione;
  • i soggetti partecipati, con mezzi propri, ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite negli esercizi precedenti.

Va comunque tenuto presente che l’accantonamento per perdite è una regola prudenziale di bilancio, per cui gli enti che hanno accantonato risorse non possono comunque ripianare liberamente le perdite delle partecipate e debbono invece attenersi alle prescrizioni indicate nel medesimo comma 5 del citato articolo 14 del testo unico, per cui un eventuale intervento in tal senso può avvenire soltanto  all’interno di un piano di risanamento che garantisca l’equilibrio futuro dei conti della partecipata.

Il decreto legislativo n. 100/2017, conformandosi alle indicazioni rese dal Consiglio di Stato nel proprio parere, ha peraltro aggiunto un comma 3-bis  al citato articolo 21 del d. lgs. n. 175/2016, in forza del quale le pubbliche amministrazioni locali partecipanti possono procedere al ripiano delle perdite subìte dalla società partecipate con le somme accantonate, nei limiti della loro quota di partecipazione e nel rispetto dei principi e della legislazione dell’Unione europea in tema di aiuti di Stato. Questo vuol dire che, da un lato, l’ente locale socio – al di là dell’entità degli importi affidati ad una partecipata per l’espletamento di determinati servizi – può intervenire nel ripiano delle perdite solo nei limiti della propria partecipazione al capitale sociale e non può fornire ulteriori risorse; dall’altro, che un’amministrazione pubblica locale può procedere al ripiano solo se l’intervento finanziario risulta compatibile con quanto previsto dall’ordinamento comunitario in materia di aiuti di stato: tale compatibilità è definita dalla decisione della Commissione Ue del 20 dicembre 2011, che codifica i principi fissati dalla nota sentenza sul caso Altmark per escludere che un intervento pubblico sia un aiuto improprio, confliggente con l’articolo 107 del Trattato Ue.

Conseguentemente, le amministrazioni locali potranno intervenire per il ripiano delle perdite solo nei confronti di società incaricate dell’assolvimento del servizio di interesse economico generale (ad es., le imprese di trasporto), per compensare gli obblighi di servizio ad essi imposti e solo a condizione che vengano rispettati i quattro princìpi della sentenza Altmark (a. l’impresa beneficiaria deve essere stata effettivamente incaricata dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi devono essere definiti in modo chiaro; b. i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente; c. la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi derivanti dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole; d. la scelta dell’impresa da incaricare dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico deve essere effettuata nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica che consenta di selezionare il candidato in grado di fornire tali servizi al costo minore per la collettività. Se la scelta dell’impresa, in un caso specifico, avviene al di fuori di una tale procedura, la compensazione deve essere determinata sulla base di un’analisi dei costi che dovrebbe sopportare un’impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata dei mezzi per svolgere il servizio).

Pertanto, l’amministrazione pubblica locale può effettuare il ripiano delle perdite di una società partecipata con le risorse accantonate nel fondo vincolato, nei limiti della propria partecipazione al capitale sociale e solo dopo che sarà stata valutata la compatibilità con la normativa sugli aiuti di Stato, per cui le somme riversate nel bilancio non potranno risultare eccedenti rispetto al sistema delle compensazioni.

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Poiché la disciplina del testo unico si riferisce esclusivamente alle società partecipate, occorre ricostruire la normativa che regola il ripiano delle perdite da parte delle pubbliche amministrazioni per gli altri organismi da esse partecipati. In proposito, va rammentato che il citato articolo 14, comma 5 richiama sostanzialmente le previsioni dell’abrogato articolo 6, comma 19, del D. L. 31/05/2010 n. 78 convertito con modificazioni nella L. 30.07.2010,  n. 122, il quale prevedeva che: “al fine del perseguimento  di  una  maggiore  efficienza  delle società pubbliche, tenuto conto dei principi nazionali e  comunitari in termini di economicità e di concorrenza,  le  amministrazioni  di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre  2009,  n. 196, non possono, salvo quanto  previsto dall’art. 2447 codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di  credito,  né rilasciare  garanzie  a  favore   delle  società partecipate non quotate che  abbiano  registrato,  per  tre  esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti alle società di cui al primo periodo a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti (…)”. Da questa norma abrogata, il cui contenuto è ora trasfuso nel predetto articolo 14 del testo unico sulle società partecipate, la Corte dei Conti (deliberazione n. 15/SEZ/AUT/2014/FRG) ha tratto il divieto di soccorso finanziario per l’abbandono della logica del salvataggio obbligatorio degli organismi in condizioni di irrimediabile dissesto e ciò anche nell’ottica delle regole europee che vietano ai soggetti che operano sul mercato di fruire di diritti speciali o esclusivi.

