Le modifiche alla legge 241/1990 introdotte dal decreto semplificazioni bis

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(Decreto legge 31 maggio 2021, n. 77)

Introduzione

Con il presente articolo si intende richiamare l’attenzione sulle novità introdotte dal recente Decreto Legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), su alcuni istituti disciplinati dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

L’intento, più in particolare, è quello di illustrare i contenuti delle novelle introdotte e, pur nel rispetto dell’economia complessiva del presente lavoro, di mettere a fuoco l’impatto delle stesse sull’operatività degli istituti interessati, il tutto da una prospettiva non solo teorica ma con uno sguardo all’attività dell’interprete.

Le novità introdotte

Il DL 77/2021, sul piano sistematico, si colloca nel quadro dei provvedimenti normativi che il Governo ha programmato di adottare per la realizzazione degli obiettivi comunicati – lo scorso 30 aprile 2021 – alla Commissione europea con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza[1] (cd. PNRR) che, come noto, si inserisce all’interno del programma “Next Generation EU”, ovvero il pacchetto di sostegno economico-finanziario da 750 miliardi di euro, varato dall’Unione Europea in risposta agli effetti economici e sociali derivanti dalla crisi pandemica ancora in corso.

Già ribattezzato Decreto semplificazioni “bis”[2], il DL 77/2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 maggio 2021[3] (Serie generale n. 129) e, in base alle previsioni contenute all’articolo 67 dello stesso, è entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione.

Il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta, alla Camera ha preso avvio il relativo processo di conversione in legge[4] che, stante l’urgenza di definire quanto prima la cornice normativa per l’impiego delle risorse collegate al PNRR, è facile immaginare verrà portato a termine in termini presumibilmente non lunghi.

Le disposizioni che qui rilevano sono quelle contenute agli articoli 61, 62 e 63, che compongono ed esauriscono il Titolo VI (Modifiche alla legge 7 agosto 1990 n. 241), della Parte II, del DL 77/2021.

Detti articoli intervengono su altrettanti istituti della L. 241/1990, nell’ordine: sull’esercizio del potere sostitutivo (articolo 2, L. 241/1990), sul silenzio assenso (articolo 20, L 241/1990 ) e sull’annullamento d’ufficio (articolo 21-nonies, L. 241/1990).

Il fatto che il legislatore abbia voluto porre su di essi la propria attenzione testimonia, qualora ce ne fosse stato bisogno, non solo l’importanza che gli stessi rivestono all’interno del nostro ordinamento giuridico ma, più in generale, la rilevanza e la centralità del delicato rapporto tra pubblica amministrazione e amministrati. Un rapporto questo che, vista la natura pubblica delle risorse collegate al PNRR, si pone come uno pilastro fondamentale per l’attuazione degli obiettivi da conseguire, non solo dal punto di vista giuridico-normativo, ma anche e, per certi versi, soprattutto, dal punto di vista assiologico.

Articolo 61 (Modifiche alla disciplina del potere sostitutivo)

L’articolo 61 del DL 77/2021, interviene sui commi 9-bis e 9-ter, dell’articolo 2 (Conclusione del procedimento), della L. 241/1990. Nel primo caso, apportando modificazioni, nel secondo, riscrivendolo completamente.

L’articolo 2, della L. 241/1990, codifica l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo – sia esso iniziato su istanza di parte o d’ufficio – con l’adozione di un provvedimento finale entro il termine assegnato in modo esplicito, ovvero, in difetto di tale determinazione, in via residuale dalla legge (commi 1 e 2). Il medesimo articolo prevede poi che gli interessati, decorso inutilmente detto termine, possano rivolgersi alla figura apicale, all’uopo individuata da ciascuna amministrazione (comma 9-bis), perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento non ancora ultimato attraverso le strutture competenti, ovvero, con la nomina di un commissario ad acta (comma 9-ter)[5].

L’istituto della sostituzione, ancorché non trovi nella realtà operativa un’applicazione particolarmente diffusa, riveste comunque una notevole importanza costituendo uno dei possibili rimedi a disposizione degli interessati contro l’inerzia della pubblica amministrazione.

L’articolo 61 del DL 77/2021, introduce una duplice novella su tale istituto.

