Le nuove contestazioni alla luce dell’art. 519 c.p.p.

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Modifica dell’imputazione, reato concorrente e circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento.

L’art. 516, 1 comma, c.p.p. stabilisce che il P.M. modifica l’imputazione e procede alla relativa contestazione quando nel corso dell’istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio (es. diversa data di commissione del fatto), sempreché non appartenga alla competenza di un giudice superiore.

In modo speculare, l’art. 517, 1 comma, c.p.p., stabilisce che il P.M. contesta all’imputato il reato connesso ex art. 12, comma 1, lettera b), c.p.p. (reato concorrente) o la circostanza aggravante, non menzionati nel decreto che dispone il giudizio, che emergano nel corso dell’istruzione dibattimentale o risultino dal dibattimento, sempreché la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice superiore.

 

Il dubbio sui limiti di fonte e sui limiti temporali.

La giurisprudenza non è sempre stata concorde sul significato da attribuire all’espressione “risultanti dal dibattimento” o “risultante nel corso dell’istruzione dibattimentale”, sia in riferimento agli elementi di prova fondanti la modifica dell’imputazione ex art. 516 c.p.p. o la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante ex art. 517 c.p.p., sia per quel che concerne i limiti temporali della contestazione.

La nuova contestazione deve scaturire necessariamente da elementi di prova diversi da quelli già a disposizione del P.M. al momento dell’esercizio dell’azione penale?

Secondo Cass. pen., Sez. V, n. 16989/2014 la modifica dell’imputazione o la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante può basarsi anche sugli stessi elementi probatori già a disposizione del P.M. al momento dell’esercizio dell’azione penale. In senso conforme Cass. pen., Sez. VI, n. 18749/2014, secondo cui il P.M. nel dibattimento non incontra né specifici limiti temporali né specifici limiti di fonte, in quanto l’imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l’accusa, di richiedere nuove prove o esercitare il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l’oblazione.

Rientrano in questo primo filone giurisprudenziale numerose pronunce (Cass. pen., Sez. II, n. 45298/2015; Cass. pen., Sez. fer., n. 36717/2013; Cass. pen., Sez. II, n. 3192/2009; Cass. pen., Sez. VI, n. 44501/2009; Cass. pen., Sez. I, n. 24050/2009; Cass. pen., Sez. VI, n. 44980/2009; Cass. pen., Sez. IV, n. 22512/2007; Cass. pen., Sez. II, n. 10524/2006; Cass. pen., Sez. IV, n. 32797/2006; Cass. pen., Sez. IV, n. 18660/2004; Cass. pen., Sez. V, n. 49017/2004; Cass. pen., Sez. VI, n. 21085/2004; Cass. pen., Sez. II, n. 10558/2003; Cass. pen., Sez. III, n. 10551/1999; Cass. pen., Sez. V, n. 10394/1999; Cass. pen., Sez. V, n. 2673/1999).

Così ragionando, non è mancato chi, partendo dalla suddetta premessa, secondo cui la modifica dell’imputazione da parte del P.M. non deve necessariamente fondarsi sugli esiti dell’istruttoria dibattimentale, ha affermato la legittimità della modifica dell’imputazione anche prima della formale apertura del dibattimento (Cass. pen., Sez. V, n. 51248/2014), benché, data anche la collocazione delle norme de quibus all’interno del Codice, la sede fisiologica delle nuove contestazioni dovrebbe essere considerata il dibattimento.

La rilevanza dell’esatta comprensione delle disposizioni in questione è data anche dalla previsione della conseguenza della nullità della sentenza nei casi di inosservanza di tali norme, ai sensi dell’art. 522 c.p.p.