La giurisprudenza di controllo ha quindi ritenuto che la disposizione si proponesse di porre un freno, in particolare agli enti locali, alle ricapitalizzazioni e ad altri trasferimenti straordinari per coprire le perdite strutturali al fine di non impattare negativamente sui bilanci pubblici, compromettendone la sana gestione finanziaria e di rispettare le disposizioni dei trattati comunitari, le quali vietano che soggetti operanti nel mercato comune beneficino di diritti speciali o esclusivi, o comunque di privilegi in grado di alterare la concorrenza “nel mercato”, in un’ottica macroeconomica (Sezione regionale di Controllo per la Toscana, deliberazione n. 126/2013/PAR del 30.04.2013). Si è quindi ritenuto che la legislazione più recente appaia caratterizzata dall’introduzione di limiti e vincoli alla costituzione di nuovi organismi partecipati nonché orientata verso il contenimento delle spese degli enti verso i propri organismi partecipati.

D’altra parte, l’art. 9, comma 6, del D. L. del 6.07.2012 n. 95, convertito nella L. 7.08.2012 n. 135, il quale dispone espressamente che “è fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 della Costituzione”, è una disposizione che va necessariamente coordinata con il comma 1 del citato articolo 6, poiché l’obiettivo del legislatore è esclusivamente la riduzione dei costi relativi agli enti strumentali degli enti locali nella misura almeno del 20 per cento, anche mediante la soppressione o l’accorpamento dei medesimi (Corte dei Conti, Sez. reg.le di controllo Puglia, deliberazione n. 142/PAR/2013 del 18/09/2013), con la conseguenza che la drastica previsione dell’art. 9, comma 6, del predetto D. L. n. 95/2012 deve essere interpretata nel senso che il divieto di istituire nuovi enti strumentali opera solo nei limiti della necessaria riduzione del 20 per cento dei costi relativi al loro funzionamento, per cui se le spese per “enti, agenzie e organismi comunque denominati” di cui ai commi 1 e 6 del citato art. 9, restano al di sotto dell’80 per cento dei precedenti oneri finanziari, non opera il divieto di cui al comma 6.

Infine, l’art. 1, commi 550, 554 e 555 della L. 27.12.2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), nonostante le modifiche apportate dal d. lgs. 175/2016, che ha estrapolato le società partecipate dai soggetti ivi indicati, ha mantenuto – tra i soggetti cui si applicano le disposizioni in materia di organismi partecipati – sia le aziende speciali sia le istituzioni partecipate dalle pubbliche  amministrazioni locali indicate nell’elenco di cui all’art. 1, c. 3, della L. n. 196/2009, rispetto alle quali il comma 553 precisa che esse “concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità e di efficienza”.

Per i predetti soggetti è infatti previsto al comma 554 che “a decorrere dall’esercizio 2015, le aziende speciali e le istituzioni a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all’80 per cento del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo, procedono alla riduzione del 30 per cento del compenso dei componenti degli organi di amministrazione. Il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi rappresenta giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. Quanto previsto dal presente comma non si applica ai soggetti il cui risultato economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall’ente controllante”, mentre il successivo comma 555 stabilisce che “a decorrere dall’esercizio 2017, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti, i soggetti di cui al comma 554 sono posti in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo all’ultimo esercizio. In caso di mancato avvio della procedura di liquidazione entro il predetto termine, i successivi atti di gestione sono nulli e la loro adozione comporta responsabilità erariale dei soci”.

 

Resta ora da verificare se e come le pubbliche amministrazioni possano procedere al ripiano delle perdite per le fondazioni, enti aventi personalità giuridica di diritto privato, che non perseguono scopi di lucro, ma che possono essere costituiti per il perseguimento di fini educativi, culturali, religiosi, sociali o di altri scopi di pubblica utilità.