In primo luogo si prevede la possibilità che, ad essere investito del potere sostitutivo, possa essere non solo, come già accade, una figura apicale all’interno dell’amministrazione ma, ed è questa la novità, un’unità organizzativa. Si tratta di una previsione dal valore prevalentemente organizzativo incidendo la stessa sul “chi” può esercitare detto potere. Più in dettaglio, la novella prevede che “L’organo di governo individua un soggetto nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione o una unità organizzativa cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia” (articolo 61, comma 1, lettera a), n. 1, DL 77/2021).

L’uso della congiunzione disgiuntiva “o” sembra lasciare intendere che, almeno in questa fase iniziale, alle pubbliche amministrazione sia imposta una scelta alternativa.

Sul piano operativo l’utilità di una simile previsione potrebbe ravvisarsi nel fatto che, ammettendosi ora la possibilità di investire un’intera struttura del potere sostitutivo, chi fosse vittima di un ritardo provvedimentale della pubblica amministrazione, potrebbe trovare più conveniente – rispetto al passato – attivarsi per la sostituzione. Non può infatti escludersi che, a fronte della individuazione di una struttura dedita, magari in via esclusiva, all’esercizio di tale potere, ci si possa aspettare una maggiore attrattività dell’istituto e, dunque, in concreto, una maggiore efficacia ed efficienza dello stesso.

L’altra novità di rilievo è contenuta all’articolo 61, comma 1, lettera b), DL 77/2021, che ha integralmente riscritto il comma 9-ter, dell’articolo 2, della L. 241/1990.

In base a tale novella l’attivazione del potere sostitutivo, non avviene più solo su richiesta e iniziativa del privato vittima del ritardo. Il nuovo comma 9-ter,  dispone infatti che “Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il responsabile o l’unita’ organizzativa di cui al comma 9-bis, d’ufficio o su richiesta dell’interessato, esercita il potere sostitutivo…[6].

Sul punto vale la pena evidenziare che, intanto il titolare del potere sostitutivo potrà intervenire d’ufficio su un procedimento amministrativo il cui termine di conclusione risulti scaduto, in quanto, abbia avuto “notizia” di tale sforamento.

Immaginando i possibili scenari applicativi, appare ragionevole ritenere che, in concreto, l’attivazione d’ufficio del potere sostitutivo potrà avvenire in due modi: a seguito di mera “segnalazione” da parte di terzi, tra i quali non si ravvisano ragioni per non annoverare anche gli stessi interessati (quelli cioè legittimati a presentare formale istanza di sostituzione), ovvero, a seguito di un’attività di “monitoraggio” dei termini procedimentali da parte del titolare stesso del potere sostitutivo, configurandosi in capo a quest’ultimo un vero e proprio potere/dovere di controllo in tal senso.

Articolo 62 (Modifiche alla disciplina del silenzio assenso)

L’articolo 62 del DL 77/2021 interviene, lo si è anticipato sopra, sulla disciplina relativa al silenzio assenso contenuta all’articolo 20 della L. 241/1990.

Lo fa introducendo ex novo il comma 2-bis il quale prevede che:

Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione e’ tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’attestazione e’ sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.”.

E’ di tutta evidenza che la fattispecie costitutiva dell’istituto del silenzio assenso, vocato a fornire una tutela forte e di tipo satisfattorio agli interessi legittimi dei terzi istanti, non viene minimamente scalfita dalla novella[7].

Essa si limita ad introdurre, a richiesta di parte, uno specifico adempimento a carico alla pubblica amministrazione proceduralmente inadempiente: il rilascio – da effettuarsi per via telematica[8] ed entro il termine di dieci giorni dall’intervenuta richiesta – dell’attestazione dell’intervenuta maturazione del silenzio assenso, sostituibile, in caso di infruttuosa decorrenza del termine assegnato, da una dichiarazione sostitutiva della parte richiedente ex articolo 47, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

L’articolo 62, del DL 77/2021, introduce, quindi, una semplificazione con finalità “probatoria” a favore del soggetto interessato imponendo, alla pubblica amministrazione proceduralmente inadempiente, di attestare che il termine per adottare il provvedimento richiestole è ormai decorso e che, trovando applicazione l’istituto del silenzio assenso, detta condotta omissiva equivale all’adozione del provvedimento richiesto.

Decisamente opportuna appare l’introduzione, ancorché subordinata al preventivo inutile decorso del termine assegnato per il rilascio dell’attestazione, della possibilità per l’interessato di autodichiarare l’intervenuta maturazione del silenzio assenso. In assenza di essa il privato istante avrebbe corso il rischio di subire, come si suol dire, oltre al danno (mancata adozione nei termini del provvedimento inizialmente richiesto) anche la beffa (mancato rilascio dell’attestazione della maturazione dell’intervenuto silenzio assenso).

