Le distanze tra gli edifici, quando si può derogare

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Le distanze tra edifici sono disciplinate dagli articoli 873, 874, 875 e 877, contenuti nel Libro III “Della Proprietà”, del codice civile.

L’articolo 873 del codice civile, rubricato “distanze nelle costruzioni”, recita:

Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri.

Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.

Coloro che progettano sanno molto bene quale sia la rilevanza che rivesta il rispetto delle distanze tra i fabbricati e tra i confini di proprietà.

In un tessuto urbano saturo, come quello della nostra epoca, è sempre più difficile riuscire a costruire degli edifici oppure ampliare quelli che esistono, perché si deve tenere conto dei limiti imposti in materia di distanze.

Esempio:

Anni fa qualcuno ha ha deciso di realizzare nel suo balcone una veranda di ampie dimensioni, chiudendo gli spazi aperti con dei vetri oppure con dei pannelli in alluminio.

Prima di procedere ha provveduto a mettersi in regola, chiedendo al Comune l’autorizzazione per costruire.

Nonostante la solerzia, il vicino decide di fargli inviare dal suo avvocato una lettera di diffida.

Il tenore dello scritto non conosce mezzi termini, ed è espresso in modo molto chiaro, il titolare della costruzione la deve demolire perché non rispetta le distanze dal confine.

Secondo il vicino, la veranda è molto vicina alla sua proprietà e ne rischia di invadere la privacy.

A dire il vero, la costruzione in questione, era stata completata molti anni prima.

Il titolare della stessa aveva presagito la possibilità che il vicino avrebbe potuto avere qualcosa in contrario, e si era fatto autorizzare per iscritto dal precedente confinante.

Successivamente, costui decise di vendere casa, e l’attuale proprietario ha sentito il bisogno di  disconoscere la scrittura privata intercorsa tra colui che ha venduto a lui e il vicino, sostenendo di

esserne ignaro, perché prima dell’acquisto nessuno ha provveduto a informarlo e, di conseguenza, non gli può essere opposto nessun accordo.

In presenza di una simile circostanza, ci si chiede se la sua presa di posizione sia lecita, e secondo quali modalità si debba procedere in relazione alle distanze tra gli edifici e al loro rispetto.

Ci si chiede se le regole sulle distanze tra le costruzioni possano essere derogate, e nel caso fosse possibile, in che modo ci si debba comportare al fine di evitare delle contestazioni.

A questo proposito, in tempi recenti, la questione è stata decisa dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 27/01/2020 n. 1731/20.

La pronuncia della Corte, precisa entro quali termini i proprietari di terreni che confinano tra loro, si possano accordare per stabilire dei diversi limiti alle distanze tra le rispettive costruzioni, che differiscano rispetto alla legge o agli eventuali regolamenti comunali.

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Le distanze tra costruzioni limitrofe

Coloro che abbiano intenzione di costruire una veranda, un gazebo, un edificio, un box, un edificio o qualsiasi altra costruzione sono tenuti a rispettare la normativa sulle distanze dal confine, con l’esplicita finalità di lasciare il necessario spazio rispetto alle altrui costruzioni vicine.

La disciplina sulle distanze viene applicata a chi edifica per secondo, vale a dire, chi edifica quando sul terreno adiacente si trova una costruzione.

Chi edifica per primo non è tenuto a rispettare nessuna distanza se nel fondo confinante non esista alcuna costruzione.

La disciplina sulle distanze è relativa alle costruzioni immobilizzate al suolo oppure stabili ed elevate dal suolo stesso.

Non è relativa a una piscina o un gazebo mobile che viene smontato dopo alcuni giorni.

Le distanze dal confine vengono fissate nei regolamenti comunali con i piani regolatori, e possono essere diverse a seconda dell’ente, per questo si rende necessario informarsi presso quello al quale si appartiene.

Non ogni Comune ha previsto una sua disciplina.

In presenza di simili circostanze, valgono le distanze fissate dal codice civile, le norme del quale stabiliscono che le costruzioni poste su fondi confinanti appartenenti a proprietari diversi, se non siano unite o aderenti tra loro, devono essere tenute a una distanza non minore di tre metri le une dalle altre.

Nei regolamenti locali o comunali può essere stabilita una distanza maggiore.

Oppure, a una distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti con finestre e pareti di edifici antistanti, nelle zone omogenee del territorio comunale ad eccezione dei centri storici, nei quali per i lavori di risanamento e di ristrutturazione, le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle che intercorrono tra i volumi edificati che esistevano in precedenza.

La legalità delle distanze tra edifici in presenza di accordo

Con la sentenza 1731/20, la Cassazione stabilisce che, al fine di mantenere una costruzione a una distanza minore di quella che la legge prescrive o dai regolamenti comunali, non basta una dichiarazione scritta del proprietario del terreno vicino che conceda la costituzione di una servitù, ma si deve stipulare un contratto davanti al notaio che consenta la costituzione di una servitù prediale.

È una limitazione della proprietà sull’immobile che ha diritto alla distanza legale, a vantaggio del fondo limitrofo che ne trae beneficio.

La presenza dell’atto notarile e la conseguente trascrizione nei pubblici registri immobiliari, fa gravare sugli acquirenti successivi dell’immobile la limitazione di prenderne conoscenza e di essere consapevoli di quello che si sta acquistando.

In caso contrario, ai successivi proprietari del bene non si può imporre nessun limite al diritto di proprietà stesso.

La scrittura privata, redatta dalle parti senza il notaio, è priva di una data sicura, e si potrebbe prestare a strumentalizzazioni.

Potrebbe essere redatta in un momento successivo e retrodatata, condizionando i diritti dei successivi titolari del bene che non hanno approvato o conosciuto la limitazione.

Indipendentemente da una data non sicura, della mancanza della trascrizione e dell’omessa menzione nell’atto di compravendita, è lecito l’atto che contenga la volontà delle parti di derogare alle norme relative alle distanze dal confine dettate dagli strumenti urbanistici.

Sia secondo la Corte di Cassazione, sia secondo il Consiglio di Stato (Cass. 14 novembre 2016 n. 23136, Cons. Stato 23 giugno 2017 n. 3093), le norme sulle distanze non sono derogabili perché non si limitano a disciplinare i rapporti di vicinato, ma hanno il fine di tutelare anche interessi collettivi.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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