L’art. 4, comma 6 del D.L. n. 95/2012, convertito dalla L. n. 135/2012 ha previsto che “gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche”. Tuttavia, dopo tale ampia previsione del comma 1, il seguente comma espressamente esclude “le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell’istruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali”. Va in proposito osservato che la dizione “enti e associazioni” è sufficientemente ampia da ricomprendere anche gli enti morali costituiti nella forma della fondazione, che, in quanto operanti nel campo delle attività culturali e in quello dei servizi socio-assistenziali, sono state esentate dal divieto di ricevere contribuzioni pubbliche stabilito dalla prima parte della norma.

Con riferimento ai rapporti patrimoniali tra le pubbliche amministrazioni locali e le fondazioni che svolgono la loro attività sul territorio di riferimento degli enti locali e, in particolare, alla possibilità di erogare contributi, la magistratura contabile ha reso numerosi pareri, ritenendo ammissibile, a determinate condizioni, l’erogazione finalizzata alla conservazione o all’incremento del patrimonio destinato allo svolgimento dell’attività istituzionale dell’ente morale (ex plurimis, v. Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, 28 gennaio 2009, n. 10; sez. contr. Piemonte, 30 luglio 2013, n. 290). Al di là di questa generale possibilità di erogazione, la perdita da ripianare è invece un concetto che “sembra estraneo alla nozione di fondazione e che (…) l’ente locale non può accollarsi l’onere di ripianare di anno in anno, mediante la previsione di un generico contributo annuale, o anche occasionalmente, le perdite della fondazione, perché alle stesse deve essere in grado di far fronte la fondazione con il suo patrimonio: se quest’ultima non vi riesce, si estingue oppure può essere trasformata” (Sez. reg.le di controllo Piemonte della Corte dei conti, deliberazioni n. 100/2011 e n. 24/2012).

In particolare, occorre osservare le caratteristiche essenziali che connotano le fondazioni, le quali sono enti morali dotati di personalità giuridica, che hanno quale elemento costitutivo essenziale l’esistenza di un patrimonio” destinato alla soddisfazione di uno “scopo di carattere ideale (artt. 14 e segg.), differenziandosi in questo dalle associazioni, che hanno invece, quale elemento costitutivo essenziale, la personalità della partecipazione di una pluralità di soggetti, finalizzata al raggiungimento di uno scopo.

Il fatto che requisito essenziale della fondazione sia l’esistenza di un patrimonio che deve consentire all’ente di svolgere la sua attività ordinaria, determina che, ove questo non sia sufficiente per raggiungere lo scopo o addirittura venga meno, sia previsto dal codice civile che la fondazione si estingua (art. 27 cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasferito ad organi che abbiano una finalità analoga (art. 31 cod. civ.), a meno che la competente autorità provveda alla trasformazione della fondazione in altro ente (art. 28 cod. civ.).

Il concetto di perdita gestionale da ripianare è tuttavia estraneo alla nozione di fondazione poiché si tratta di un ente incentrato sul patrimonio e non sull’apporto di capitali da parte dei soggetti partecipanti, come avviene nella società o, entro certi limiti, nell’associazione. La nozione di fondazione così come regolamentata dal codice civile è quindi incompatibile con la nozione del ripiano di perdite annuali da parte di terzi, in quanto si tratta di un’entità costituita con un patrimonio che deve essere sufficiente per raggiungere lo scopo perseguito dai soggetti fondatori. Se pertanto nell’ambito della gestione ordinaria si verifica una perdita, alla stessa deve far fronte la fondazione con il suo patrimonio, che può operare sino a che lo stesso sia sufficiente per raggiungere lo scopo per il quale è stato costituito l’ente, mentre essa è destinata a estinguersi laddove il patrimonio non sia più sufficiente.