A ben vedere il legislatore, in un ottica di maggiore semplificazione dei rapporti tra amministrazione e amministrato, avrebbe potuto compiere un passo ulteriore. Ad esempio, avrebbe potuto ammettere direttamente in capo all’interessato l’autocertificabilità dell’intervenuto silenzio assenso, senza subordinarla alla preventiva richiesta dell’attestazione e al decorso infruttuoso del termine previsto per il relativo rilascio, oppure, in via mediana, avrebbe potuto equiordinare le due ipotesi, lasciando in capo al privato la scelta di quale strada percorrere per “provare” l’avvenuta maturazione del silenzio assenso.

Articolo 63 (Annullamento d’ufficio)

L’articolo 63, del DL 77/2021, modifica l’articolo 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990, disciplinante l’istituto dell’annullamento d’ufficio.

L’annullamento d’ufficio rappresenta l’espressione più intensa del potere di autotutela che l’ordinamento giuridico riconosce in capo alla pubblica amministrazione. Infatti, al verificarsi dei presupposti di legge che legittimano l’esercizio di tale potere[9], la pubblica amministrazione che ha adottato un provvedimento affetto da uno vizi di legittimità (violazione di legge; eccesso di potere; incompetenza relativa), può procedere al relativo annullamento – appunto d’ufficio – determinandone l’espunzione dall’ordinamento con efficacia ex tunc, al pari di una pronuncia di annullamento del giudice amministrativo.

Grazie a tale potere, quindi, la pubblica amministrazione è posta nella condizione di eliminare unilateralmente un proprio provvedimento efficace (ancorché illegittimo) incidendo, questo è evidente, sull’affidamento che i terzi (destinatari e controinteressati) avevano riposto sullo stesso[10].

La novella in commento non stravolge l’istituto dell’annullamento d’ufficio ma si limita a ridurre, da diciotto a dodici mesi, il termine che il comma 1, dell’articolo 21-nonies, prevede per il relativo esercizio in ordine ai provvedimenti amministrativi di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.

Con tale modifica il legislatore esprime un chiaro favor nei riguardi del principio del legittimo affidamento dei predetti terzi e, più in generale, sulla stabilità dei rapporti tra amministrazione e amministrati. Sul punto non si può non condividere detta scelta sottolineando che, molto probabilmente, anche in questo caso, si sarebbe potuto fare un passo ulteriore.

Ci si riferisce all’introduzione di un termine massimo – magari differenziato per materie e/o categorie di provvedimenti – per l’esercizio del potere di autotutela, in luogo del generico “termine ragionevole” richiesto dall’articolo 21-nonies, della L 241/1990, per i provvedimenti diversi da quelli di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. Un simile intervento avrebbe l’effetto di consolidare enormemente il principio del legittimo affidamento dei terzi[11] e, con esso, la stabilità dei rapporti con l’amministrazione pubblica.

Su questo specifico punto è interessante evidenziare che già in altro provvedimento d’urgenza, anch’esso connesso al contrasto dell’emergenza pandemica in atto, il legislatore si è mosso in tale direzione costruendo una norma “temporizzata”. Ci si riferisce al DL 19 maggio 2020, n. 34, il cui articolo 264, comma 1, lettera b), prevedeva che, fino al 31 dicembre 2020, “i provvedimenti amministrativi illegittimi ai sensi dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, adottati in relazione all’emergenza Covid-19, possono essere annullati d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro il termine di tre mesi, in deroga all’art. 21-nonies comma 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241”. Dies a quo di tale termine era la data di adozione del provvedimento illegittimo ovvero la data della formazione del silenzio assenso[12].

Applicabilità delle novità normative ai procedimenti amministrativi pendenti e già conclusi

In merito alle novelle alla L. 241/1990 appena illustrate, uno dei primi interrogativi che gli interpreti saranno chiamati a porsi è quello dell’applicabilità o meno delle stesse ai procedimenti amministrativi, già conclusi o ancora pendenti, alla data di entrata in vigore del DL 77/2021.

In assenza di specifiche disposizione transitorie[13], la risposta ad un simile interrogativo può derivare solo dall’analisi della natura delle norme introdotte e, più in particolare, dalla sussumibilità delle stesse alla categoria delle  norme sugli effetti, ovvero, delle norme sulla fattispecie[14].

Anticipando i risultati delle considerazioni che seguono, appare corretto ritenere che, tutte le norme del DL 77/2021 modificative della L. 241/1990, siano riconducibili alla prima delle due categorie appena indicate.

