Le offese a sfondo razziale e la loro punibilità

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Qualcuno offende una persona chiamandolo “sporco negro” .

Se la persona di colore non ci sta e si reca alla polizia a sporgere denuncia, che cosa rischia chi ha proferito le offese? Può essere incriminato?

La risposta a questi quesiti è contenuta nella sentenza n. 2461/19 del 18/01/2019 della Suprema Corte di Cassazione.

La Corte, per la prima volta, ha preso atto della riforma dell’Ingiuria, esprimendo il suo giudizio in merito alle offese rivolte nei confronti di soggetti che fanno parte di altre “razze”.

L’Ingiuria

L’ingiuria è quel comportamento che pone chi offende un’altra persona, indipendentemente dal fatto che i motivi siano o non siano leciti, al fine di mortificarla.

L’unico caso nel quale l’ingiuria non viene punita è quando è la reazione immediata a un’altra ingiuria o a una diffamazione subita poco prima.

Se si ha intento vendicativo l’ingiuria resta punibile.

Da tre anni non è più reato e non è punita penalmente.

Il decreto svuota carceri (D.lgs. n. 7/2016 del 15/01/2016)  ne ha previsto la depenalizzazione e la trasformazione in un illecito civile.

Chi offende una persona può subire una causa di risarcimento del danno e, all’esito, una multa comminata dal giudice, da versare allo Stato.

Non c’è più la possibilità di querelare chi pronuncia insulti.

Restano punite penalmente la diffamazione, quando in assenza della vittima se ne parla male in presenza di almeno due persone, e l’intimidazione che spesso segue all’ingiuria.

Ad esempio

dire “sporco negro, ti do fuoco” è reato non per la frase “sporco negro” ma per avere detto “ti do fuoco ”, indipendentemente dalle intenzioni.

Allo stesso modo, offendere un inquilino confidandosi con altri condomini, è reato di diffamazione.

Ingiuria a sfondo razziale

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, in presenza di ingiuria, chi pronuncia offese a sfondo razziale non può essere punito, sempre in relazione alla depenalizzazione del precedente reato. Il La condotta non ha più “rilevanza penale”.

Dire “sporco negro” in presenza della vittima non è reato e non può essere punito.

Oltre a questo, se non ci sono testimoni che sentono l’offesa, la persona offesa incontrerà ostacoli nell’agire per il risarcimento, a meno che non abbia registrato la conversazione.

Nel processo civile, che è quello rivolto a ottenere i danni, non è ammessa la dichiarazione delle parti in giudizio come fonte di prova.

Le prove dovranno essere acquisite in diverso modo.

A questo proposito, le videoregistrazioni, rese più agevoli dai moderni strumenti portatili, sono diventati un valido aiuto.

In un contesto “a due”, dove non ci sono altre persone che potrebbero riportare i fatti al giudice con quello che è stato detto e sentito, sarà impossibile fare valere i legittimi diritti.

In razzisti vengono protetti oltre che da una involuzione culturale degli anni recenti, dal quadro delle norme giuridiche.

In quali circostanze il razzismo è reato

L’ Ordinamento Giuridico Italiano punisce la discriminazione in ogni campo.

Anche in materia di lavoro, il licenziamento intimato per ragioni collegate alla razza si considera nullo e obbliga l’azienda alla reintegrazione sul posto.

Dal lato penale, la legge sanziona con la reclusione sino a un anno e sei mesi chiunque divulghi idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, oppure istighi a compiere o compia atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (L. n. 9 ottobre 1967, n. 962).

Quello che rende punibile la discriminazione xenofoba, sia nella forma di razzismo sia in quella di odio razziale, è la propaganda, non l’offesa rivolta allo straniero.

Con “propaganda” s’intende quell’attività rivolta a manifestare pubblicamente le personali convinzioni con fine di condizionare l’opinione pubblica e modificare le idee e i comportamenti dei destinatari.

Questo tipo di divulgazione viene considerata punibile con il reato, perché è suscettibile di ingenerare nel pubblico gli stessi sentimenti di avversione e di odio comuni a coloro che ne fanno pubblica esibizione.

La manifestazione di pensiero a connotazione razzista costituisce reato quando assume i caratteri della propaganda.

L’Ordinamento Italiano punisce penalmente la discriminazione razziale.

In modo specifico, la legge sanziona con la reclusione sino a un anno e sei mesi chiunque divulghi idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istighi a compiere o compie atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

La norma incrimina due distinte forme di discriminazione.

Il cosiddetto razzismo supremazionista e l’odio razziale.

Il razzismo supremazionista è una forma di discriminazione che si fonda sulla superiorità di una razza rispetto a un’altra.

L’odio razziale, consiste in un sentimento di ostilità che, per avere rilevanza penale, deve trascendere la semplice avversione o antipatia e sfociare nel desiderio di morte o di danneggiamento della persona discriminata.

Quello che rende punibile una discriminazione xenofoba, sia nella forma di razzismo supremazionista sia in quella di odio razziale, è la propaganda.L. n. 9 ottobre 1967, n. 962.

Con questo termine s’intende un’attività rivolta a manifestare pubblicamente le personali convinzioni con il fine di condizionare l’opinione pubblica e modificare le idee e i comportamenti dei destinatari.

Questo tipo di divulgazione viene considerata perseguibile penalmente, perché risulta essere suscettibile di generare nel pubblico gli stessi sentimenti di avversione e di odio promossi da chi ne li esibisce i pubblico.

Si potrebbe pensare che la propaganda debba consistere necessariamente in un’attività reiterata nel tempo.

La Suprema Corte di Cassazione, con un’importante pronuncia, ha stabilito che

“Anche un’isolata manifestazione a contenuto razzista, se resa in luogo pubblico o aperto al pubblico, può integrare il reato in commento”.

Non essendo necessario l’elemento della continuità temporale, l’attività di propaganda può essere caratterizzata anche da un singolo atto di razzismo.

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