Infatti, in senso difforme, Cass. pen., Sez. VI, n. 10125/2005 ha affermato che “La contestazione suppletiva di un reato concorrente o di una circostanza aggravante, di cui non vi sia menzione nel decreto che dispone il giudizio, è ammessa solo quando si fondi su elementi emersi per la prima volta nel corso dell’istruttoria dibattimentale; di conseguenza quando concerne contestazioni effettuate sulla base di elementi già noti nella fase delle indagini preliminari la sentenza è nulla, ai sensi dell’art. 522 comma 2 c.p.p., nella sola parte relativa al reato concorrente od alla circostanza aggravante. (si vedano anche, Cass. pen., Sez. II, n. 6584/2003; Cass. pen., Sez. VI, n. 1431/2001; Cass. pen., Sez. VI, n. 6251/2000; Cass. Pen., Sez. III, n. 5072/1998).

 

Interpretazione degli artt. 516, 517, 518, 2 comma, c.p.p. alla luce dell’art. 519 c.p.p.

L’indirizzo maggioritario sopra illustrato, in sostanza, nell’interpretazione delle disposizioni di legge, guarda all’art. 519 c.p.p. e agli interventi della Corte Costituzionale in materia di esercizio dei diritti di difesa dell’imputato (Corte Cost. n. 265/1994,  n. 530/1995, n. 333/2009, n. 237/2012, n. 184/2014), sul recupero della facoltà di richiedere i riti alternativi per l’imputazione oggetto di modifica e di contestazione.

L’art. 519 c.p.p., centrale nel capo relativo alle nuove contestazioni, tutela il concreto esercizio dei diritti di difesa dell’imputato: il presidente, nelle ipotesi di cui agli artt. 516, 517, 518, comma 2, c.p.p., informa l’imputato che può chiedere un termine per la difesa. Se l’imputato lo richiede, il presidente sospende il dibattimento per un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a quaranta giorni. In ogni caso l’imputato può chiedere l’ammissione di nuove prove a norma dell’art. 507 (la Corte Costituzionale n. 241/1992 e n. 50/1995 è poi intervenuta per riconoscere anche al P.M. e alle parti private diverse dall’imputato il diritto di chiedere l’ammissione di nuove prove).

 

Fatto nuovo risultante dal dibattimento.

Quando, invece, il P.M. procede nelle forme ordinarie ovvero quando deve esercitare nuovamente l’azione penale, previa iscrizione nel registro delle notizie di reato e nuove indagini preliminari? L’art. 518, 1 comma, c.p.p. prevede ciò in riferimento all’ipotesi in cui nel corso del dibattimento o dal dibattimento risulti a carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e per il quale si debba procedere d’ufficio, salvo quanto stabilito nel comma 2.

La norma fa salvi espressamente i “casi previsti dall’art. 517 c.p.p.”, che riguardano la circostanza aggravante, la persona  imputata  di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso. In tali ultimi casi, quindi, comprendenti il concorso formale di reati e il reato continuato (art. 81, 1 e 2 comma, c.p.), il P.M. non deve esercitare nuovamente l’azione penale. Deve farlo negli altri casi ex art. 518 c.p.p., salvo la contestazione venga richiesta dal P.M. e autorizzata dal presidente nella medesima udienza, col consenso dell’imputato presente e senza pregiudizio per la speditezza dei procedimenti (art. 518, comma 2, c.p.p.), con conseguente applicazione dell’art. 519 c.p.p.

La necessità di nuove indagini, sul fatto nuovo ex art. 518, 1 comma, c.p.p., è legata evidentemente alla mancanza di elementi raccolti utili a fondare quelle accuse emerse in dibattimento e in nessun modo rintracciabili nel decreto di rinvio o di citazione a giudizio (Cass. pen., Sez. II, n. 188868/2012). Evidentemente, ragionando a contrario, quegli elementi sono invece collegabili alla precedente imputazione nelle diverse ipotesi ex artt. 516 e 517 c.p.p..

Esemplificando, qualora nel corso dell’istruzione dibattimentale dovessero essere individuate delle diverse modalità della condotta illecita, non integranti un nuovo fatto tipico, ma solo una circostanza aggravante, il P.M. procederà a nuova contestazione ex art. 517 c.p.p. (Cass. pen., Sez. V, n. 4551/2010). 