Risolutiva in tal senso è la constatazione oggettiva che nessuna di esse ha inciso sugli elementi costitutivi degli istituti novellati.

Ciò vale, in modo chiaro, tanto per il silenzio assenso (è stato infatti introdotto solo un obbligo di attestazione a carico della pubblica amministrazione e, in subordine, la facoltà per il privato di autocertificare quanto non attestato dall’amministrazione inadempiente), quanto per l’annullamento d’ufficio (in questo caso si è avuta la mera contrazione del termine per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio riguardo a determinate categorie di provvedimenti).

Qualche dubbio potrebbe forse rinvenirsi in ordine alle modifiche apportate alla disciplina del potere sostitutivo, stante l’individuazione di un nuovo soggetto (“l’unità organizzativa”) cui può essere attribuito tale potere. A ben vedere però, tale dubbio è in realtà solo apparente.

Infatti, ai fini dell’esercizio del potere sostitutivo, il momento organizzativo dell’individuazione del soggetto deputato ad esercitarlo, non incide sulla fattispecie che legittima l’esercizio dello stesso. Ovvio, un soggetto investito di tale potere dovrà esistere nel momento in cui maturano i presupposti della sostituzione. Dando però per presupposto che un soggetto in tale senso sia stato effettivamente individuato, il momento della relativa nomina non sembra incidere sulla maturazione dei presupposti del potere sostitutivo. Questi ultimi vanno ricondotti al mero trascorrere infruttuoso del tempo.

Depone in questo senso anche il fatto che, proprio grazie alle novità introdotte dall’articoli 61 del DL 77/2021, risulta “ridimensionato” il ruolo e la funzione dell’istanza dell’interessato per l’esercizio della sostituzione perché, come abbiamo visto sopra, essa è ora attivabile anche d’ufficio.

Trattandosi, in tutti e tre i casi, di norme sugli effetti, appare ragionevole ritenere che le novità introdotte dagli articoli 61, 62 e 63 del DL 77/2021, siano applicabili ai procedimenti amministrativi, ancora in corso o già adottati, alla data della entrata in vigore di tali norme. Nessun dubbio, invece, sul fatto che le stesse si applichino ai procedimenti amministrativi avviati successivamente a tale data.

Conclusioni

Le novità normative qui analizzate appaiono collegate tra loro da un filo rosso evidente: semplificare i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini.

La ricerca della semplificazione, nell’attività e nell’organizzazione della pubblica amministrazione, rappresenta il Sacro Graal del legislatore italiano degli ultimi decenni e, conseguentemente, il leitmotiv di una vasta gamma di interventi normativi, spesso d’urgenza proprio come l’odierno DL 77/2021. Il fatto che da così tanto tempo si parli (ancora) di interventi di “semplificazione” significa che tale obiettivo ancora non può dirsi raggiunto appieno.

Ciò trova implicita conferma nelle previsioni del PNRR all’interno del quale, gli interventi di ammodernamento della pubblica amministrazione, rappresentano un pilastro portante dell’intero Piano.

Il DL 77/2021 apporta i propri contributi alla costruzione di tale pilastro intervenendo su molteplici ambiti della pubblica amministrazione compreso, per quanto qui interessa, quello dell’attività autoritativa/provvedimentale.

È facile immaginare che a questi primi interventi ne seguiranno degli altri (probabilmente già nel corso del processo di conversione del predetto decreto legge), l’auspicio, in questi casi, è sempre lo stesso: fare in modo che quella ricercata e declinata in legge dal legislatore sia una semplificazione della quale possa giovarsi, oltre al cittadino, anche la pubblica amministrazione.

Note

[1]     Per un quadro dei contenuti di detto Piano si rinvia a dossier illustrativo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, del 27 maggio 2021 (http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/DFP28.pdf?_1623223226218).

[2]     Per distinguerlo dal precedente decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, detto appunto “Decreto semplicazioni” (oggetto anch’esso di modifiche da parte del DL 77/2021).

[3]     Il giorno successivo (primo giugno) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (Serie generale n. 130) un avviso di rettifica relativo al DL 77/2021, per correggere alcuni refusi sfuggiti in sede di prima pubblicazione.

[4]     AC.3146.