Al fine di raggiungere lo scopo per il quale è costituita, la fondazione può tuttavia intraprendere un’attività nel cui ambito può concludere specifici accordi con soggetti privati o pubblici, i quali, in relazione ai servizi richiesti o alla particolare importanza dell’attività svolta dalla fondazione in un determinato ambito territoriale o ambientale, possono erogare sia corrispettivi per i servizi ricevuti che contributi a destinazione vincolata: gli uni e gli altri entrano nel patrimonio della fondazione e devono essere utilizzati nell’ambito dell’ordinaria attività dell’ente morale.

Quando nel territorio di riferimento di un ente locale opera una fondazione che svolge attività di utilità per la comunità locale, è evidente che pubblica amministrazione locale non potrà trascurare di avere rapporti con la stessa, soprattutto se la costituzione della fondazione è stata promossa dalle medesime amministrazioni proprio per soddisfare esigenze di interesse della comunità locale o, addirittura, di interesse degli enti locali fondatori.

Ben può accadere, quindi, che il rapporto fra la pubblica amministrazione locale e la fondazione in ordine allo svolgimento di attività di interesse locale venga regolamentato da una specifica convenzione che preveda l’erogazione di contributi finalizzati ad incrementare il patrimonio dell’ente morale, contribuendo così al raggiungimento dello scopo della fondazione in relazione ai bisogni della comunità locale. In tale ottica è anche possibile che, in relazione allo svolgimento di una particolare attività che rientri fra le competenze degli enti locali costitutori e che venga svolta dalla fondazione, i medesimi enti locali interessati possano accollarsi specifiche spese, anche attinenti alla ordinaria gestione, purché finalizzate allo svolgimento di un particolare servizio, direttamente riconducibile agli interessi della comunità locale. Ovviamente, si tratta di una questione che deve essere regolamentata in via preventiva, prima dello svolgimento del servizio, in relazione ai costi preventivati, risultanti dal piano finanziario che necessariamente deve essere adottato al fine di bilanciare le possibilità operative della fondazione e preservare il patrimonio: la determinazione dell’ammontare del contributo riferito alle spese di gestione, che spetta agli enti locali ed alla fondazione, deve essere stabilito nella convenzione che disciplina i rapporti fra le parti e deve essere commisurato al servizio reso in concreto.

Al di là del verificarsi di queste particolari condizioni sopra esposte, l’ente locale non può accollarsi l’onere di ripianare, di anno in anno, mediante la previsione di un generico contributo annuale o anche occasionalmente, le perdite gestionali della fondazione perché alle stesse deve essere in grado di far fronte la fondazione col suo patrimonio.

Qualora l’ente locale assumesse l’impegno di far fronte alle perdite della gestione corrente della fondazione, sia mediante l’erogazione di generici contributi annuali sia con formale ripiano di perdite accertate al termine dell’esercizio, verrebbe meno la natura di fondazione dell’organismo agevolato e, di fatto, si trasformerebbe in ente strumentale della pubblica amministrazione locale, assumendo natura pubblica alla stessa stregua di un’azienda speciale o di un organismo societario.

Se le risorse proprie della fondazione non permettono di sostenere le ordinarie spese di gestione, l’ente deve cessare la sua attività ed estinguersi, così come previsto dal codice civile.

Tra l’altro, considerata la natura pubblica delle risorse a suo tempo erogate per la costituzione del patrimonio della fondazione e per gli eventuali ulteriori contributi a destinazione specifica, gli organi dell’ente locale dovrebbero accertare la causa della formazione delle perdite, individuando eventuali responsabilità e ponendo in essere ogni azione per evitare la riduzione del patrimonio nella gestione dell’organismo fondativo.

In conclusione, può sostenersi che l’ente locale ha la possibilità di erogare ad una fondazione specifici contributi, alle condizioni ampiamente elaborate dalla giurisprudenza contabile (da ultimo, cfr. Sez. Contr. Veneto, parere 24 ottobre 2017, n. 532) e predeterminate da una specifica convenzione di servizio, sulla base di un accertato e motivato interesse pubblico che l’ente ha il compito di soddisfare, fermo restando il rispetto della disciplina in materia di erogazioni di risorse pubbliche a favore dei privati. Diversamente, l’ente locale non può accollarsi l’onere di ripianare le perdite gestionali di una fondazione, perché alle medesime deve essere in grado di far fronte la fondazione stessa col suo patrimonio.

 

Dott. Giordano Biagio

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