La definizione di “fatto nuovo” data da Cass. pen., Sez. VI, n. 6987/2010 ha curiosamente anticipato il criterio distintivo adoperato dalla Suprema Corte, in ambito processual-civilistico, tra domanda nuova e domanda modificata: come la domanda modificata viene definita come quella che si sostituisce alla precedente, di guisa che il bene giuridico conseguito è sempre lo stesso, con invariabilità del thema decidendum, mentre la domanda nuova è quella che si aggiunge alla precedente, con una duplicazione dei beni perseguiti e ampliamento del thema decidendum, così il “fatto nuovo” ex art. 518 c.p.p. è quello che non si sostituisce a quello contestato, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum

Si potrebbe dedurre che quando il thema decidendum è autonomo, il P.M. deve procedere separatamente (salvo il comma 2 dell’art. 518 c.p.p.).

 

“Fuori dei casi previsti dall’art. 517”: la diversa tipologia di “fatti nuovi”.

La scelta del legislatore di utilizzare l’espressione “nel corso dell’istruzione dibattimentale o del dibattimento” negli artt. 516, 517, 518 c.p.p. e di inserire, nella rubrica dei soli artt. 517 e 518 c.p.p., l’espressione “risultanti/e dal dibattimento” potrebbe significare che la modifica dell’imputazione può anche derivare da elementi emersi già dalle indagini preliminari, non necessariamente dall’istruzione dibattimentale, per cui sarebbe possibile anche sulla base di una mera rivalutazione degli elementi già in atti prima dell’istruttoria dibattimentale. Gli artt. 517 e 518 c.p.p., invece, fanno riferimenti a fatti nuovi, che, in quanto tali, dovrebbero poter risultare solo dal dibattimento e non semplicemente nel corso di esso.

Tuttavia la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante è consentita anche sulla base dei soli elementi già acquisiti in fase di indagini preliminari,  per evitare, nel caso di reato concorrente, che il procedimento retroceda alla fase delle indagini preliminari e,  nel caso di circostanza aggravante, per evitare che la mancata contestazione nell’imputazione originaria risulti irreparabile, essendo la medesima insuscettibile di autonomo giudizio penale (Cass. pen., Sez. II, n. 3192/2009). Qui opera anche la particolarità delle figure ex art. 517 c.p.p. rispetto alla generalità dei fatti nuovi ex art. 518 c.p.p.: si pensi alla circostanza aggravante, che, per quanto nuova, è comunque un elemento accessorio, che semplicemente implica una gradazione della pena in misura superiore al massimo, per un reato che è già perfetto; il concorso formale di reati, che ricorre quando il soggetto commette più reati con la stessa condotta attiva o omissiva; il reato continuato ovvero molteplici azioni o omissioni riconducibili ad un medesimo disegno criminoso, ad un’originaria e unitaria ideazione complessiva.          

 

Conclusioni.

L’art. 521 c.p.p. (correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza) stabilisce che il giudice nella sentenza può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, semprechè non ecceda la sua competenza e non rientri nella cognizione del Tribunale in composizione collegiale, anziché monocratica.

La giurisprudenza europea tende a equiparare, dal punto di vista delle garanzie di difesa per l’imputato, le questioni inerenti il profilo storico (i fatti) e quelle concernenti le riqualificazioni giuridiche, costituendo entrambe oggetto di prova.

Al giudice, poi, è sempre riservato un ultimo controllo, atteso che, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio o nella contestazione ex artt. 516, 517 e 518, comma 2, c.p.p., o se il P.M. ha effettuato una nuova contestazione fuori di tali casi, dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al P.M.

L’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria sulle nuove contestazioni, alla luce di quanto emerso, si preoccupa non tanto dei limiti di fonte o di tempo quanto, come affermato anche dalle Sezioni Unite nel 2010, che l’imputato concretamente possa difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione, al fine di non violare il principio di correlazione tra imputazione e sentenza.

In conclusione, la giurisprudenza interna e comunitaria suggerisce un’interpretazione degli articoli 516, 517, 518, 2 comma, c.p.p. alla luce dell’art. 519 c.p.p., che rappresenta la stella polare dell’intero capo IV, Titolo II, Libro VII c.p.p..

Zaccaria Grazia

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