[5]     Per motivi di completezza corre l’obbligo ricordare che, l’intervenuto ritardo della pubblica amministrazione nell’adozione del provvedimento amministrativo, non solo è fatto rilevante ai fini dell’attivazione del potere sostitutivo, che qui più direttamente rileva, ma è anche fonte di responsabilità ex art. 2-bis della L. 241/1990.

[6]     Per il resto la disciplina del potere sostitutivo rimane sostanzialmente invariata, ad esempio, viene confermata la dimidiazione dei termini per la conclusione del procedimento e la possibilità che possa essere nominato un commissario ad acta

[7]     Del pari non viene modificato, né il perimetro di operatività dello stesso (non continuando a trovare applicazione per gli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti), né, men che meno, vengono intaccati gli effetti che dallo stesso discendono.

[8]     L’espressione “forma telematica” appare alquanto generica e poco chiara, non solo per la sua esatta perimetrazione informatica/digitale ma anche, e soprattutto, per le conseguenze derivanti dal mancato rispetto della stessa. Alla luce dell’assenza di una specifica previsione al riguardo, appare più che legittimo interrogarsi se, detto requisito di forma, debba considerarsi un elemento essenziale o meno. Nel primo caso, la relativa assenza determinerebbe la nullità, ex articolo 21-septies L. 241/1990 Nel secondo caso, invece, l’assenza della “forma telematica” dovrebbe comportare la sola annullabilità dell’attestazione per violazione di legge ex articolo 21-octies, comma 1, L. 241/1990.

[9]     L’economia del presente lavoro non consente una trattazione approfondita di tali presupposti. Ci si limita qui a ricordare che essi sono sostanzialmente quattro: 1) esistenza di un provvedimento amministrativo illegittimo, affetto cioè da uno dei vizi di illegittimità fissati dall’articolo 21-octies, comma 1, della L. 241/1990 (con esclusione dei vizi procedurali descritti al comma 2, del predetto articolo 21-octies, per espressa previsione contenuta all’articolo 21-nonies della medesima legge); 2) esistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al riesame del provvedimento (sul punto si osserva che, detto interesse, non può consistere nella “mera” ricerca della legittimità a posteriori ma deve, al contrario, consistere in una migliore realizzazione dell’interesse pubblico tutelato dalla pubblica amministrazione); 3) contemperamento degli interessi pubblici e privati, rappresentati non solo dai destinatari del provvedimento illegittimo ma anche dai controinteressati (detto contemperamento è richiesto quale forma di “tutela” del legittimo affidamento che i privati – destinatari o controinteressati – avevano riposto in un provvedimento adottato dalla pubblica amministrazione); 4) esercizio dell’annullamento d’ufficio entro un termine ragionevole (solo con riferimento ai provvedimenti amministrativi di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, tale “ragionevolezza” è stata quantificata ex ante dal legislatore in diciotto mesi – ora ridotti a dieci mesi dall’articolo 63 del DL 77/2021 –. Per le altre categorie di provvedimenti la ragionevolezza del termine deve essere oggetto di ponderazione dalle singole amministrazioni, secondo valutazione da compiersi in concreto e non in astratto).

[10]   Per questa sua capacità di incidere unilateralmente sui terzi, il potere di autotutela va evidentemente ascritto nell’alveo dell’attività autoritativa della pubblica amministrazione.

[11]   Elemento questo non secondario, oggi più di ieri, viste le molteplici sfide collegate all’impiego delle risorse rivenienti dal PNRR le quali, trattandosi di risorse pubbliche, verranno impiegate (in concreto) proprio per mezzo di provvedimenti amministrativi.

[12]   Secondo le previsione di tale norma, detto termine era comunque derogabile – con conseguente possibilità di domandare l’annullamento d’ufficio decorsi i tre mesi – qualora i provvedimenti amministrativi fossero stati adottati sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, ivi comprese quelle previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

[13]   Come già riferito nel paragrafo “Le novità introdotte” del presente articolo, l’articolo 67 del DL 77/2021, si limita semplicemente a disporre l’entrata in vigore del decreto legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

[14]   Norme sugli effetti sono quelle norme che incidono solo sugli effetti che discendono da un determinato atto o fatto, ritenuto giuridicamente rilevante dall’ordinamento giuridico, senza incidere sulla relativa fattispecie costituiva. Norme sulla fattispecie, al contrario, devono intendersi quelle norme che disciplinano fattispecie “nuove” o, comunque, diverse rispetto a quelle già previste dall’ordinamento giuridico in un determinato momento, ricollegando alle stesse, ovviamente, (anche) degli effetti giuridici.

 

Dott. Franco Scaramella

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